Bunuel, timido e infernale di Stefano Reggiani

Bunuel, timido e infernale VITA E AVVENTURE CULTURALI DEL GRANDE REGISTA SCOMPARSO Bunuel, timido e infernale Dall'infanzia nel «Medioevo spagnolo» agli studi dai gesuiti, dall'esperienza coi poeti di Madrid all'esordio cinematografico col surrealismo, all'esilio messicano - La religione fu la compagna inseparabile della sua ribellione e della sua ironia: aveva bisogno di qualcosa in cui non credere - Il fascino discreto di una grande filmografia, da «Un chien andalou» all'«0scuro oggetto del desiderio» a o e o à a l i o BuAuel se n'è andato per l'unica malattia che si riconoscesse, la vecchiaia. Dice il medico: «E' stato di buon umore fino all'ultimo». Forse perché pensava a quello che avrebbero scritto i suol biografi e i critici, incerti tra le lodi al genio, che risolve ogni contraddizione, e l'esame di un umor nero trasformato in misura di vita. Bunuel sembrava scelto fra i caratteristi di un film di Bunuel. C'è quella foto presa sul set di VIridlana, camicia bianca, baffoni viziosi, gli occhi di una scontentezza pungente, la mano poggiata al volto in un gesto di sarcasmo confinante con la malinconia. Ci disse una volta il grande poeta spagnolo Jorge Quillen, uno dei primi amici di Bunuel ai tempi madrileni della 'Residencia de estudiantes*: «E' l'uomo più pauroso che abbia conosciuto, s'intimorisce per un niente, ma vuole che nessuno lo sappia». Ci spiegò il produttore preferito di Bunuel, Silbermann: «E' un uomo intrepido, che non accetta suggerimenti, si fa solo quello che dice lui». Guillen parlava sorridendo del genio vulnerabile, Silbermann esibiva un rispetto spropositato del coraggio creatore, la soddisfazione di essere, nell'ubbidienza, un mecenate. Pauroso e tirannico, timido e infernale, Bunuel ha fatto il cinema come una specie di grande cura psicoanalitica, oltre che come un divertimento eccezionale. La sua vita, dietro l'amore per i gesti ripetuti e le discrete abitudini, è stala culturalmente una delle più ricche di questo secolo, spartita tra la Spagna natale, la Francia, gli Stati Uniti e il Messico. Era nato nel 1900 in un pie colo paese dell'Aragona, c Calanda, «dove si può dire che 11 Medio Evo sia arrivato fino alla prima guerra mon diale». Ma doveva presto uscire alla scoperta della restante Spaglia e delle grandi tradizioni "dèi suo Paese (•«Morte e fede, presenza potenza»). Nel collegio dei gesuiti a Saragozza conobbe la disciplina mal tollerata e le letture nascoste f«Anche Marx»/ A Madrid dal 1917 al 1925 fece parte del gruppo intellettuale di punta, «la mia generazione contava uomini come Lorca, Alberti, Cerna da», ma si capisce che conosceva anche i vecchi, Ortega, Unamuno, Machado, e poi c'erano anche Guillen e Sali nas. Naturalmente, Lorca era il preferito: «La nostra amicizia, che fu profonda, risale al primo incontro». Naturalmente si incontrò con Dali presero l'abitudine di raccontarsi ì sogni. Da due sogni congiunti Dali-Bunuel nacque, dopo il soggiorno in Francia, il primo film, Un chien andalou. Nella sua autobiografia Bunuel ha diviso molto accuratamente le esperienze fondamentali in patria e fuori di Spagna: la vita parigina (1925-1929), il surreali sino (1929-1933), altri viaggi in America e Francia (1931-1936), la guerra di Spagna (1936-1939). Durante la guerra civile lui fu a Parigi una specie di ambasciatore della Repubblica, curava le informazioni e la raccolta di film di propaganda. L'ascesa di Franco segnò anche la recalcitrante vocazione americana di Bunuel. Fu pessimo il rapporto con Hollywood (quanti progetti di film mai realizzati) e difficile persino conservare un impiego al Museo d'arte moderna di Nero York. Già Bunuel era sospettalo di comunismo; quando Dalt (eccolo di nuovo) scrisse in un libro die BuAuel era ateo l'uomo fu definitivamente cacciato come pericoloso sovversivo. Diventò cittadino messicano nel 1949, lui che dichiarava di detestare con tutte le forze l'America Latina. Proprio in Messico, tra il 1946 e il 1964, da Gran Casinò a Simon del desierto Bunuel girò venti film su trentadue che costituiscono la sua filmografia. Nessun altro regista al mondo sarebbe stato capace di trasformare un periodo difficile, spesso di pura schiavitù mercantile, in un'occasione di intelligenza e di provocazione. Girava film su commissione in poche settimane, esagerando i buoni sentimenti e storpiando melodrammaticamente le passioni. Adesso (dopo un intervallo di imbarazzo critico) queste opere messicane sono tutte da cineteca, da El (1952) a Ensayo de un crlmen (1954). Bunuel rimise piede in Spagna solo nel 1960, dopo ben ventiquattro anni di assenza, per girarvi Virldiana, blasfema vita di una santa mancata che subito gli attirò, con la lode incondizionata della critica, l'ira del regime. Possibile che BuAuel provasse piacere solo nelle storie di perversione, nella puntuale interpretazione della malvagltà? Che rapporto c'era tra il regista melodrammatico delle opere messicane e l'impassibile bestemmiatore dì Viridiana? E qual era il legame con le grandi prove surreali¬ ste? BuAuel avrebbe risposto da par suo, con geniale compostezza, con placida furia, nelle opere successive. Il fatto è che lo stile di Bunuel, anche nelle occasioni dì compromesso, non perdeva mai quella chiarezza fluente e discorsiva, quella semplicità di rappresentazione, che sapeva trovare immediatamente, anche nelle apparenze banali della realtà, il sovrassenso, il risvolto minaccioso. Era appunto questa l'eredità del suo surrealismo, la buona lezione dell'esperienza francese dqpo> i meravigliosi eccessi deìlo'Ch'teri andalou e di L'àge d'or, dopo l'occhio tagliato in primo piano dal rasoio, dopo la mano mangiata dalle formiche. Del resto, diceva Breton: «Quel che c'è di mirabile nel fantastico è che il fantastico non esiste, tutto è reale». Ma era più sottile Garda Lorca nella sua ode a Sulvador Dalt, l'amico-nemico dì Bunuel: «Non elogio il tuo imperietto pennello adolescente, ma lodo le tue ansie d'eterno limitato». A questa fervida limitazione pensava Bunuel quando diceva: «Il cinema sembra essere stato inventato per esprimere la vita del subcosciente, le cui radici penetrano tanto profondamente nella poesia». Più indietro del surrealismo, più profonda mente nella cultura spagnola stavano, come sappiamo, le radici dì Bunuel, in quel collegio di gesuiti «dove perse la fede», nel Museo delle scienze di Madrid dove si appassionò allo studio degli insetti, nei ricordi della sua famiglia borghese in Aragona, nei primi film muti (Max Linder e Méìiès), soprattutto nella religione dell'infanzia, severa mescolanza di misticismo e oltraggio. «I tamburi di Calanda battono in continuazione o quasi dal mezzogiorno del venerdì santo sino al giorno dopo, sabato santo, cerimonia collettiva impressionante: stranamente emozionante, che udii per la prima volta nella culla quando avevo due mesi». Bunuel diceva: «Sono ateo, grazie a Dio», e anche: «Se il sesso non fosse peccato non mi interesserebbe». La religione fu la compagna inseparabile della sua ribellione e delle sue paure, era un anarchico che aveva bisogno di qualcosa in cui non credere. La sua analisi impietosa della società non nasce dall'ideologìa, ma dal sentimento di una mancanza, di un tradimento- Ha scritto Octavio Paz, parlando di Los Olvidados: «Senza la complicità umana il destino non si compie e la tragedia è impossibile. La fatalità ostenta la maschera della libertà». / borghesi di Bunuel incontrano sempre uno scacco sulla via dei propri desideri. I commensali dell'Angelo sterminatore si vedono le porte precluse da una presenza invisibile, non potranno più uscire per colpa del fantasma che li perseguita nato dalla cattiva coscienza (ancora il peccato piuttosto che la prepotenza sociale, la colpa piuttosto che la nevrosi). E i convitati del Fascino discreto della borghesia? Sono sempre sul punto di mettersi a tavola, ma ogni volta un ostacolo rimanda il banchetto all'infinito. E l simpatici personaggi del Fantasma della libertà? Messi amichevolmente a nudo, costretti a fare il contrario delle convenienze, presi in una necessità ridicola quanto le leggi che prima guidavano i loro rapporti sociali. Era bello e riassuntivo il manifesto dev'Oscuro oggetto del desiderio: una bocca femminile cucita a filo doppio, come il segno della punizione che giunge puntualmente a rendere vane le voglie erotiche del vecchio protagonista. Ogni ambizione di possesso ha in sé la sua censura. Però, vedete come, ancora una volta, in Bunuel il racconto non diventi mai pesante di significati espliciti e lasci agli spettatori il compito della filosofia. Nei film della maturità tutto continua ad apparire semplice. Catherine Deneuve guarda senza imbarazzo nella scatola del cliente cinese un oggetto immondo per noi invisibile (Bella di giorno), i viandanti della Via Lattea parlano pacificamente' di miracoli accanto al fuoco. Il mistero nasce subito dopo la proiezione, e il mistero, diceva BuAuel che conosceva le ansie dell'eterno limitato, «è l'elemento essenziale d'ogni opera d'arte». Stefano Reggiani cdm Luis Ruiiucl diiranie la lavorazione di un film in Spagna, dove tornò nel 1960