Gli orfani di Vienna

Gli orfani di Vienna «Per fortuna c'è l'Austria»: I nella sua critica delle forme \ne dimmtra iahenra ìtievitahi-fortuna c'è l'Austria»: nella sua critica delle forme ne dimostra l'esigenza inevitabi SEDUCENTE «CULTURA DELLA CRISI» Gli orfani di Vienna «Per fortuna c'è l'Austria»: I nella sua critica delle forme \ne dimmtra iahenra ìtievitahi-fortuna c'è l'Austria»: nella sua critica delle forme ne dimostra l'esigenza inevitabi «Per fortuna c'è l'Austria»: I nfortuna c'è l'Austria»: ncosi è stampato in tedesco sul faverso di una cartolina giunta- umi da Vienna e sulla quale scampeggia il noto volto baffu- to di Francesco Giuseppe. E' nun genere di cartolina diffusis- ssimo in tutte le rivendite della lsplendida città e che affascina ail turista colto. Quella scritta, sinfatti, esprime qualcosa di Tpiù della nostalgia dei Vienne- csi per l'epoca in cui la loro cit- mtà era la capitale, sia pur al tra- Emonto, dell'«impero d'Orien- rtc» (Oesterrcich). cChe sotto l'impcrial-regio cgoverno ci sia stata una serie rdi «eventi felici» l'ammette sanchc chi non è viennese o gnon rimpiange Francesco Giù- cseppe come simbolo di una ormai remota «belle epoque», aSebbene la monarchia asburgi- lca fosse minata senza scampo rdall'irrequietezza delle mino- granze nazionali e dalla sua in- tcapacità di adeguarsi ai muta- dmcnti, talché l'impero si dis- fsolse di colpo alla fine della tguerra, molti temi del pensic- Kro d'oggi hanno avuto tutta- Mvia là le loro radici. «La traduzione italiana di un dlibro, in cui dieci anni fa Janik ne Toulmin studiarono la for- amazione del viennese Witt- mgenstein, ebbe giustamente Kper titolo La grande Vienna, qEra «grande», infatti, la rie- chezza culturale di una città ove, all'inizio del Novecento, voperavano un metodologo deila scienza come Mach, Freud l'indagatore dell'incon- scio, Adolf Loos teorico dell'architettura funzionale, e innovatori dell'arte musicale e figurativa quali Schonberg e Kokoschka. E sono solo alcuni nomi tra i molti disponibili. Cosi non sorprende che, scomparso l'impero, Vienna sia stata ancora per circa ven- t'anni un centro vivissimo di idee sociali, economiche, edu- cative; e che in essa si sia co- stituito quel «Wiener Kreis» di filosofi e scienziati che die- de una svolta decisiva alla ri- cerca epistemologica e,., anfhft per reazione polemica, a tutto il pensiero contemporaneo. Ma ciò non basta, aedo, a spiegare l'interesse che da più parti si sta mostrando per la cultura fardo-asburgica. Forse perché da essa viene il fascino, dolce e un po' morboso, di una «cultura della crisi». Vi- viamo un'epoca di tensioni e insicurezze (come del resto sono state tutte le epoche), e non ne scorgiamo facili uscite. A molti intellettuali questa pare una inaudita novità: sic- che fanno del concetto di «ai- si» la loro categoria domi- nante. Non si bada all'ambiguità del concetto, perché di «aisi» si parla tanto in senso negati- vo, come disfacimento, quan- to positivo, come sostituzione di forme stereotipe con altre più vitali: cosi è, ad esempio, per la cosiddetta «crisi delle scienze» da cui deriva in realtà l'odierno sviluppo di esse assieme a quello della tecnologia. Ora è alla moda speculare sulla «crisi»: e lo mostrano le monotone, ripetute esercitazioni irrazionalistiche o sulla «crisi della ragione», quasi che l'uomo d'oggi stesse vivendo una mutazione evolutiva. La «grande Vienna» attrae quale anticipazione della si- ?uazione attuale, modello di una crisi culturale in cui i no- . .... . .« ., stri nichilisti già scorgono il crollo, da essi teorizzato, di tutti i temi ai quali l'uomo per secoli s'era richiamato per orientarsi e dare un senso alla propria vita. Di là dai conte- nuti specifici, avvince la diffu- sa reazione viennese alla cultu- «... . . . ra «ufficiale», reazione: simbo- leggiata in un Karl Kraus e nella sua critica delle forme \ne nella sua critica delle forme falsificanti del linguaggio usuale, il quale cela anziché svelare i problemi, E' sintomatico che a Vien na si sia allora tanto insistito sulla crisi e sulla critica del linguaggio, che si era invece abitualmente considerato un saldo quadro d'orientamento, Tale critica investe anche il campo letterario: da Hof mannstahl a Rilke a Kafka, Essi divergono si nel designa re ciò ch'è profondo e autenti co; ma hanno in comune il convincimento che rimane racchiuso nel profondo del soggetto e che il consueto lin guaggio non riesce a comuni cario agli altri, A chiarire tale prospettiva è assai utile La nevrosi austriaca, la bella raccolta di saggi sul romanzo che Guido Morpur go-Tagliabuc ha ora pubblica to presso Marietti. Tralascian do altri temi del libro, mi sof fermo qui soltanto sulle pene trami interpretazioni di Franz Kafka, Joseph Roth e Robert Musil quali esponenti della «crisi» austriaca e, in genere, del Novecento. Solo Musil, nato a Klagenfurt, fu in effetti austriaco in senso stretto, mentre Roth era galiziano Kafka di Praga; ma tutti e tre, quali cittadini dell'impero, ne espressero il dramma nei loro scritti, pur editi in tempi di versi. Morpurgo non segue il ti po di lettura molto diffuso tra i «crisiologi», che cercano an- nelechddqsopnfk'tuhfkreMpnnKinctgdcrldmsiszlsatdoche nei romanzieri austriaci germi del loro nichilismo Convinti che nella storia urna na nulla trascenda la contiti genza delPimmcdiatamente vissuto, essi indulgono alle in terpretazioni biografiche e so ciologichc di quei romanzi, ri ducendoli ad «avventure» de gli autori. Avventure com plesse specie negli ebrei Kafka e Roth, in cui con i temi della cultura viennese si intrecciano quelli della tradizione ebraica dell'Europa Orientale e della loro derivazione sociale, bor ghese q cpritadjna. sa\ Tener presenti tali «fonti è certo indispensabile. Ma l'o pera concreta sfugge fin che se ne fa soltanto il paradigma di una situazione sociale e bio grafica, e non se ne coglie quella trasformazione estetica che di una contingenza vissu ta fa un tipo universalizzabile di risposta al perenne, costante, angoscioso interrogarsi dell'uomo, oggi come nel passato. Proprio l'individuazione di a questi temi tipici è l'intento, ben realizzato, di Morpurgo. Cosi è per Roth, la cui inte ra opera letteraria egli scorge ruotare attorno al tema del- à l'immancabile dissoluzione di » ogni ordine, morale o sociale, - e della contrastante necessità - di un ordine. Nei suoi romane zi storia e cronaca diventano e «parabola»: la decadenza di un , ordine «mette in crisi ogni volta e l'individuo, e proprio per questo ne dimmtra iahenra ìtievitahi- ne dimostra l'esigenza inevitabile». E così anche per Musil, che Morpurgo legge valendosi della soggiacente problematica di Kant, sebbene «l'uomo senza qualità», pur brancolando verso la verità, rifiuti la kantiana possibilità di un appagamento nell'Assoluto. Anche l'ambiguità di Ka fka, di cui quest'anno ricorre centenario della nascita, 'angosciosa assurdità delle si tuazioni dei suoi racconti, che ha introdotto l'aggettivo «kafkiano» nel vocabolario corrente, si chiariscono quando Morpurgo trova espresso nel protagonista del Castello, inva no tentante di entrare nell'i' naccessibile rocca, il senso che Kafka dà allo scacco cui va inesorabilmente incontro ogni nostro sforzo: «Anche se la ricerca appare impossibile, la dignità sta nel persistere a proseguirla». Kafka, Roth e Musil sono davvero «orfani della metafisi ca», perché consapevolmente rinunciano alle certezze assolute. Ma, contro il nichilismo dei «crisiologi», Morpurgo mostra che non per questo essi segnano l'inizio di un'epoca in cui l'uomo abbia perso l'esigenza di assoluto e di certezza. Anche oggi, come sempre, l'uomo è ed opera in quanto sente tale bisogno, che si può apprezzare pur sapendo quanto sia illusoria la consolazione della supposta definitività d ogni suo appagamento. Francesco Barone