Chamoun: falliti gli sforzi americani ma il Libano conta ancora sugli Usa di Bernardo Valli

Chamoun: falliti gli sforzi americani ma il Libano conta ancora sugli Usa A colloquio con il vecchio leader libanese, privilegiato da Begin Chamoun: falliti gli sforzi americani ma il Libano conta ancora sugli Usa L'ex presidente (25 anni fa chiese l'intervento dei marines nel suo Paese) sottolinea l'incapacità degli inviati di Reagan a ammorbidire la Siria - L'errore iniziale di Habib: puntò su Israele trascurando Damasco DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT — Dodici mesi di ininterrotta, frenetica, attività diplomatica americana hanno dato scarsi risultati. Dopo l'assedio di Beirut Ovest e la partenza dell'Olp, l'obiettivo di Washington era di ristabilire l'autorità dello Stato libanese e quindi di ottenere il ritiro delle truppe straniere, quelle israeliane e quelle siriane. A un anno di distanza, il presidente Amin Gemayel controlla formalmente soltanto la capitale e qualche fazzoletto di terra limitrofo, e le truppe di Damasco e di Gerusalemme occupano sempre i due terzi del Paese. Le prime nel Nord, le seconde nel Sud. Oli sforzi dell'esperto mediorientale Philip Habib, poi l'intervento personale del segretario di Stato Shultz ed ora il fresco entusiasmo di Robert McFarlane, 11 nuovo inviato speciale americano, non sono riusciti a modificare la situazione. Se in primavera realizzerà, il progettato o vagheggiato viaggio nella regione, con una tappa in Israele, Reagan rischia di trovare immutato l'odierno groviglio, oppure qualcosa di peggio. Camillo Chamoun, 82 anni, 11 più filo-americano e il più filo-israeliano dei capi libanesi cristiani, alza le mani color cuoio dal braccioli della poltrona e le lascia stancamente ricadere. *Gli americani non hanno combinato nulla', sentenzia. Ma aggiunge subito per addolcire il giudizio severo: «Però non bisogna dargli addosso, perché soltanto loro ci possono aiutare». Il desolante e al tempo stesso fiducioso bilancio di Chamoun è degno di attenzione perché fu lui, più di un quarto di secolo fa, quando era presidente della Repubblica, a chiedere l'intervento dei marines Usa, che sbarcarono sulle spiagge di Beirut per mettere fine ad una breve e non troppo cruenta guerra civile. Ed è da lui che, tre giorni or sono, si è recato Moshe Arena, 11 ministro Israeliano della Difesa, durante la rapida, ma clamorosa visita a Beirut. Senza avvertire il governo libanese, martedì, Arens ha passato in rassegna le milizie cristiane, le quali costituiscono l'ala destra del «potere» libanese ufficiale e che spesso lo condizionano, e poi, sempre nel quartiere cristiano di Ashrafleh, è andato a trovare Camme Chamoun. Due gesti che erano un messaggio politico preciso al presidente Amin Gemayel, rivelatosi meno duttile del previsto e finora sottrattosi alla ratifica dell'accordo raggiunto il 17 mag¬ gio con Israele. Arens, insomma, ha dimostrato a Gemayel di avere amici fidati a Beirut: le falangi di Chamoun. La crisi suscitata dalla visita di Arens, giudicata dall'opposizione ed anche da alcuni membri del governo una •provocazione», si è smorzata, poiché 11 primo ministro (musulmano) Wazzan non ha dato le minacciate dimissioni. Ma l'episodio ha messo in risalto, se mai ce ne fosse stato bisogno, la fragilità di Gemayel. Nello stesso salotto borghese, inondato di luce, in cui ha ricevuto tre giorni or sono Arens, il vecchio Caratile Chamoun riassume con realismo la situazione: la debolezza dello Stato libanese, praticamente ridotto ad esercitare la sua autorità sulla sola città di Beirut, 11 ruolo delle milizie cristiane che costituiscono una forza 'Ufficiosa» ma determinante, l'incapacità americana di sbloccare la situazione, cioè di costringere la Sirla a ritirare le sue truppe. Pilo-israeliano, Chamoun crede nella dichiarata volontà di Gerusalemme di ricondurre in patria, con il tempo, le proprie truppe. Riferendosi alla decisione del governo di Gerusalemme di fare arretrare tra breve i suol soldati nel Sud del Libano, al di là del fiume Awali, egli dice che un'identica iniziativa annunciata da parte siriana sarebbe stata salutata con entusiasmo. Mentre Arens, venuto a Beirut a ribadire la decisione, ha suscitato scandalo. L'ex presidente libanese non condivide i sospetti che pesano sulla mossa israeliana, non pensa che Gerusalemme, una volta installato 11 suo esercito nella fascia meridionale del Paese, da dove può tenere sotto controllo i siriani, non si muoverà tanto facilmente. La sua diffidenza è rivolta alla Siria, le cui mire storiche sul Libano lascerebbero scarsi dubbi. E' comunque vero che il fallimento della diplomazia americana, negli ultimi dodici mesi, è in gran parte dovuto alla scarsa attenzione dedicata a Damasco. Philip Habib, 11 primo del negoziatori americani, ha concentrato i suol sforzi soprattutto su Israele, considerandolo 11 solo esclusivo interlocutore. Era una scelta motivata con argomenti rivelatisi poi sbagliati. Da un lato si pensava che un accordo tra 11 governo di Gerusalemme e quello di Beirut avrebbe isolato la Siria, costringendola a sua volta a cedere e a ritirare i suoi uomini. Dall'altro si riteneva che era più naturale. In un primo tempo, agire su Israele, tenendo conto del rapporti privilegiati che esso ha con gli Stati Uniti. Era in definitiva la via più facile. Quella per Damasco si sarebbe poi socchiusa, se non proprio spalancata. Di fronte alla potenza degli Stati Uniti e alla forza «regionale» israeliana la Siria avrebbe finito con l'accettare un compromesso, tenendo conto che il presi- dspcotrlastdafinUIstaaledzatianmnGfocl'stamlostra«nlatadente Assad non è una pedina sosovietica In Medio Oriente, izma che, al contrario, dispone' di un margine di manovra cospicuo rispetto a Mosca. Cosi come Gerusalemme è tutt'altro che disposta a piegarsi alla volontà di Washington. Non si è pensato — questo è stato 11 grande errore iniziale di Habib — che la Siria non aveva interesse alcuno a ratificare e a facilitare l'operazione diplomatica degli Stati Uniti, alleati obiettivi di Israele in Medio Oriente, e tanto meno ad accettare gli accordi Stipulati tra Gerusalemme e Beirut, che la escludevano dal gioco. A differenza di Reagan, o dei suoi inviati, 11 primo ministro Begln aveva previsto il rif iutp siriano di ritirarsi dal Libano, simultaneamente agli israeliani. Ed è forse per questo che Gerusalemme ha accettato formalmente di andarsene, condizionando ovviamente l'impegno a un'identica decisione di Damasco. Cosi tutto è rimasto immutato nel Libano, dopo dodici mesi. E 11 filo-americano o filo-israeliano Chamoun è costretto a dire con realismo e rammarico che gli americani «non hanno combinato nulla». Anche se è vero che soltanto loro, gli americani, pos- sono disinnescare una sltuazlone esplosiva, Bernardo Valli