Ha quindici anni l'inverno di Praga di Ferdinando Vegas

Ha quindici anni l'inverno di Praga Ha quindici anni l'inverno di Praga L'intervento russo sarebbe poi stato teorizzato nella «dottrina Breznev» sulla sovranità limitata - La normalizzazione del Paese dopo l'euforia della «primavera» di Dubcek ha soffocato politicamente e culturalmente il popolo cecoslovacco - L'ex segretario del partito, che ha rifiutato l'autocritica, vive oggi in provincia, impiegato in una azienda forestale - Ma i superstiti non si arrendono, come dimostra l'esempio di «Charta 77» Quindici anni fa, esattamente a partire dalle ore 23 del 20 agosto 1968, centinaia di aerei, migliaia di carri armati, centinaia di migliala di soldati dell'Unione Sovietica e di altri quattro Paesi del Patto di Varsavia (Polonia, Germania Orientale, Ungheria e Bulgaria; solo la Romania si astenne) piombarono sulla Cecoslovacchia e occuparono fulmineamente «tutte le città e le regioni., come proclamò la Tass. Cosi l'Internazionalismo proletario cele' brava uno del suoi maggiori trionfi, avendo schiacciato il •socialismo dal volto umano» fiorito con là •primavera di Praga»: un trionfo assai tri' ste, se l'Internazionalismo, il socialismo, 11 marxismo venivano ridotti, da dottrine capaci di animare gli uomini, a meri pretesti della ragion di Stato, imposti con la forza bruta dei carri armati. Il significato profondo del l'avvenimento fu colto da Le Monde che il 5 gennaio 1979, nell'anniversario della nomina di Alexander Dubcek a primo segretario del partito comunista cecoslovacco, seri' veva: -Quale traccia lascerà nella storia quest'anno tragico, nel corso del quale le nozze del socialismo e della libertà sono state dichiarate nulle?». Questa congiunzione, anzi fu- sione, di socialismo e libertà era stata appunto la meta perseguita dagli uomini della •primavera»; uomini che erano dei comunisti di lunga data e di provata fede ed agivano come dirigenti del loro partito comunista, non come rivoluzionari, bensì come riformisti. Ma proprio In questo modo essi stavano attuando una vera rivoluzione rispetto al modello sovietico; e Mosca lo comprese tanto bene che ritenne di non poterlo tollerare: la cosiddetta •dottrina Breznev», enunciata poco dopo, sancirà infatti il principio della •sovranità limitata» per gli Stati Inclusi nell'orbita sovietica e quindi anche per 1 partiti comunisti al potere una ferrea limitazione, sul piano ideologico e sul piano politico. I comunisti cecoslovacchi andavano dunque ri' condotti all'ordine; e per questo non bastavano 1 carri armati e si dimostrarono pure Insufficienti te pesanti pres sionl alle quali furono sottoposti Dubcek, Smrkovsky, Cernile e altri dirigenti, immediatamente catturati e trasportati a Mosca. D'altra par' te, non si riuscì nemmeno a trovare un Quisling che si mettesse docilmente al servizio degli occupanti. Fu quindi necessario ricorrere a procedimenti più accorti, avviando quella •normalizzazione» (come la chiamano gli stessi cecoslovacchi) che dura tuttora: un processo lento e grigio, ma non per questo meno sinistro, il quale ha dato esteriormente il risultato voluto, ma al prezzo di soffocare la vita Interiore del popolo cecoslovacco, politicamente e culturalmente. Il processo s'è svolto, per cosi dire, dinamicamente nella prl- ma, breve fase, che si può dire conclusa col XIV Congresso del partito, tenutosi nel maggio 1971; da allora ad oggi, e sono passati più di dodici anni, la Cecoslovacchia «normaUzzata» giace sotto la cappa del conformismo, salvo le voci che si levano da un indomabile dissenso. Non è qui 11 caso di ripercorrere le tappe della prima parte, condotta gradualmente con grande abilità. Dubcek, infatti, fu lasciato primo segretario del partito fino all'aprile del 1969, quando, ormai esautorato, fu rimosso e no¬ mspdtialsncl minato presidente dell'Assemblea federale, per essere poi, nel gennaio 1970, escluso dal Comitato centrale e inviato ambasciatore in Turchia; infine, nel giugno dello stesso anno, avendo rifiutato di fare l'autocritica (cioè, di confessarsi colpevole di capitolazione ideologica, resa alle forze controrivoluzionarie e simili), fu espulso dal partito e da allora vive In una località di provincia, impiegato in una azienda forestale. Sorte analoga è toccata agli altri maggiori esponenti della •primavera»: Smrkovsky fu anch'egli espulso dal partito nel marzo 1970; in gennaio aveva dovuto lasciare la presidenza del Consiglio dei ministri ed era stato escluso dal Presldlum del partito Cernile, che pure si era convertito alla •normalizzazione», ma infine sarà anch'egli espulso dal partito. Del quartetto dirigente al tempo della «primavera» solo il presidente della Repubblica, l'anziano generale Svoboda, rimase in carica fino a quando, nel 1975, dovette dimettersi per ragioni di salute. Lo sostituì Gustav Husak, che già nel 1969 aveva preso il posto di Dubcek alla testa del partito, come capofila dei «realisti», 1 fautori di una convinta acquiescenza alle imposizioni esterne, quanto a dire sovietiche. Husak, l'ingegnere dell'oblio e lo sradicatore della storia: cosi lo definisce lo scrittore in esilio Mllan Kundera, che indica la maggiore responsabilità di Husak e di tutti 1 •normalizzatori» più ancora nel •massacro della cultura ceka» che non nell'asservimento politico. Kundera, come uomo di cultura (adesso è professore universitario in Francia), non può non essere particolarmente sensibile a quest'aspetto; ma in fondo a ragione, perché la storia della Cecoslovacchia di Husak non s'è svolta tanto sul piano politico quanto su quello culturale. Politicamente vi è ben poco da dire sulla seconda, lunga fase del processo di -norma tlzzazione», dal 1971 ad oggi che nel gruppo dirigente vi siano contrasti tra elementi più moderati, appunto «reali sti » qual è Husak, ed elementi «duri», come 11 presidente del Consiglio (dal 1970) Strougal o perfino «oltranzisti» (Bilak), non toglie che sostanzialmen te si tratti di una storia caratterizzata dall'immobilismo, a cominciare dal partito, come ha confermato nell'aprile 1981 l'ultimo Congresso, il XVI. Nell'economia, le .misu re» (non si è osato chiamarle riforme) del 1980 non hanno introdotto alcuna modifica strutturate, limitandosi a codificare la pratica esistente. 8e 11 regime avesse voluto Invitare ogni cecoslovacco a chiudersi nel suo «particulare» non avrebbe agito diversamente: rassegnazione, disinteresse, apatia, su uno sfondo di scetticismo, questo è lo stato d'animo della grande maggioranza dei cecoslovacchi. Né potrebbe essere altrimenti in un Paese la cui cultura, l'anima stessa della nazione, è stata deliberatamente uccisa: dopo l'invasione sovietica, riferisce Kundera, due centinaia di scrittori sono state ridotte al silenzio, cosi come registi, artisti, attori; con essi, migliaia di studiosi, dagli scienziati agli storici, ai docenti universitari e liceali, al giornalisti, sono stati perseguitati, licenziati, costretti a lavori manuali per sopravvivere, alcuni imprigionati, altri costretti all'esilio. Eppure 1 superstiti non si arrendono: valga per tutti l'esemplo di Coarta 77, il manifesto pubblicato 11 primo gennaio 1977 con centinaia di firme, espressione del movimento omonimo, che si propone di alutare i cittadini cecoslovacchi a difendere 1 propri diritti civili e umani in conformità alla Costituzione e alle leggi vigenti. Ma i cecoslovacchi, come ha detto nel 1977 il presidente della Corte Suprema, forse non •godono di diritti e dilibertàillimitati»? Oli uomini di Charta 77 che continuano a diffondere dichiarazioni e documenti in senso contrario siano dunque sottoposti al rigori della legge, come implacabilmente avviene; ed egualmente si proceda contro 1 sacerdoti e religiosi cattolici che non si conformano alle direttive del regime. Ma un regime che trova sempre nuove vittime da perse guitare offre la prova migliore che la •primavera, del 1968 continua a dare germogli: uno viene strappato e subito ne spunta un altro. Ferdinando Vegas r 1 e l o e , ra indifferenza e ostilità la folla cecoslovacca passa accanto ai carri armati sovietici nelle vie di Praga (Poto Grazia Neri)