La malinconica salute di Trieste di Francesco Santini

La malinconica salute di Trieste VIAGGIO-VERIFICA NELLE CITTA' DEI PRIMATI E DEL BENESSERE La malinconica salute di Trieste Un'inchiesta del Censis attribuisce all'antico porto imperiale il primo posto, per la qualità della vita, tra le 95 province italiane - Per i vecchi triestini «il declino continua», ogni mito è sepolto - «Ma—avverte Claudio Magris — la triestinità non ci allontani dai valori di oggi» - Al Molo 7 si vede che «la ripresa è già cominciata» • Gli industriali: «Non lasceremo andar via le giovani intelligenze» o o a a o l l DAL NOSTRO INVIATO TRIESTE — 7?i una Trieste di fine estate, malinconica e ordinata, borghese e drammatica, i ragazzini del molo Audace strappano piccole seppie a un mare di piombo. Lassù, verso il Carso, le colline si tingono di grigio e spingono una pioggia fitta e improvvisa. Il dottor Mario Stock, capo della comunità israelita da oltre un trentennio, cammina con qualche difficoltà, ma la sua faccia dalmata e segnata spesso s'illumina nel ricordo di Spalato. Gli automezzi pesanti del traffico tedesco corrono lungo le Rive, in direzione del porto nuovo. Il vecchio dottor Stock appare contrariato: Dove sono i triestini?, domanda con disperazione, che parte hanno in questi commerci?». Il capo della comunità ricorda gli studi a Cambridge' con Keynes e perde la tranquillità: «La parte dei triestini è zero, zero», ripete e soffre per un commercio die non ha piti origine a Trieste. Riflette: «Queste indagini statistiche sul "viver bene" fanno a pugni con l'opinione corrente che dà di Trieste un quadro di decadenza e di morte». Stock commercia cementi speciali in tutta Europa, ma avverte: «Che la mia azienda sia qui o in un'altra citta italiana non fa differenze: un telex parte o arriva in qualsiasi punto del mondo». Descrive una Trieste svuotata, senza giovani e intelligenze, un popolo dì vecchi, di anziani, in una città lacerata, senza uomini e territorio. «E' finito l'emporio, Trieste è scomparsa, è un'altra cosa». La città scopre il primato del «viver bene». Nel capoluogo giuliano il grafico s'impenna, ma i triestini lo respingono, convinti clic il «declino continua» e Trieste muore lentamente. Un'inchiesta del Censis attribuisce all'antica città imperiale il primo posto tra le novantacinque province italiane. Trieste è in testa nel «viver bene»: il reddito individuale medio, i risparmi, i televisori, le automobili e i consumi di carburante, coefficienti inutili di felicità, attribuiscono record alla città spezzata. Ma Stock non crede al benessere descritto nei numeri, quando ogni mito è sepolto e il rango di metropoli portuale è altrove. Il benessere tracciato dalle statistiche s'accompagna nel capoluogo senza provincia e sema campagna a buone contusioni socio-culturali e sanitarie, ad un alto numero di quotidiani letti in ogni famiglia, agli asili nido e ai biglietti venduti per concerti e rappresentazioni teatrali, ai posti disponibili nelle scuole materne, alla percentuale più bassa di delitti, al numero ridotto dei reati. Per tagliar corto il cronista del Piccolo subito aggiunge: «C'è un altro primato: abbiamo il più alto numero di suicidi, ma anche questo è considerato benessere». E i bambini? Ci sono asili e scuole materne, mancano i bambini. «Trieste è morta», dice il capo della comunità israelitica, ma si corregge: «E' scomparsa la Trieste dei liberi commerci, è morta la città cosi come era stata concepita e come si era sviluppata; è rimasta l'ossatura». Poi lia un momento di ottimismo: «Siamo in attesa di una normalizzazione: l'economia, se lasciata libera, ha grandi virtù risanataci e possibilità di recupero». Aspetta una città nuova, rimarginata, tutta da inventare che non rimpianga il «benessere posticcio» della «frontiera del sorriso». Il commercio con gli slavi è finito: per gli jugoslavi il confine è chiuso da un paio d'anni, s'è perso il flusso di denaro enorme per i jeans e le magliette. «Un benessere irreale», non fondato sui grandi traffici. «La città non è totalmente in malora, afferma, perché ha un esercito di impiegati». Banche, assicurazioni, Stato e parastato, e la folla del burocrati della Regione: «Non hanno nulla da fare, dice Stock, e spendono». Tra la stazione dei piloti e il bagno Ausonia, la spiaggia della Lanterna divide nello stabilimento balneare lo spazio destinato agli uomini da quello riservato alle donne. Uomini anziani lanciano piastrelle nella zona destra e, oltre il muro bianco, signore disfatte si sdraiano in costumi abbondanti e fuori moda. Il regolamento comunale impone un abbigliamento da sole decente, tale da non offendere la pubblica moralità, e subito vieta, con l'esposizione di «piaghe, ferite, eczemi e deformità in genere», atteggiamenti che possano offendere il pudore e la morale. Un uomo anziano respinge nel suo settore una ragazza slava; un altro, più giovane, interviene quasi a voler dimostrare che ti vecchio contrasto di tono irredentistico e romantico fra slavi giuliani e italiani è ormai caduto perché attacca: «La rovina di Trieste sono Roma e l'Italia e allora apriamo 11 bagno della Lanterna a tutti i cittadini, apriamo il bagno di Maria Teresa a chi vuol difendere l'ultima frontiera di questo porto che era avanti in Europa ed ora è in coda». Lo zittiscono. «Non t'ho visto, gli grida un bagnante magrisslmo, alla festa per il 135° anniversario dell'Incoronazione!». dgeF «T'aspettano a Giassico» gli dicono e l'uomo s'allontana, gli danno del nostalgico ed egli spiega: «lo i 135 anni di Francesco Giuseppe imperatore li ho celebrati a Ruda, la mittcleuropa me la sono festeggiata tra italiani e friulani, tra sloveni e tedeschi». Perso l'hinterland imperiale, crollati l cantieri, Trieste è ancora tutta avvolta nella vicenda austriaca, di una corte imperiale illuminata. Festeggia l'incoronazione, non soltanto tra crauti, salsicce e nostalgie, ma anche V'incontro dei popoli», tra le molte provocazioni culturali di Paolo ParoveU II leader di • Civiltà mitteleuropea' respinge i record del bel vivere e rivela sacche di miseria inattesa nelle soffitte del borgo teresiano «dove resiste un grosso pudore, di una povertà nascosta, mai ostentata, vissuta come una vergogna». E Carlo Papucci, dietro il banco dell'antico caffè Tommaseo, è d'accordo: «E' in queste case povere, di anziani magrissimi che più resiste il mito della triestinità e non capiscono che il polmone dell'Istria s'è perso per sempre, che Trieste è diventata una città di mare senza angiporto». Chiude il caffè Tommaseo. Resterà serrato per un paio d'anni. Ha bisogno di un restauro totale. Al tavolo degli ex capitani, nella parte più nascosta del secondo salone, si cerca una sede per la società artistica letteraria che ogni lunedi riunisce, per una conferenza, un gruppo di vecchi signori mollo innamorati della cosiddetta «triestinità». Andranno a ritrovarsi in un'osteria della città vecchia dove un impasto di senescenza, di alcolismo e di bizzarria ha risolto il sogno impossibile di Basaglia e della psichiatria democratica, integrando, più dei centri d'igiene mentale, stravaganze antiche e cosmopolite nel meticciato triestino, asburgico e sloveno, dalmata e giuliano. Perché tornare Ma dov'è la Trieste dei primati e del benessere? Claudio Magris, germanista di gran nome, ha lasciato Torino per tornare a vivere a Trieste. Magris è convinto che, come ogni cultura in crisi, la città mostra una tendenza esasperala alla difesa che subito si riflette in ogni gruppo preoccupalo dellapropria identità. Magris lavora ad un tavolo del caffè Tommaseo. Qui ha tradotto Ibsen, qui scrive. Avverte: «Si parla troppo di una Trieste convenzionale. Chi è fuori finisce col credere che qui vivano soltanto persone ossessivamente impegnate a indagare il rapporto edipico | delle proprie radici». Lasciata Torino per tornare tra le «molte piacevolezze» della sua città, di spiagge e di montagne, di caffè silenziosi e di negozi eleganti, Magris raccomanda di visitare Trieste fuori dai canali consueti, lasciando stare, per prima cosa, la «triestinità». Avverte: «Le radici, se esibite o elevate a categoria culturale, allontanano dai valori autentici che vengono fuori nel vìssu-. to, nello stile di una città» in ' un modello impalpabile che è il viver bene. Non tutto è perduto, ma tutto è diverso. Michele Zanetti che dette il via all'esperienza affascinante di Basaglia chiamandolo a Trieste, adesso guida il porlo e vede nel molo numero 7 il grande avvenire della città. Zanetti è un politico. Tifuscl a imporre Basaglia nella cultura di psicoanalisi diffusa qual era nella Trieste di Edoardo Weiss. Promette, in queste ore, di far risalire la città al rango di porto europeo. Quello che era cinquantanni fa il terzo porto del continente, oggi è al dodicesimo posto, ma Zanetti spiega: «La ripresa è cominciata, i risultati già s'avvertono». iMmenta die i triestini non conoscono il proprio porto e spedisce i visitatori sul molo 7, dove un imprenditore di gran classe, Federico Pacorini,è riuscito a ottenere, per la sua azienda, il massimo riconoscimento della Borsa di Londra per i metalli non ferrosi. Nei suoi magazzini un telex sposta tonnellate di rame e di alluminio in tutto il mondo, con un numero di codice che cambia secondo gli ordini di Londra. Depositi senza fine con barre di metallo che cambiano proprietà con ritmi vertiginosi. «La mia voglia di fare, a7nme(te Pacorini, alla guida dell'associazione industriale, è legata a Trieste, alla volontà di ricostruire un'immagine, per non lasciar andare via i giovani, per far si che la nostra ottima università non allevi intelligenze destinate ad altri». Il tono è lo stesso di Fulvio Anzellotti che per anni ha guidalo la Veneziani, la ditta dove lavorò Svevo. Anzellotti ora progetta per Trieste un vasto futuro: nel campo profughi di Padriciano è sorta un'area di ricerca. «Tentiamo di strappare alla Spagna, dice, l'istituto di ingegneria genetica per i Paesi del Terzo Mondo, mentre il sincrotone presto sarà una realtà». Si restaurano le palazzine che ospitarono i profughi: saranno abitate da scienziati e ricercatori di tutto il mondo. Lassù, al confine, verso il Carso, Trieste cerca, nella crisi del «viver bene», nuovi orizzonti. Francesco Santini me Trieste. Un tipico scorcio del centro: la città dal più alto livello di vita cerca nuovi orizzonti (Foto Lucas)