Tutti i pericoli della montagna di Gigi Mattana

Tutti i pericoli della montagna L'inesperienza o la troppa confidenza a volte sono causa di sciagure Tutti i pericoli della montagna Quando aumentano le difficoltà di terreno salgono i margini di rischio - La statistica dei decessi vede però al primo posto la «scivolata su prato o sentiero» - Dice Messner: «Ogni modo di andare in montagna è valido se commisurato ai propri mezzi» - Meglio portare nello zaino un panino in meno, ma una giacca a vento in più La statistica precisa verrà compilata soltanto in autunno, ma non passa giorno di questi mesi estivi in cui non giungano notizie di morti in montagna. Forse, ina è soltanto un'impressione, sono ili quantità minore degli anni scorsi, ma è certo che la tragedia ha una sua triste equanimità nel colpire tulli, dal modesto escursionista all'alpinista più bravo. Sarebbe assurdo parlare sempre c soltanto di imprudenza, perché in montagna, siicele quando aumentano le difficoltà di terreno, salgono necessariamente i margini di rischio e l'imprevedibile è sempre in agguato. Ma è certo, comunque, che tutte le varie categorie di -utenti, della montagna sono portate a commettere errori, a trascurare qualcosa. Facili passeggiate — Credo che da decenni periodicamente compaiano sui giornali le drammatiche cronache di gitani! morti nel luoghi più banali ixTché camminavano con scarpe da città. La statistica annuale pubblicala dal Corpo nazionale del soccorso alpino vede sempre al primo l>oslo nei decessi, inamovibile, la «scivolala su prato o sentiero». E' triste, ma non c'è nulla da fare: ci sarà sempre chi vorrà scendere un ripido prato senza esserne capace cosi come chi vorrà fare il bagno malgrado la bandiera rossa. Kscurslonlsmo, traversate c trekking — Parliamo delle nostre Alpi, di camminale mediamente di sei-otto ore. a volle per alcuni giorni, su sentieri o tracce di sentiero e a quote che solo eccezionalmente possono superare i tremila metri (quindi sarà rarissimo incontrare ghiacciai). Questo è un terreno che porla ogni anno un pesante tributo di vittime e su cui l'imprevisto non ha quasi peso, ma la coli» è nel 99 per cento dei casi dell'escursionista. Il punto base è in quel maledetto zaino che si ha sulla schiena e che. per quanto si faccia, pesa sempre tropi». L'Italiano in montagna ha paura di morire di fame: ecco quindi panini e cioccolate a chili, spesso anche la bottiglia di vino (e dire che non siamo in Islanda o nella Terra del Fuoco dove non si incontrano rifugi), ma non resta spazio per cose vitali. Se però senza il minimo problema si può resistere un palo di giorni non mangiando o mangiando pochissimo, restare sorpresi una notte all'aperto da un temporale può significare la morie. Ed ecco che i due chili di una giacca di piumino, di un sacco a pelo o di un telo di alluminio surclassano il prosciutto crudo e la torta di mele. I consigli sono moltissimi e sempre I soliti: avere con sé una carla topografica e naturalmente saperla leggere; badare alle vipere su ceri! terreni (e avere una confezione di siero); conoscere un minimo di meteorologia e mille altre cose. Ma quanti pericoli si eviterebbero con una semplice avvertenza che il pigro ignora. Non avere paura di alzarsi prestissimo e di partire alle prime luci dell'alba. Sul nostro versante delle Alpi i temporali, le nebbie e gli annuvolamenti arrivano quasi sempre il pomeriggio; si evitano le ore di caldo (e dalle 4 a mezzogiorno si ha tutto il tempo per una splendida gita); una situazione difficile la si affronta molto meglio psicologicamente senza la paura della notte che si avvicina. Alpinismo — I «puri» arricciano il naso dinanzi a certe prestazioni di velocità e funambolismo che distinguono molti giovani scalatori. E' un discorso sciocco e che spesso sotto la difesa dell'etica nasconde l'Invidia: in montagna tutto può essere valido se commisurato alle proprie capacità. Se io volessi fare la Est del Capucin In solitaria sarci pazzo (e cadrei dopo due metri), chi si allena tutto l'anno e vuol passare in poche ore dove gli altri hanno impiegato giorni è liberissimo di tentare; ed è interessante notare come questi scalatori di élite, quando si prefiggono una meta, quasi mai sono costretti al ritiro. Nell'alpinismo «normale», quello cioè di molte vie classiche e di media difficoltà, ai rischi di base dello zaino troppo leggero (e quindi problemi nell'alirontare l'imprevisto) e di sopravvalutazione delle proprie capacità, si è recentemente aggiunto l'uso di un'attrezzatura inadeguata, ma per eccesso. Modesto su ghiaccio e ancor più umile rocciatore, confesso di essere caduto anch'io nella trappola. Vedendo i risultati strabilianti che si potevano ottenere con i mate riali dell'ultima generazione, ho voluto provarli: la piccozza e i «nuts» che nelle mani di Gabarrou o di Bérhault diventano strumenti per un'esecuzione perfetta, nelle mie erano armi per il suicidio. Come sarebbe bello avere a disposizione tutte le montagne del mondo ed essere l'unico uomo abilitato a salirle; cosi, oltre alle difficoltà naturali, non si avrebbe da affrontare anche l'amico che ha impiegato un'ora meno di te o è passato in «libera» dove tu ti sei penosamente attaccato al chiodo. Ha ragione Relnhotd Messner quando afferma che non esistono alpinismi di Serie A o di Scric C: ogni modo di an dare in montagna è valido se commisurato ai propri mezzi e se dà soddisfazione. Ma è anche facile per lui dirlo dall'alto di dieci «ottomila» conquistati. Gigi Mattana bv

Persone citate: Gabarrou, Messner

Luoghi citati: Bérhault, Islanda