Il nonno andava in montagna con veli, unguenti e genziana di Ezio Minetto
Il nonno andava in montagna con veli, unguenti e genziana I consigli agli alpinisti di un medico del secolo scorso Il nonno andava in montagna con veli, unguenti e genziana Per chi fa «trekking» fra i 4000 e 5000 e anche per chi, piti modestamente, sale in alta montagna di Ferragosto, vogliamo far rivivere — con un po' di sorridente curiosità storica — qualche consiglio medico di quasi 100 anni fa? Scottature da eritema solare? ^L'unico modo per guarentirsene — dice il dottor Filippo Vallino in apertura della seconda edizione della «Guida delle Alpi Occidentali» (Club Alpino Italiano, Sezione di Torino, 1889) — sta nel sottrarre la pelle all'azione deleteria del sole e dell'aria alpina; e ciò si ottiene in due maniere. La prima e più radicale consiste nel coprire la faccia con spessi veli colorati oppure con vere maschere di tela-. Un po' ingombrante, ci vien da dire, questo equipaggiamento alla Tartarin di Tarascona per gente da primi nevai e non da cima dell'Everest. Il medico sportivo di allora ammette che «il rimedio sarebbe ottimo se, pel soverchio sudore e calore che concentrano nella faccia e pel loro imbeversi attorno alla bocca dell'umidità del respiro, veli e maschere non riuscissero antiigienici e per molti assolutamente intollerabilU. E allora, diciamo noi, gente di provata confidenza con tutta la scala, da 1 a 8. dei «fattori di protezione solare» delle creme filtranti? -L'altra maniera — suggeriva il medico — consiste nel coprirsi la faccia con uno strato di grasso, vasellina o cold-creamNon erano certo senza incon venienti, questi primi grossolani progenitori dell'attuale latte e crema e olio solare. E infatti: «La cosa sarebbe buona se, oltre alla noia e allo schifo di sentirsi queWuntura sul viso, non avesse l'inconveniente di condannare l'alpini sta a non tergersi più il sudore die gli sgorga abbondante dalla fronte: e ciò per non togliere, con questo, anche la patina protettrice, a meno di volersi adattare a fare ogni momento una nuova applicazione-. Bere durante la marcia? Quasi assolutamente proibì to: 'Bisogna astenersene il più che è possibile giacché, se si comincia, la sete, anziché attutirsi, si irrita tanto più quanto più si beve, il sudore si fa profuso, le forze si esauriscono completamente e molte volte si rimane fiacchi per alcuni giorni giacché il ventricolo (che, nel nostro secolo, chiamiamo stomaco) ne soffre anch'esso, l'appetito rimanendo scarso e la digestione stentata.. Che cosa fare allora? «E' di utilità grandissima l'andar masticando sostanze amare come legno-quassio e specialmente fiori e foglie della Gentiana acaulis che ad una certa altezza si trova dappertutto nei pascoli scoverti- (segue accurata descrizione botanica per l'identificazione e poi il masticatorio uso). Velati, assetati, unti e sudati e coll'amaro In bocca, potevano almeno Uberamente riposarsi, ogni tanto, 1 nostri nonni medio-alpinisti in marcia per pinete e sassaie? • Quando poi sia d'uopo prender fiato, lo si faccia stando ritti, appoggiati sul bastone o a qualche masso di roccia, col torace ben libero nei suoi movimenti. Siano brevissime le fermate e nelle regioni più elevate, al sole, e, per quanto si può, al riparo della brezza da cui, se sudati, bisogna difendersi, per quanto appaia carezzevole, abbottonandosi l'abito, che nella marcia si può tenere sbottonato largamente-. 'Quando si voglia sedere, si cerchi un luogo scaldato dal sole e s'evitino assolutamente le roccie e il terreno freddi, peggio se umidi, giacché potrebbero occasionarvi una sciatica-. Ecco, adesso finalmente sappiamo da dove nonne e mamme hanno ricavato il loro non ancor tramontato codice a base di temuti «colpi d'aria», «colpi di freddo» e •indigestioni d'acqua». Testa scoperta? Neppur per sogno: 'Invece di un cappello dalle falde spropositate, sempre difficile a trattenere col vento e colla pioggia pesantissimo, è migliore un cappello di feltro molle, leggiero, con ali moderate. Contro le sorprese del vento, meglio che una ìmentoniera, la quale ve lo cal¬ ca sulla fronte impedendo di toglierlo a piacimento per asciugare il sudore, varrà assicurarlo alla bottoniera dell'abito con un cordoncino di seta-. E agli alpinisti più fragili e un po' delicati di salute — magari di colon Irritabile o di immancabile artrosi — quale ottocentesco consiglio di medicina preventiva? 'Coloro che ad ogni colpo di vento vanno soggetti a lombaggini e coliche, colle loro conseguenze, per soverchia impressionabilità delle loro intestina, si gioveranno assai dell'uso di una pezzuola di lana quadrilunga con cui cingersi l'addome e le renU. Carichi come muli, ben attenti a nemiche brezze e maligni spifferi, profilassati contro coliche e sciatiche, da che cosa ancora dovevano guardarsi? 'Per non irritare la pel- le dei piedi e a prevenir escoriazioni e bolle, giova tener ben unto il piede di sevo e con una molle banderella di tela, unta parimenti, isolare le dita le une dalle altre, in scarpe forti, robuste ma non troppo pesanti, comode ma non ampie così che il piede ci balli dentro-. Cent'anni dopo, con svelte pedule, zainetto leggero con alimenti essenziali e bevande al fresco nel torrente, sdraiati al sole vicino ai nevai, capelli al vento e magari braghe corte. In montagna alta oggi vedi gente anziana e bimbettl, casalinghe e colitici e artroslci. E' vero che funivie e seggiovie hanno abbassato un po' il tetto del mondo e che i 3000 sono gita del mattino o del pomeriggio: ma è soprattutto lo spirito che è andato al di là dell'antica soggezione. Ezio Minetto
Persone citate: Filippo Vallino, Velati
Luoghi citati: Torino
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