E spuntò l'umorismo all'italiana di Oreste Del Buono

E spuntò l'umorismo all'italiana ANNIVERSARI DIMENTICATI: 50 ANNI FA IL FASCISMO UCCISE LA SATIRA E spuntò l'umorismo all'italiana 11 neonato «Marc'Aurelio» aveva accolto Galantara e i superstiti del soppresso «Becco Giallo» - «Costretti a farsi perdonare elogiando il regime» - Ma la dittatura non dimenticava e li fece licenziare - Subentrarono Giovanni Mosca, Metz, Rossi & C, giovani alle prime armi - In un anno il giornale passò da 40 mila a 350 mila copie: era nato un nuovo stile Salone dell'Umorismo a Bordighera, Festival della Satira a Roma, Premio della Satira a Forte del Marmi, Foratlini Quotidianamente in prima pagina de La Stampa con le sue vignette considerate veri e propri editoriali, Chiappori e Altan fissi ogni settimana a mordere in grandi tavole a colori o in bianco e nero su Panorama, Pericoli e Pirclla sull'Espresso, la multicolore mostra di quadretti di Panebarco su Marx in giro per l'Italia, nonostante la disapprovazione del Giornale Nuovo, che trova che bisognerebbe trattare con maggiore serietà il filosofo tedesco die è una cosa seria, Slaino, chiamato con Panebarco e Altan a Reggio Emilia a decorare le porte del Festival nazionale dell'«Unità' die proclama che «con loro, altro che autocelebrazione: l'auto- dissacrazione e l'auloironia sono garantite»... Si direbbe clic attualmente in Italia disegnatori e battutati siano fervidamente al lavoro e quasi non riescano a tener testa alla domanda del mercato. Si ride molto, dunque? Mah... Certo, se guardiamo la situazione non solo italiana, ma anche mondiale, dovremmo concludere che, in fondo, c'è poco da ridere, quasi nulla. Diciamo nulla. Ma proprio per questo ci sarebbe più che mai bisogno di umorismo. Più. di umorismo che di satira. La satira, inevl labilmente, o folgora i suoi bersagli o ne viene incenerita, altrimenti invecchia chi la fa e chi la legge, diventa un'abitudine, una convenzione della mutua, malinconico destino. L'umorismo, invece, ha qualclie altra risorsa: può essere, magari inconsapevolmente, incoscientemente, irresponsabilmente, sovversivo. Ecco perché oggi vorrei proporre un anniversario dei plU futili, forse, tra quanti ne può celebrare il giornalismo italiano, ma, del resto, ormai si sono celebrati tutti gli anniversari di qualche serietà celebrabili, e li si sono addirittura ipotecati e dilapidati in incontinente anticipo. Da un pezzo, si è sconfinati nelle futilità. Ebbene, è mezzo secolo da quando in Italia avvenne, con l'affermazione di una nuova leva di disegnatori e baltutisti sulle pagine del Marc'Aurelio di Roma, il passaggio dalla satira all'umorismo. Il Marc'Aurelio era nato nel 1931 e nel sottotitolo si dichiarava ancora giornale satirico, perché nella sua redazione abbondavano i superstiti del celebre giornale satirico Becco Giallo soppresso nel 1926 dal regime mussoliniano. Buttati sul marciapiede dalle leggi cosiddette fasclstissime sulla stampa, più o 7neno. quelle die vigono adesso, gli ex del Becco Giallo avevano provato e riprovato a tornare in corsa. Ma erano tempi duri. Le testale nascevano e morivano come farfalle. Dal 1926 al 1931 le espe rienze per gli ex del Becco Giallo erano state amare. Il Marc'Aurelio ero in un certo senso l'ultimo porto. Era stato discusso a lungo se intitolarlo, invece che Marc'Aurelio, Il Cupolone, poi l'aveva spuntata l'imperatore romano famoso per le sue massime. L'editore era un certo dottor Cotone, un napoletano amantissimo delle belle donne e delle scommesse alle corse del cavalli. Direttore era slato nominato Vito De Bellis, già capo dei servizi sportivi del Popolo di Roma a cui spettava il compilo non facile di tranquillizzare i sospetti del regime a proposito di satira, di tenere a freno gli estri satirici degli ex del Becco Giallo e di mettere insieme un giornale che si facesse leggere. Teoricamente, una specie di quadratura del cerchio. Ma i direttori sono nominati esattamente per questo, per far " quadrare il cerchio in pratica. De Bellis doveva rivelarsi un vero direttore. Certo, il semplice riapparire sul Marc'Aurelio del segno vigoroso e drammatico di Gabriele Galantara, il grande condirettore dell'Asino, il foglio satirico dei/Avanti! die aveva combattuto tante battaglie socialiste, non poteva non far aumentare l'attenzione e la diffidenza della federazione fascista a Palazzo Vidoni. Ma questa volta quel segno cosi caratteristico era applicato a illustrare battute talmente anodine e innocue che l'allarme era rientrato per forza. Ma lo scompenso tra la violenza del segno linsulsagglne delle battute era abbastanza insanabile. Questo era il guato che non concerneva il solo Galantara concerneva più o meno tutti gli ex del Becco Giallo, sta che disegnassero sia che scrivessero. La satira mite, cauta, inoffensiva, non è satira e semplicemente non è. De Bellis aveva cercato di rimediare, ammettendo alla collaborazione al Marc'Aurelio anche molti giovani, a cominciare da quel maestrino elementare, Giovanni Mosca, che aveva già lavorato per lui occupandosi di tennis per i servizi sportivi del Popolo di Roma, ?«a che disegnava vignette e inventava battute con estrema facilità. La storia dell'affermazione del Marc'Aurelio è una storia di vecchi e di giovani. «I ricordi del primo anno del Marc'Aurelio non sono privi di malinconia», rievoca Mosca in quel bel libro che e" La signora Teresa. «Noi giovani che si godeva delle simpatie di De Bellis, ma dai "grandi" dell'antico Becco Giallo s'era appena tollerati, eravamo testimoni di una vicenda dolorosa. Uomini che avevano passato la loro vita a battersi per le loro idee, ora costretti a star rintanati nelle pieghe dell'anonimato, non solo, ma a scriver quei pezzi d'obbligo, eloglanti il regime, clic servivano a far perdonare il resto, intendiamoci, che più innocente non avrebbe potuto essere, ma non esiste dittatura che non guardi con diffidenza all'umorismo...... E, infatti, nonostante l'oculata direzione di De Bellis, il Marc'Aurelio, prima o poi aveva avuto le sue grane e proprio per colpa dell'imperatore di cui al titolo. Alcune massime di Marc'Aurelio non giornale, ma imperatore, pubblicate nel 1932 sulla prima pagina del Marc'Aurelio giornale non imperatore, avevano provocato scalpore. Una soprattutto: «Quando 1 naviganti mormorano contro il nocchiero, quale motivo li può muovere se non il modo con cui costui governa la barca?...». Secondo lo storico De Felice, si era nel periodo del massimo consenso o negli immediati dintorni, logico che il giornale ufficiale della federazione fascista. Gioventù appunto fascista, reagisse con particolare veemenza alla faccenda del nocchiero. Cosi Gioventù fascista aveva accusato il Marc'Aurelio di essère un Becco Giallo risorto, di insultare Mussolini e tutti gli italiani degni di questo nome, e. ovviamente, aveva chièsto la soppressione della pubblicazione a meno che la direzione non si impegnasse a licenziare immediatamente gli ex del Becco Giallo. Mosca, Vittorio Metz, Anton Germano Rossi e gli altri più giovani collaboratori non erano lettori assidui di Gioventù fascista, cost quel giorno del 1932 si eran trovati assolutamente impreparati allo sgomento che dominava la redazione del Marc'Aurelio. nel vecchio appartamento di via Rosella. De Bellis era a colloquio con il dottor Cotone, e il colloquio si protraeva. Gli ex del Becco Giallo parlottavano corrucclatamente e protestavano per quelle stanzette, smuovendo le mattonelle dissestate del pavimento, inciampandovi e imprecando. «Dopo un'ora, nel veder finalmente apparire De Bellis. gli muovemmo incontro per consegnargli le nostre piccole cose, e subito i vecchi proruppero in una risata tra il canzonatorio e il sinistro». rievoca Mosca. ."Ma non lo sapete che il Marc'Aurelio fu?", declamò Galantara. "Nessuno v'ha detto che Mussolini ci ha licenziato?". "Tornatevene a casa, e lei, signor maestro, non faccia aspettare la sua 5" B che l'aspetta impaziente per la commemorazione di Balilla". De Bellis ci fece segno di non rispondere e di non uscire. Vedendoci rimanere: "Qui gatta ci cova" disse Girus. "I signorini contano di impadronirsi del giornale passando sul corpo del licenziati". "Del resto", aggiunse con minor acrimonia Galantara, "fanno quel ch'è a a e i l a umano che facciano. Mors tua, vita mea". "Se lei ci conoscesse", risposi, "non direbbe cosi". Galantara alzò le spalle e s'avviò all'uscita, seguito dagli altri. Però nel passarmi dinanzi, mi batté la mano sulla spalla borbottando qualche cosa, non certo di cattivo...». Parrebbe un quadro, anzi un quadretto storico, facciamo una vignetta. Ma conviene ricordare anche il seguito. Raccolti i giovani intorno alla sua scrivania. De Bellis li informò della faccenda del nocchiero e della richiesta di Gioventù fascista, ma anche del suo desiderio di non lasciar morire un giornale che, dopo tutto, tirava 40 mila copie. Poi arrischiò la domanda capitale: «Voi. ragazzi, vi sentite di salvare il giornale?...». Si trattava di scriverlo e disegnarlo tutto loro, da dma a fondo. «E le idee chi ce le dà?...», replicò uno. «Non io», dichiarò De Bellis, «ma voi, voi stessi...». Sino ad allora avevano lavorato in soggezione, chiaro che non sapessero di averne, ma lui se ne intendeva, sarebbe bastato che mettessero giù senza timore tutto quel che gli veniva in mente, specialmente quanto i vecchi avrebbero disapprovato. Uno, a questo punto, protestò: «Allora, aveva ragione Girus. che ci saremmo impadroniti del giornale passando sul corpo dei licenziati... -. De Bellis si mise a ridere. «Tra un anno Mussolini potrebbe chiederci a brutto muso perché abbiamo licenziato Galantara che ai bel tempi de\V Avanti.' era suo amico. Basta che per un certo tempo se ne rimangano a casa. Torneranno quando sarà opportuno. Tu, Metz, ti senti di riempire ogni numero una pagina e mezzo? E tu, Mosca, altrettanto? E tu, Rossi...?». Assegnò a ciascuno il suo spazio da riempire, e nessuno si tirò indietro. Però, c'era** ancora una cosa da appura* re: «E lo stipendio? «Subito, se licenziamo i vecchi. TrX1 un anno, se i vecchi, pur' standosene a casa, rimangono Accettato Solo un anno dopo, appunto nel 1933, Mosca, Metz, Rossi & C. riscossero, infatti, il loro primo stipendio. Ciascuno fu chiamato in gran segreto dal dottor Cotone prima e da De Bellis poi, e ciascuno concordò uno stipendio che s'impegnò a non comunicare agli altri per non suscitare invidie. Ma Mosca non si senti di tradire l'amicizia e disse a Metz die lui avrebbe guadagnato mille lire al mese. Risulto che le avrebbero guadagnate anche Metz, anche Rossi, anche & C. Intanto, l'anno passato tra l'assunzione per cosi dire del potere e il primo stipendio, tra il 1932 e il 1933. in cifre povere, il Marc'Aurelio era salito da 40 mila a 350 mila copie di tiratura, e con tinuava a salire. In quell'anno di lavoro gratis, era stato varato il nuovo umorismo italiano. Insinuare, non aggredire, punzecchiare, non colpire, sorridere, non sghignazzare. Una certa vena surreale, un certo anticonformismo, una certa paradossalità che, in contrapposizione all'irrealtà che il regime imponeva al Paese, funzionavano come da maliziosa cartina di tornasole, reagente non vincolante, evasione in universuccio parallelo, creando un contatto con i lettori più giovani. Il Marc'Aurelio non era di sicuro un giornale di satira antifascista, ma era un giornale di umorismo capricciosamente, imprevedibilmente mai riconducibile totalmente alla retorica in corso. Oreste del Buono 01 GutnrlspmdcumnRins r 1 ii allo, un disegno satirico di Galantara: rappresenta Pantalone die inneggia con luminarie al carovita. Sotto, Giovanni Mosca, uno dei fondatori dui «Marc'Aurelio»