Ci rivelò Kavafis di Carlo Carena

Ci rivelò Kavafis MORTO IL GRECISTA FILIPPO MARIA PONTANI Ci rivelò Kavafis BOLOGNA — Filippo Marie. Pontoni, grecista e scrittore insigne, è morto ieri a settant'anni, nell'ospedale civile di Bologna, dove era stato ricoverato in seguilo a un incidente automobilistico avvenuto alla fine dì luglio. Nato a Roma, aveva svolto il suo insegnamento all'Università di Padova, prima come titolare della cattedra di Letteratura neogreca e poi di Filologia bizantina. Moltissimi i suoi scritti scientifici e soprattutto le sue traduzioni di poeti greci antichi e moderni. Filippo Maria Pontani, per le sue singolari, felici (inalila raramente associate in un medesimo ingegno, e slato nei nostri anni uno dei classicisti italiani più, noti, anche al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, gustato e seguito da una vastissima cerchia di lettori. Dalla professione di antichista, uscito dalla severa scuola filologica di Nicola Festa, egli si era aperto verso la poesia contemporanea nella Roma fra le due guerre, e aveva poi affrontato con lavoro da pioniere la letteratura greca moderna, assumendo la cattedra di quell'insegnamento all'Università di Padova. A lui soprattutto dobbiamo le nostre letture di Kavafis, di Seferis, di Elitis. di Rit kos. Le sue versioni delle intere poesie di Kavaf; nel grosso tomo dello Specchio di Mondadori (1961), successivamente integrato con le Poesie Nascoste (1974), si ispirano ad un interesse diffuso della cultura italiana e portano significativa¬ mente la dedica a Giuseppe Ungaretti. Né era questo del tradurre, per lui, un puro lavoro da tecnico e da tavolino, sia pure al più alto livello. Rispondeva ad una necessità dì partecipazione ai problemi non solo'letterari del proprio tempo e ai destini di un Paese (la Grecia allora dei colonnelli), a cui l'interprete italiano inviava spesso esplicitamente, dalle pagine delle sue saporose e onestissime prefazioni, un messaggio di solidarietà e di protesta. «A questa voce d'un diletto Paese violentato e mulo affidiamo anclic il nostro coraggio, la nostra speranza. Libertà per la Grecia», scriveva Pontani nel dicembre del '67 presentando un primo testo poetico di Ritsos. Non diversa sensibilità lo muoveva nelle sue numerose e vaste traduzioni della poesia greca antica: soprattutto le tragedie di Euripide (Newton Compton), i lirici arcaici e corali, e l'Anto'ogia Palatina nei sei tomi dei Millenni Einaudi. E' probabilmente nell'estrema versione di quella sterminata miniera di bellezze vertigi¬ nose e di scorie letterarie che è la Palatina, pubblicata fra il '78 e l'81, che Pontani ci ha lasciato il massimo monumento della sua infaticabile attività e della sua bravura di traduttore. Sorvegliato nell'interpretazione dei testi, Pontani, quando li sente congeniali al suo gusto prezioso, al suo orecchio intensamente musicale, al suo assaporamento rotondo dell'immagine e della parola, li restituisce come noi oggi siamo solo disposti ad accoglierli, riscattandoli dal naufragio dei secoli, dalla tradizione retorica e dai pregiudizi contemporanei. Cosi i segni del suo lavoro sono destinati a rimanere a lungo nella nostra cultura come un tramite prezioso. L'eleganza della lingua, con echi letterari misti all'espressione moderna e con l'evocazione colla affiancata al vocabolo contemporaneo, fa emergere soprattutto dai frammenti poetici delle duemila e più pagine dell'antologia alessandrina una modernità impensabile di sentimenti teneri, di sensazioni sottili, di quotidianità casalinghe, di erotismi nervosi, di melodie funebri. Pontani accoppiava felicemente per. questo l'altezza della coscienza classica alla finezza ellenica e alla mobilità moderna. Il frutto che ne è derivato è irripetibile per qualsiasi altro traduttore, in quantità e qualità, per molto tempo a venire. Su di esso si è chiuso ora il suggello di una scomparsa irreparabile che rende quelle pagine ancora più commoventi. Carlo Carena^ Ettore, da un'anfora greca

Luoghi citati: Bologna, Grecia, Roma