La Staatskapelle di Dresda è sempre grande e lo ha dimostrato con Beethoven e Strauss di Massimo Mila

La Staatskapelle di Dresda è sempre grande e lo ha dimostrato con Beethoven e Strauss Nel concerto diretto da Blomstedt per «Settembre Musica» anche la Faust-Ouverture di Wagner La Staatskapelle di Dresda è sempre grande e lo ha dimostrato con Beethoven e Strauss TORINO — Uno dei traguardi più atti di questo Settembre Musica si tocca certamente in questi giorni con la presema dell'antica e gloriosa orchestra della Staatskapelle di Dresda, nata nel 1548 come cantoria di corte ed apertasi alla presema di strumenti intorno al 1580, quando ne era direttore un certo Pinello di Ghirardi. Da allora la Staatskapelle ha alimentato sema interruzione la vita della musicalissima città di Dresda (che dal 1870 possiede' pure un'altra orchestra, la Filarmonica), e fu segnata specialmente dal passaggio di Karl B6hm, che la presiedette per otto anni, di Blmendorff negli anni più neri della guerra, e poi, tra gli altri, di Matacic e di Otmar Suitner. Da otto anni ne è alla testa Herbert Blomstedt, un esperto musicista la cui nazionalità è difficile da definire, poiché viene descritto come direttore d'orchestra svedese nato a Springfield (Usa) nel 1927. Il fatto è che gli studi musicali li fece a Stoccolma, prima di perfezionarsi a Salisburgo con Markei>ic, dirigendo poi le principali orchestre di paesi scandinavi. Nonostante il cosmopolitismo del direttore, i due programmi dell'orchestra a Torino rivelano il manifesto proposito di porsi come una rassegna, una specie di campionario ad altissimo livello, dello spirito musicale tedesco. In questo senso è indicativa l'apertura del primo concerto, sostenuto lunedi scorso al Teatro Regio, naturalmente esaurito, con la Faust-Ouverture di Wagner, composlziom che quest'anno, con la complicità del centenario wagneriano, ha goduto d'insolita fortuna. Wagner la scrisse a Parigi negli anni in cui aveva appena terminato il Rienzi, e racconta lui stesso che vi fu spinto da un impeto irresistibile di nostalgia e d'affetto per la so¬ lida, rocciosa cultura della sua patria tedesca, in un'onda di nostalgia determinata dal fastidio per la frivolezza dell'ambiente artistico parigino. Possiamo perfino sospettare che, terminato il Rienzi, s'accorgesse di avere un poco le lascile piene di Roma, dell'Italia, della latinità ed anelasse a ricongiungersi con lo spirito del suo paese. Questa è la sostanza e l'origine deH'ouverture, che non ha niente di descrittivo e di narrativo da riferirsi specificamente al Faust. Massimo Bruni lo stabilisce opportunamente nel programma di sala, mentre oggi invece è di moda supporre un'ispirazione tratta dal modello del poema sinfonico Romeo e Giulietta di Beriloz, il cui successo non sa- rà cerio passato hiosservato a Wagner, ma la cui estetica a programma noti influì per nulla sopra l'autonomia sinfonica della Faust-Ouverture, pia venata, qua e là, da rafficlie orchestrali che fatato pensare all'imminente Vascello fantasma. Questo tema proposto dal gioimnile lavoro ivagneriano — omaggio allo spirito musica/e tedesco — fu sviluppato ad altissimo grado nel seguito del concerto, che vedeva susseguirsi -Morte e trasfigurazione di' Strauss (un test sacramentale per un'orchestra, specialmente nel settore dei fiati) e dalla Sinfonia in do minore di Beethoven (un test inuguagliabile per l'intelligenza stilistica e la cultura musicale di orcìiestre e direttori). Le esecuzioni hanno messo in mostra un'orchestra disciplinata e compatta, di bella qualità fonica in ogni reparto, e pronta a seguire la vivace bacchetta del maestro Blomstedt nelle sue proposte interpretative non solo accettabili e corrette, ma anche cariche d'intensità e partecipazione. Gli applausi calorosi che avevano accolto l'orchestra fin dal suo primo apparire sul palcoscenico del Regio, si sono moltiplicati con crescente entusiasmo dopo ogni pezzo, fino a sfociare in una lunga ovazione con insistenti richieste di bis, giustamente disattese. Dopo un'opera così categorica come la Quinta, che cosa si può suonare, infatti, se non di nuovo la Quinta? Massimo Mila