Ciad: la dottrina Mitterrand

iad: la dottrina Mitterrand La prima intervista del Presidente francese dopo l'intervento di Parigi: «I nostri soldati sanno far bene sia la pace sia la guerra» iad: la dottrina Mitterrand «Se non ci fossimo mossi, i libici sarebbero a N'Djamena» - «Siamo in grado di rispondere militarmente a una nuova offensiva» • «Non vogliamo una spartizione del Paese», ma «una federazione è spesso più conforme alla realtà che un'unità formale sempre infranta» - «Le nostre truppe non possono essere legate a una strategia alla cui scelta non hanno collaborato» ■ «Non abbiamo ignorato gli americani; loro si sono occupati molto di noi» NOSTRO SERVIZIO PARIGI — Il presidente francese Francois Mitterrand spiega in questa Intervista, la prima concessa dopo l'intervento francese in Ciad, la posizione di Parigi sul conflitto. . Del lungo colloquio presentiamo i punti più significativi. — Lei pensa che l'azione della Francia sia stata determinante nella sospensione, forse provvisoria, dei combattimenti nel Ciad? «SI, lo è stata. Se avessimo agito altrimenti, la Francia sarebbe già in guerra con la Libia da alcune sett: ane o l'esercito libico sarebbe a N'Djamena. Ora invece c'è una tregua. La Libia ora deve riconsiderare il proprio comportamento, e non si spara più. Certo, questo primo risultato può essere rimesso in discussione in qualsiasi momento. Ma il dispositivo che la Francia ha messo in piedi le fornisce i mezzi, se necessario, di rispondere militarmente a una nuova offensiva... — In ogni caso, metà del territorio ciadiano è occupato dalla Libia. «La Libia occupa il Nord del Paese, quasi la metà del territorio quanto a superficie, ma non quanto a popolazione e capacità produttiva. In quella zona vivono circa 150 mila persone. L'esercito francese su richiesta del governo ciadiano e insieme con le forze di cui dispone, protegge l'altra metà del territorio, dove vivono da quattro a quattro milioni e mezzo di abitanti e si trova la quasi totalità delle strutture produttive. «Non sarebbe accettabile che questa situazione di fatto si trasformasse in una spartizione. L'indipendenza, la sovranità e l'integrità dello Sta¬ to riconosciuto dalla comunità internazionale costituiscono un principio fondamentale della politica francese; qualcosa di più trattandosi di un paese come il Ciad, in cui abbiamo particolari responsabilità storiche e derivanti da accordi». — Che cosa risponde a chi pensa che la Francia ha sottovalutato l'intervento libico? E che ha aspettato troppo? «Rispondo con due domande: avremmo dovuto fare una guerra preventiva alla Libia sulla base dei preparativi di cui eravamo informati? Dovevano impegnare il nostro esercito dopo la comparsa di un soldato o un aereo libico alla frontiera settentrionale del Ciad? Ho subito detto di no a queste due ipotesi. No a una guerra preventiva. No a una guerra automatica. E prima avevo detto no alla partecipazione diretta della Francia alla guerra civile. Perché questi tre no? Perché l'idea stessa di iniziare una guerra prima di una chiara aggressione esterna è contraria alla mia concezione delle relazioni internazionali. Poi. perché doveva essere chiaro a tutti i Paesi del mondo, e in particolare a quelli che sono stati colonizzati, che la Libia e non la Francia ha volontà di guerra e di dominio, e che la Francia interviene solo per difendere l'indipendenza e i giusti interessi di un Paese amico. Infine, perché la Francia non deve far da arbitro ai conflitti interni del Ciad. Le ragioni militari si aggiungono a quelle d'ordine morale e politico che ho appena ricordato. • E' per questo che abbiamo deciso che i distaccamenti francesi si installino a una distanza operativa dalle nostre basi, con un raggio d'azione adatto alle nostre possibilità di rifornimento aereo e terrestre, pronti comunque a muoversi' subito verso altri obiettivi in caso di necessità. Non ho dubbi sul valore dei nostri soldati e dei loro capi. Qualunque cosa faranno, la faranno bene. La pace come la guerra». — Non esiste il pericolo di un deterioramento del conflitto, il rischio che la Francia vi si trovi impelagata? E non siete entrati già nell'ingranaggio, mentre un'azione militare più rapida avrebbe potuto evitarlo? «E' da molto tempo che siamo nell'ingranaggio. La Francia non è alla sua prima esperienza. Dal 1969 al '72 ha combattuto in Ciad a fianco di Tombalbaye, allora presidente, contro gli uomini del Nord. Goukouni Oueddei e Hissène Habré, allora alleati e appoggiati dalla Libia. Le nostre truppe, ancor più numerose di oggi, hanno rastrellato il terreno per tre anni, e quando se ne sono andate non si era risolto nulla. Le forze francesi sono entrate di nuovo, nel '78, in questo gioco infernale. Questa volta con il presidente-generale Malloum contro Habré, poi con Malloum e Habré contro Goukouni. Eccolo, l'ingranaggio. Ne siamo usciti in qualche modo nel dicembre del 1980, quando i soldati libici chiamati da Goukouni hanno conquistato N'Djamena, da dove le nostre truppe si erano ritirate lasciando campo libero ai vincitori. Quando sono stato eletto presidente, nel 1981, la situazione era questa: la Libia di Gheddafi occupava tutto il Ciad. Dovevo ispirarmi a questo esempio? — La Francia ha stabilito una «linea rossa» tra le due parti in guerra. Questa linea si applica a entrambe le parti o solo alle forze libiche? «La Francia è intervenuta solo a causa dell'invasione libica. La Francia, lo ripeto, non si immischia direttamente nella guerra civile. I suoi soldati sono venuti in soccorso al Ciad, a fianco dell'esercito ciadiano, su richiesta del governo riconosciuto dall'Organizzazione per l'unità africana. La Francia non ha nulla contro Goukouni, a parte il fatto che sollecitando l'intervento libico, ha provocato l'internazionalizzazione del conflitto. Quanto a Habré. sa benissimo che la Francia vuol trovare le condizioni che rendano possibile un negoziato». — Una delle idee di Habré è di riunire le sue forze e di puntare di nuovo su Faya. , Habré è un uomo coraggioso e di convinzioni. Ma le nostre truppe non possono essere considerate forze suppletive, legate a una strategia alla determinazione della quale non prendono parte. Si tratta di armonizzare le decisioni. Dal momento che la presenza della Francia è giudicata necessaria, bisogna sia chiaro che essa andrà solo dove vorrà, nell'interesse comune che essa intende servire». — Quando lei parla di soluzione diplomatica, di negoziati, pensa alla spartizione del Ciad? A una soluzione federativa? «La spartizione sarebbe contraria al diritto e spingerebbe non solo il Ciad ma tutta l'Africa in un periodo di instabilità generale. Il negoziato deve avere come fine l'integrità del territorio ciadiano e il rispetto della sua sovranità. Una federazione è spesso più conforme alla scelta che un'unità formale sempre spezzata. Ma non spetta alla Francia decidere. Niente può essere deciso senza l'accordo degli stessi ciadiani». — Ma quale negoziato, secondo lei, può essere preso in considerazione? «Il negoziato più utile sarebbe quello che riunisse i ciadiani intorno a un tavolo. Ma gli antagonismi sono tali che una soluzione del genere resta, al momento, ideale. «Si può sperare in un intervento di una forza di pace interafricana. Dell'Oua, prima di tutto, dell'Onu e poi di ogni altra istanza qualificata. Ma chiunque contribuirà a far tornare la pace sarà il benvenuto. Non intendiamo comunque sostituirci ai ciadiani, ma sottolineo tuttavia che qualunque soluzione venga adottata si dovrà tendere all'unità, alla sovranità e all'indipendenza del Ciad, al ritiro degli eserciti stranieri, a un patto di non aggressione tra i Paesi della regione e alla consultazione del popolo ciadiano sulle decisioni diplomatiche che lo riguardano». — C'è stato un inizio di dialogo, una speranza? «Una speranza. Non ancora una procedura». — Secondo lei, a che cosa mira davvero la Libia? «Sembra che la sua preoccupazione immediata sia di assicurarsi se non l'espansione almeno garanzie per la sua frontiera meridionale. Di qui l'occupazione della fascia di Aouzou. Se potrà avanzare facilmente a Sud, non mancherà di farlo. Questo obiettivo si unisce certo a un progetto più vasto: quello d'infiammare l'Islam africano. Ma non credo che questa concezione politico-mistica abbia la meglio sul realismo. — Come far comprendere ai francesi che la preoccupazione della Francia va al di là degli accordi del '76? «E' evidente che l'arrivo di soldati francesi ben armati supera i limiti dell'accordo del '76, interpretato in senso stretto. Continuiamo a svolgere le nostre funzioni di addestramento e assistenza logistica. Ma abbiamo anche un ruolo dissuasivo per chi volesse avvicinarsi alla zona in cui ci troviamo. Se minacciate, le nostre truppe risponderanno, e per meglio difendersi non limiteranno la loro risposta alla semplice difesa. Questo è conforme all'appello che ci ha rivolto il governo del Ciad, conforme alla responsabilità della Francia nell'equilibrio africano, conforme all'articolo 51 della Carta dell'Onu e alla risoluzione 387 del Consiglio di Sicurezza. ■— Come ha accolto i commenti della Casa Bianca? «Non confondiamo le cose principali con quelle secondarie. Il problema Ciad non ha le dimensioni di un dissidio di circostanza tra americani e francesi. Riassumo dicendo che non abbiamo ignorato gli americani e che loro si sono occupati molto di noi. SI, molto. CI siamo incontrati, abbiamo parlato. Reagan mi ha scritto, io gli ho risposto. Ho ascoltato con interesse il suo Inviato, il generale Walters. che ha voluto vedermi d'ur¬ genza. Gli Stati Uniti hanno deciso d'inviare gli Awacs e degli F-15 in Egitto e in Sudan ma noi non glieli avevamo chiesti. Sono stati loro a comunicarci che conoscevano i movimenti lìbici, e noi li abbiamo ringraziati. E' una questione di misura. Credo che adesso le cose siano rientrate nell'ordine». A cura di Jacques Amalric ed Eric Rouleau Copyriuht «1* Monde» e |ht rilutili «La Stampa» Sabha vBase aerea LIBIA ■ Maaten es Sana ase in cosini/ione ■ Al Khofra Base aerea I m imncipale l£3 Repubblica V CENTRAFRICÀNA

Persone citate: Eric Rouleau, Faya, Francois Mitterrand, Gheddafi, Jacques Amalric, Mitterrand