Il «crack Ambrosiano» un anno dopo di Marco Borsa

Il «crack Ambrosiano»/ un anno dopo La magistratura italiana è già riuscita a dipanare una parte della complessa matassa Il «crack Ambrosiano»/ un anno dopo E' stato il più grande disastro finanziario internazionale del dopoguerra - Al contribuente italiano costerà non meno di 650 miliardi MILANO — Quando un anno fa il tribunale di Milano metteva in liquidazione coatta il vecchio Banco Ambrosiano, c'era ancora chi non credeva al «buco» di quasi 2000 miliardi lasciato in eredità dal defunto presidente Roberto Calvi. Il più grosso crack bancario della storia italiana e il più grave del dopoguerra sul piano intemazionale (quasi 1400 milioni di dollari) lasciava increduli e sbigottiti sia i 500 mila italiani direttamente coinvolti come depositanti, clienti, dipendenti e azionisti, sia molti all'esterno che non riuscivano a capacitarsi di come potesse saltare un raggruppamento bancario da 20 mila miliardi di depositi (fra Ambrosiano, Cattolica del Veneto e Varesino) che solo pochi mesi prima aveva fatto sfoggio di 250 miliardi di utili consolidati. Oggi a distanza di un anno si può cominciare a tirare qualche somma di quanto costò quel dissesto, e di quali profonde ripercussioni ebbe sulla vita politica ed economica nazionale. Per il contribuente italiano il «disastro Ambrosiano» costerà qualco¬ sa come 650 miliardi. Dal passivo iniziale di 800 milioni di dollari circa (oggi 1200 miliardi di lire) vanno detratti sia i 350 miliardi pagati dalle banche del «pool» di salvataggio per l'avviamento dei cento sportelli rilevati, sia i 150 miliardi circa pagati per la Centrale, sia un'altra cinquantina di miliardi pagati per gli immobili valutati a prezzi di mercato. La parte rimanente è a carico della Banca d'Italia e dei contribuenti che possono consolarsi al pensiero che il più grosso dei dissesti bancari costa molto meno di uno qualsiasi dei grandi dissesti industriali di questi anni. I depositanti, i clienti c i dipendenti se la sono cavala ancora meglio (ad eccezione della segretaria di Roberto Calvi che si suicidò) pcrchò il salvataggio del «vecchio Banco» ha tutelato praticamente al 100 per cento i rispettivi interessi. .Drammatiche invece le conseguenze per gli azionisti che hanno perso tutto. Nel crollo sono stali coinvolti finanzieri di prestigio come Carlo Pesenti (che ha perso circa 10Q miliardi) o Orazio Bagnasco, industriali come Luigi Lucchini o Giovanni Fabbri, investitori dalle spalle più o meno robuste, piccoli e piccolissimi risparmiatori, spesso accecati dalla fiducia che nell'Ambrosiano avevano ambienti assai autorevoli. La bancarotta, con i suoi risvolti giudiziari (decine di comunicazioni giudiziarie a consiglieri, sindaci, dirìgenti c profittatori), ha coinvolto rappresentanti delle professioni come Michele Prisco, allora presidente dell'Ordine degli avvocati, o come Antonio Gonfalonieri, per anni sindaco dell'Ambrosiano, studioso dei crack bancari italiani dalla fine dell'Ottocento, oggi presidente della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. Il mondo cattolico, tuttavia, è quello senz'altro che c stato maggiormente investito dallo scandalo nel doppio ruolo di carnefice e vittima. In qualità di carnefice perché il maggior azionista dell'Ambrosiano era lo lor, la Banca vaticana guidata da Paul Marcinkus che aveva incarichi di rilievo nell'Ambrosiano stesso (era uno dei tre amministratori della filiale di Nassau) e aveva rilasciato a Calvi le famose «lettere di patronage» che coprivano le finanziarie estere responsabili del dissesto. Vittima, perché oltre a perdere in termini patrimoniali un rilevante investimen¬ to (il 10-15 per cento del capitale della banca), il mondo cattolico rappresentava buona parte degli azionisti cosiddetti minori: la Fabrica del Duomo di Milano possedeva infatti 180 mila titoli (che valevano ai tempi d'oro 50 mila' lire l'uno), il Cotlolengo di Torino, 116 mila; 58 mila la Pontificia Opera di Assistenza, 57 mila l'Arcivescovado di Milano; 17 mila il Collegio Missioni Africane di Verona, eccetera. Carnefici e vittime, come lo fu lo stesso Calvi, che dopo aver contribuito a sottrane alla propria banca centinaia di milioni di dollari ha pagato con la vita il dissesto. Il Vaticano, invece, finora non ha pagato nulla nò sotto forma di rimborso di una parte dei prestili (è ancora al lavoro la commissione che dovrà accertare il grado degli impegni finanziari dello lor nell'Ambrosiano), né come responsabile di alcuni suoi esponenti nella conduzione degli affari della banca milanese. La magistratura italiana che da un anno indaga sulla bancarotta dell'Ambrosiano, è riuscita finora a fare luce su un aspetto di vitale importanza: ha scoperto l'esistenza dei conti svizzeri Zirka e Recioto su cui furono versali 140 milioni di dollari provenienti dall'Ambrosiano. La scoperta, che ha portato all'arresto di Bruno Tassan Din e Angelo Rizzoli, potrebbe consentire di ricostruire, in un tempo ragionevole, come e da chi fu spogliata la banca milanese. Sui 1400 milioni di dollari di buco, infatti, esistono spiegazioni convincenti per non più di 800-900 milioni di dollari. Il resto potrebbe essere lo «scippo» vero e proprio di cui si intuiscono i beneficiari. Liciò Celli è stato arrestato a Ginevra (ed entro agosto potrebbe venire estradato in Italia) mentre cercava di prelevare 100 milioni di dollari tra titoli e contanti dalla Ubs. Flavio Carboni è stato arrestato a Lugano con 20 milioni di dollari circa provenienti da Calvi. Umberto Ortolani, sempre latitante, giocò nelle vicende Ambrosiano e Rizzoli un ruolo forse ancora più diretto di Licio Cicli) e potrebbe quindi riservare altre sorprese. Marco Borsa Mons. Marcinkus Roberto Calvi