Una multa al «defegato» svizzero che consegnò il dossier su Carboni di Clemente Granata

Una muffa af «defegato» svizzero che consegnò il dossier su Carboni Al processo di Lugano il pm aveva chiesto una condanna a quattro mesi Una muffa af «defegato» svizzero che consegnò il dossier su Carboni Gualtiero Medici aveva affidato alle autorità di polizia italiane alcuni documenti sul faccendiere - Dovrà pagare tremila franchi - In aula dure accuse a uomini del Sismi dal nostro inviato LUGANO — Gualtiero Medici, 11 delegato di polizia di Lugano che nel luglio dell'anno scorso arrestò Flavio Carboni, è stato assolto dall'accusa di spionaggio economico e condannato a 3000 franchi (circa 2 milioni e 200 mila lire) per rivelazione di segreto d'ufficio. La sentenza è stata pronunciata dal presidente della corte delle assise correzionali ieri sera alle 21. Il pubblico ministero Paolo Bernasconi aveva chiesto la condanna a 4 mesi di detenzione per entrambi 1 reati. L'accusa era stata mossa dopo la consegna da parte di Medici alle autorità di polizia italiane di un dossier che riguardava Carboni. La consegna era avvenuta senza l'osservanza delle norme che regolano la collaborazione tra le polizie di Stati diversi. L'intero processo si è snodato attorno al confronto, un confronto che ha assunto talora toni molto tesi e drammatici, tra due concezioni e due principi che dovrebbero guidare la lotta contro la grande criminalità. Da un lato il principio secondo cui le esigenze di celerità, efficienza e rapidità, in presenza di situazioni particolarmente difficili e pericolose debbano avere la prevalenza sul rigoroso rispetto delle norme che regolano la collaborazione tra le polizie di Stati diversi; dall'altro lato l'esigenza che la legge, lo Stato di diritto, debbano essere sempre tutelati e non debbano mal essere sacrificati da altri principi, pena la decadenza e lo snaturamento delle istituzioni. Da una parte si sono collocati l'imputato Gualtiero Medici e 11 suo collegio di difesa, dall'altra 11 giovane procuratore pubblico del Sottoceneri Paolo Bernasconi il quale ha più volte sottolineato che occorre trovare un punto di collegamento tra i principi di efficienza e di legalità e occupandosi delle questioni specifiche trattate in giudizio ha mosso un duro attacco soprattutto contro alcuni uomini del Sismi, accusandoli di indebite Ingerenze nel territorio svizzero e di faide interne. L'elemento centrale del di battimento era rappresentato dall'accusa mossa a Medici di aver consegnato alla polizia giudiziaria italiana e ad un sostituto procuratore dì Milano, e successivamente a ufficiali del servizio informazioni militari, un dossier riguardante il faccendiere sardo Flavio Carboni, legato a Roberto Calvi. Il tutto in forma indebita, scavalcando le normali vie diplomatiche, l'Interpol e la magistratura. Nel dossier erano contenute, assieme a cose di scarsa o nulla importanza, una serie di dichiarazioni-confessioni rese da Carboni nel carcere di Lugano ad un agente di polizia messo a disposizione da Medici e, quel che più interessava e preoccupava la magistratura svizzera, alcuni documenti contabili riguardanti operazioni finanziarie compiute da cittadini italiani ed elvetici: di qui le imputazioni mosse al delegato di polizia, sospeso dall'incarico, di violazione di segreti e di spionaggio economico. Medici ha contrattaccato ricordando appunto che spesso le esigenze di funzionalità inducono a trascurare la scrupolosa osservanza del formalismo giuridico. Sicché quando nel luglio dell'anno scorso, dopo l'arresto a Lugano di Carboni, 11 suo ufficio fu •preso d'assalto» dagli inquirenti italiani che premevano per avere informazioni, egli non esitò a consegnare una serie di atti al sostituto procuratore di Milano Dall'Osso, al questore De Luca e al vicequestore Fiori della Criminalpol lombarda. Nel dossier c'erano anche alcuni fogli scritti da Carboni, uno dei quali conteneva un'annotazione piuttosto confusa con una scritta «Durida» che indusse a pensare al ministro di Grazia e Giustizia italiano (ma poi il sospetto risultò infondato). L'ex delegato di polizia di Lugano, prodigo di informazioni per parecchio tempo durante il processo, ha poi fatto uno stop improvviso quando si è trattato di parlare di una successiva consegna di fotocopie degli stessi documenti ai servizi segreti italiani. Non ha negato di averlo fatto, sostenendo che rientra nella prassi normale la collaborazione con quel servizi per le attività di polizia giudiziaria, ma si è rifiutato di rivelare i nomi delle persone a cui aveva affidato 11 fascicolo. «Può essere messa in pericolo la loro vita-, ha detto. Questo atteggiamento e il comportamento dei servizi italiani hanno offerto a Bernasconi lo spunto pe la parte più severa e critica della sua requisitoria. Bernasconi ha fatto 1 nomi dei protagonisti della vicenda ricordando che il dossier fu ritirato dal colonnello Delfino su incarico del generali Sportelli e Notarnicola rispettivamente numero due e numero tre del Sismi. Costoro, secondo l'accusa, violarono le convenzioni europee e le leggi svizzere e non furono spinti dall'esigenza di accertare la verità, ma da meno nobili intenti: forse accertare se 11 dossier non compromettesse certi personaggi protetti dai servizi segreti. E' soltanto un capitolo, secondo il rappresentante delia pubblica accusa, della illegittima presenza dei servizi segreti italiani e dei loro agenti sul territorio elvetico. Una ulteriore prova, ha detto Bernasconi, è offerta dalla presenza a Lugano dello slavo Petrovic, un pregiudicato comune, triplice assassino in Svizzera, e che agiva agli ordini dei servizi romani. In questa vicenda fu trascinato anche Medici, sospettato in un primo tempo di favoreggiamento nel confronti dello slavo e inquisito dalla polizia federale di Berna. L'indagine non ha avuto esito. Medici ha sferrato un durissimo attacco contro quelli che ha chiamato «1 balivi di Berna». Neppure in Svizzera regna armonia tra i vari organi di polizia. Clemente Granata scahspzamnvercinprfdin