Pu Jie, l'ultimo Figlio del Cielo di Manuel Lucbert

Pu Jie, l'ultimo Figlio del Cielo Incontro, nella Città Proibita, con l'ex imperatore dei Manciù, oggi delegato all'Assemblea popolare cinese Pu Jie, l'ultimo Figlio del Cielo Fratello dell'imperatore cinese Pu Yi, che concluse la serie dei regnanti di Pechino, fu l'uomo dei giapponesi e sposò una cugina di Hiro-Hito - La prigionia in Urss - «Consideravo Ciang-Kai-Chek un salvatore, poi mi sono reso conto che non era un vero patriota» - «Una volta ero solo una goccia d'acqua sporca, oggi sono una goccia d'acqua che si confonde nell'oceano del popolo cinese» NOSTRO SERVIZIO PECHINO — Città austera, città segreta: nonostante l'apertura della città proibita, Pechino cela ancora nel dedalo delle sue stradine misteriose dimore nascoste. Quanti personaggi dalla gloria appassita vivono oggi — dietro mura che circondano gli «hutongs» della città tartara — una vita senza lustro? E tra loro, quanti — eunuchi, discendenti di famiglie principesche, ex dignitari — hanno conosciuto, un tempo, i fasti — appena a stento immaginabili al giorno d'oggi — e il cerimoniale un po' insensato, nella sua precisione e rigore, della corte dei Qlng? Eccoci in via Huguosi, nella zona nord-orientale della capitale. Il nome le viene da un tempio vicino, oggi abbandonato, che i costruttori avevano dedicato alla «protezione del Paese-. Lasciandoci dietro il rumore del mercato e gli inevitabili vagabondi che seguono ogni straniero, in Cina, battiamo alla porta dai battenti rossi del numero 52. Un domestico dal viso rotondo, vestito con una maglietta bianca e pantaloni di tela blu di foggia ordinaria, ci accompagna verso un giardinetto interno, dove crescono alcuni susini. In fondo alla stanza un uomo non alto, gli occhi nascosti dietro spessi occhiali di tartaruga, ci sta aspettando. La storia sarebbe stata diversa, se quest'uomo esile, dal viso rugoso come un ramarro, avesse potuto salire sul «trono del drago» degli Imperatori cinesi. E' Aisin Gioro Pu Jle, l'ultimo dei Manciù. Strano destino quello di questo personaggio di un altro secolo, per non dire d'un altro pianeta. Aveva nove anni, nel 1916, quando conobbe il fratello, Pu Yi. Immaginava che l'imperatore cinese fosse una persona severa, con una lunga barba. Invece scopriva che si trattava di un bambino, di solo un anno più vecchio di lui, e che dal primo incontro lo impegna in una folle partita a rimpiattino. Il rigore dell'etichetta e dell'educazione imperiale—in realtà Pu Yi da cinque anni ormai non aveva ch<j il titolo di imperatore — avevano tenuto i due fratelli nell'ignoranza completa l'uno dell'altro, sebbene vivessero entrambi sotto gli stessi tetti della città proibita. Ma dopo le capriole, i rimproveri: la fodera del mantello di Pu Jie è gialla. Gaffe imperdonabile: il giallo non è forse il colore riservato al «figlio del cielo»? L'imperatore ha un bel essere un ragazzino; è pur sempre consapevole delle sue prerogative. Pu Jie ricorda ancora l'incidente. «Da quel giorno, non mi sono più rivolto a mio fratello se non chiamandolo "maestà". Non ho osato pronunciare il suo nome die al nostro ritorno a Pechino, nel 1959, dopo essere usciti di prigione». Nel frattempo, molta acqua era passata sotto i ponti dello Yangtze. Fratello dell'imperatore-bambino, Pu Jie ne fu anche il brillante secondo. Lo stesso Pu Yi ha riconosciuto nelle sue memorie le superiori qualità intellettuali del fratello minore. Di qui la sua idea di farne lo strumento della sua politica in previsione di una ipotetica restaurazione. L'occasione venne fornita nel 192B. Quell'anno, in mezzo all'anarchia generale, le truppe del Kuo mintang agli ordini di un certo Sun Dianylng, la cui fortu na familiare si era fondata sul gioco e il commercio del l'oppio, profanano le tombe, a centoventi chilometri da Pechino, in cui riposano gli eredi della dinastia Manciù dei Qing, antenati di Pu Yi. I mausolei dell'imperatore Qlng Long (1736-1796) e del l'imperatrice Tseu-Hl (morta nel 1908) sono saccheggiati Ciang-Kai-chek fa finta di re¬ primere l'atto di vandalismo, poi «dimentica» la cosa: ha avuto la sua parte di bottino. Da quel giorno, Pu Yi nutre 11 desiderio di vendicarsi del generalissimo e della sua cricca». Chiede ai giapponesi l'autorizzazione perché suo fratello Pu Jie possa seguire a Tokyo un corso militare. Nel marzo del '29, Pu Jie parte per il Giappone, dove è ammesso in una scuola di cadetti. Tornerà solo nel '35, per dirigere... la guardia di palazzo di suo fratello, ridiventato nel frattempo, grazie ai suol protettori giapponesi, «imperatore»: non della Cina, certo, ma più modestamente di Manciucuo, il paese Manciù. La monarchia-fantoccio non avrà mai le armi per conseguire un grande disegno, ma nella vita di Pu Jie gli anni trascorsi in Giappone rappresentano un episodio-chiave: più ancora di Pu Yi, uomo fragile e versatile, diventa lui l'uomo dei giapponesi. I giapponesi modificano in suo favore le regole della successlo ne dinastica e lui stesso, nel 1937, accoglie le richieste pressanti dei suoi nuovi amici e sposa una cugina dell'imperatore Hiro-Hito. Racconta Pu Jie: «/ giapponesi volevano assicurarsi due volte il controllo del Nord-Est della Cina. A questo scopo, proposero a Pu Yi di sposare una donna giapponese. Un di scendente maschio avrebbe avuto nelle vene una metà di sangue giapponese. Davanti al rifiuto categorico dì mio fratello, si rivolsero a me. La ragion di Stato mi costrinse ad accettare. Mi si presentarono allora una serie di fotografie di ragazze giapponesi di buona famiglia, e io feci la mia scelta. Ho avuto la possi¬ bilità di incontrare la mia sposa prima del matrimonio; ci slamo piaciuti; in fin dei conti, quindi, la nostra unione non ha avuto niente a die vedere con lapolitica». E' vero che il matrimonio ha resistito alle vicissitudini della storia. Sfuggita all'arresto da parte dei sovietici, nel 45, Hire Saga si rifugiò nel suo Paese: ritornò in Cina solo nel 1961. La separazione era durata sedici anni. Che ne pensa oggi Pu Jle, del Giappone? Ritiene che quel Paese debba occupare il primo posto nelle relazioni estere della Cina? La risposta è rapida, senza titubanze: «Si, bisogna dare la priorità al Giappone-. E poi: «Ricevo molti visitatori giapponesi. Ci sono andato varie volte, in Giappone, dopo la mia liberazione». Nell'angolo-museo del salone in cui ci ha ricevuto, sotto la protezione di un ri¬ tratto di Ciu Enlai, alcuni oggetti che ricordano al visitatore questi legami familiari: foto ingiallite, lettere. E Clang Kai-chek? E' stato davvero 11 traditore infame che si è detto? E lui, l'ha davvero odiato tanto? Un'ombra di franchezza gli passa per un istante sul volto: «Quando eravamo nel Nord Est, lo consideravo un salvatore, un eroe. Avevo paura, è vero, dei comunisti, non capivo che cosa vo¬ lesse questo partito e, in questo senso, mi sentivo più vicino ai nazionalisti». Da allora, tuttavia, Pu Jie ha cambiato idea, si è «reso conto» che l'ex capo del Kuomintang «non era un vero patriota»; «Non direi che Ciang sia stato peggiore dei signori della guerra, ma credo che se avesse continualo a governare, la Cina sarebbe oggi una colonia degli Stati Uniti o di qualdie altro Paese». Pu Jie ha qualcosa contro gli americani, allora? Niente affatto. «Da un punto di vista globale, abbiamo interessi comuni con gli Stati Uniti», dice. «Ma, come lei sa, in questo momento abbiamo qualche disputa con loro». Come se fosse spaventato da questa incursione nell'alta politica, Pu Jie precisa che si tratta di un punto di vista «strettamente personale». Quanto alle relazioni con l'Unione Sovietica, non è al corrente delle consultazioni in corso, ma crede, ancora a titolo personale, che «esistano tra i due Paesi delle divergenze su problemi fondamentali». Dei russi, l'«ultimo dei Manciù» non conserva un ricordo molto buono. In cinque anni di prigionia a Chita e poi a Khabarovsk, assicura di non aver imparato una sola parola di russo. «Ci ingannavano continuamente. Cercavano di farci credere die se fossimo caduti nelle mani dei cinesi, saremmo stati massacrati». . Divenuti maestri da tempo nel lavaggio del cervello, i comunisti cinesi — seguendo il famoso precetto di Mao: «Guarire la malattia per salvare l'uomo» — dovevano riservare a Pu Jle, al fratello imperatore e al loro seguito di «criminali di guerra» filo-giapponesi, un trattamento più rottile. Con un paziente lavoro di «rieducazione», sono riusciti a fare di quegli aristocratici arroganti e crudeli dei buoni cittadini della Repubblica popolare, docili come agnellini. Un risultato che Pu Jie riassume con una frase, in ogni intervista: «Una volta ero solo una goccia d'acqua sporca. Oggi sono una goccia d'acqua che si confonde nell'oceano del popolo cinese». Dal '78, Pu Jie è un «rappresentante del popolo» all'Assemblea di Pechino. Nella legislatura precedente era «deputato» di Shangai. Quest'anno, è stata la provincia di Liaonin a inviarlo nella capitale. Come è stato scelto? «Mi ha eletto il popolo». Manuel Lucbert Copyright «Ia: Monde» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: Chita, Ciang, Cielo Fratello, Mao, Qing, Sun Dianylng