Raffaello torna nella sua Urbino di Ermete Grifoni

Raffaello torna nella sua Urbino Una grande mostra per il V centenario della nascita Raffaello torna nella sua Urbino NOSTRO SERVIZIO URBINO — Ad Urbino capita con Raffaello quel che succede a accanati con Leopardi. Il messaggio che deriva dall'opera di entrambi è universale, ma nel luogo di nascita è inutile andare a cercarne le origini molto lontano: a Recanati basta affacciarsi alle finestre del «paterno ostello» per cogliere taluni elementi compositivi della poesia leopardiana, ad Urbino basta varcare il cortile d'onore del palazzo dei Montefeltro per comprendere il terreno culturale da cui germogliò l'idea di pura bellezza che Ispirò 11 grande pittore. Amava egli stesso, non a caso, definirsi costantemente «urbinate» nnl suoi celebri quadri, nonostante avesse abbandonato la città marchigiana molto giovane. Visitando la grande mostra « Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello» che nel quinto centenario della nascita la Sovrlntendenza ai beni artistici, la Regione e la città gli dedicano, si riesce ora a comprendere anche perché quella firma (-Raffaello urbinate») non sia un fatto puramente anagrafico. In fondo per questa mostra, che occupa i più bei saloni del Palazzo Ducale e l'intera vicina chiesa di San Domenico, non ci sono stati grossi trasferimenti di opere da musei e da gallerie di altre città, non ci sono stati prestiti internazionali (l'unica opera di Raffaello che Urbino conservi è 11 «Ritratto di gentildonna» conosciuto correntemente come «La mu¬ ta» mentre l'affresco della Madonna con Bambino, della casa di Giovanni Santi e la Predella di Fano sono opere del periodo giovanile soltanto attribuite. Eppure, l'esposizione è essenziale per capire In quale ambiente e secondo quali moduli sia avvenuta la formazione artistica di Raffaello Sanzio, e che cosa egli abbia restituito alla terra natale una volta conclusa la sua vita breve come una meteora. In termini di influssi culturali, di spunti raffaelleschi, perfino in settori dell'arte applicata, quali potrebbero essere considerati le ceramiche istoriate e la serie di arazzi conservati a Urbino, Loreto e Fabriano. Per questa comprensione è stato fatto un grande sforzo, radunando ad Urbino un eccezionale numero di opere provenienti da città e paesi delle Marche e dell'Umbria (la grande mostra presentata ieri alla slampa rimarrà aperta fino al 30 ottobre). La rassegna nelle sue lince principali può essere suddivisa in tre settori ideali. Il primo riguarda la formazione dell'artista alla Corte feltresca. Raffaello nasce un anno dopo la morte di Federico da Monlefeltro, ma con Ouidubaldo il crogiolo di presenze culturali di fronte al quale si trova il giovinetto che segue il padre Giovanni Santi, pittore di corte, è ancora tra i più fascinosi e coinvolgenti. Dopo le opere di Piero della Francesca, Paolo Uccello, Giovanni Bellini, ecco dunque l'incontro di Raf¬ faello quattordicenne col Perugino che opera nelle Marche, sul finire del Quattrocento, tra Fano e Senigallia. La predella di Santa Maria Nuova a Fano è già al cinquanta per cento sua, anche se la più antica opera documentala dell'urbinate è la pala di Sant'Agostino a Città di Castello, datata 1501, di cui oggi si hanno soltanto alcuni frammenti. Il secondo settore Ideale riguarda le opere di Raffaello per Guidubaldo e per 1 Della Rovere, in gran parie disperse ne) mondo e qui ricostruite con gigantografie a colori. La terza parie, nella chiesa di San Domenico, mostra l'Influenza dell'urbinate sul Lotio, sul Genga, sul raffaelllsmo che pervase non solo la pittura, ma la scultura, le arti plastiche ih genere e la ceramica. Il pezzo più interessante della parte centrale è costituito dagli studi sulla «muta» del periodo fiorentino, di cui viene espost a anche la lettura all'infrarosso, che rivela molti ritocchi e ripensamenti sulle spalle e nelle dita. Il gioiello di Palazzo Ducale, quasi radiografato, viene analizzalo anche sotto 11 profilo della iconografia del costume dell'epoca. Disse certo Elio Pazzaglia. l'uomo che trafugò la «muta» nel febbraio del '75, al processo a suo carico che quel ritratto di donna era bello, sicché «me ne In-] namorai e non lo cedetti ad alcuno». Ermete Grifoni