Tragedia western ai confini della Galilea di Stefano Reggiani

Tragedia western ni confini della Galilea 58 CHIUDE OGGI CON LE PREMIAZIONI IL FESTIVAL PEL CINEMA PI LOCARNO Tragedia western ni confini della Galilea La difficile convivenza tra ebrei e arabi sulla frontiera di Israele in «Hamsin» - Dalla Francia un film di Goupil DAL NOSTRO INVIATO LOCARNO — Annuncia il cartellone del Festival: Hamsin di Daniel Wachsman, versione originale israeliana e araba, prodotto con i fondi del governo di Israele per il cinema di qualità. Hamsin è il vento caldo del deserto che soffia sulla frontiera della Galilea, gli spettatori vi si espongono con quella dubbiosa voglia di capire e di fare 1 conti che riguarda le grandi questioni controverse e irrisolte, le colpevoli ferite della storia. Vengono pochi film da Israele, alcuni severi con la condizione umana delle citta e l'emarginazione dei più deboli; altri sarcastici sulla vocazione guerriera imposta al popolo ebreo; di rado si parla di arabi ed ebrei nella realtà1 di una convivenza precaria nelle regioni storiche dello Stato (per non dire in quelle di recente occupazione). In Hamsin una vecchia famiglia di ebrei «buoni» sopravvive alla propria decadenza ai margini del deserto; solo il figlio maschio s'appassiona al lavoro di allevatore e cerca di acquistare dai suoi vicini arabi un vasto appezzamento di terra per farne pascolo. Ma sua sorella, per esempio, occhi grandi e seno acerbo, ha passato «quasi un anno dormendo». E poi, è difficile trovare braccianti arabi, la guerra, la nuova politica espansionistica di Israele hanno riacceso anche nel villaggio di •Hamsin- la radicale diversità di condizione politica, di contrapposizione etnica. Un grppo di giovani palestinesi distrugge per ribellione e vandalismo la piantagione degli ebrei «buoni.., i Birman; un gruppo di giustizieri ebrei comincia una serie di spedizioni punitive. Il clan arabo degli Abbas adesso non vuole più vendere le terre, temendo che comunque saranno confiscate, e si prepara alla sua guerra interna. 'Non cedere anche tu — dice il volonteroso giovane Birman al capo degli Abbas — sennò sarà troppo tardi per rimediare'. Ma forse è già troppo tardi, quando il generoso Birman scopre che l'assistente arabo accolto ostentatamente in casa va a letto con la sorella dai grandi occhi, sente agitarsi dentro di sé il peso della tradizione e del razzi¬ smo. Dice la madre : «Un fatto simile non si era mai visto». Birman, durante il lavoro nell'allevamento, libera il toro e lascia che uccida con una cornata l'arabo contaminatore. Che vuol dire il film parlato in arabo e israeliano? Che non bisogna distruggere la pace sociale faticosamente conquistata tra ebrei buoni e arabi buoni? Che gli israeliani debbono combattere definitivamente 11 loro razzismo? Può darsi, ma l'impressione è di un contrasto che non si sanerà mai, neppure col film di Wachsman, che è come una specie di melodramma western ambientato nella parte più calda del mondo. Quanto all'Europa, pare che dopo il '68 sia cominciato subito il postmoderno per gli autori che hanno preso le distanze. Romain Goupil, 32 anni, s'era segnalato a Cannes col suo eccellente Mourir à trente ans, ritratto del Maggio francese visto attraverso le delusiohi private. Adesso, nella Java delle ombre ha voluto allargare l'analisi. Un ex sessantottino, incarcerato per atti terroristici esce dalla prigione per un calcolo della polizia, deve fare da trappola per un gruppo di estrema destra che s'annida anche tra le stesse forze del l'ordine. Tutto avviene come in un film poliziesco, a grandi scene slegate e con poco senso, nello stile di Beineix («Diva»), e in fondo, dopo l'assassinio dell'ex sessantottino, resta 11 dubbio se il piacere del film di genere non abbia prevalso sul convincimento ideo logico (la generazione delle illusioni s'è perduta con le sue armi). Forse è meglio abbando narsi alla poesia di Radnik, «La sorgente», del russo Arkadl Slrenko (già visto in altri festival). Elegia di un villaggio prima e durante la guerra, che non evita la retorica, ma cerca almeno la commozione. Forse è ancora meglio, per abbrutimento totale, abbandonarsi tra le braccia dello svizzero Marcel Schtlpbach 33 anni, che nel Sollievo mescola con graziosa impronti tudlne letteratura e vecchio sperimentalismo per dire la storia di una donna oppressa dal ricordo di una bisnonna amorosa e folle. Una specie di «malombra col difetto di troppe ambizioni accuratamente suggerite. Stefano Reggiani

Persone citate: Daniel Wachsman, Goupil, Romain Goupil, Wachsman

Luoghi citati: Cannes, Europa, Francia, Israele