Se Isabelita torna regina di Igor Man

Se Isabelita torna regina I RETROSCENA DELL'ARGENTINA VERSO LE ELEZIONI Se Isabelita torna regina Dopo sette anni di dittatura e di disastri, i partiti cominciano le manovre per il voto del 30 ottobre -1 radicali hanno già un candidato alla presidenza: il progressista Alfonsin - Per fronteggiare il suo prestigio, i giustizialisti invocano il ritorno della vedova di Perón - Sul suo capo pende ancora una condanna, ma gli argentini «sanno dimenticare» dal nostro inviato BUENOS AIRES — /130 di ottobre gli argentini andranno alte urne. Lo ha annunciato solennemente la Giunta militare che, il 13 di luglio, ha approvato la ley de convocatorla a elecclones generales. Lo ha ribadito il ministro dell'Interno, generale Reston, scartando in nome del governo «total y absolutamente» un colpo di Stato. Sarà interessante vedere un po' il retroscena di questa decisione che molti definiscono ostorica*. Domenica 3 luglio ore 12, a Tucuman, mille chilometri a Nord-Ovest di Buenos Aires: «Se spara, la impalliniamo... gridarono un centinaio di poliziotti sfidando il governatore, generale Ateilo, che dall'alto della scalinata della casa del governo gli spianava contro una 38 corta. Oli agenti di politila erano venuti a consegnare al governatore un comunicato con cui chiedevano un aumento dei loro stipendi, i più, bassi di tutti i salari argentini. Quattrocento pesos al mese, circa 67 mila lire, il presso, di una buona camicia nei negozi di Buenos Aires. Chiedevano, inoltre, divise, stivali e persino fischietti gratis. Il generale Merlo non premette il grilletto e quella che poteva diventare una tragedia si tramutò in una farsa: il giorno dopo tutti i giornali d'Argentina pubblicavano la fotografia del governatore con la 38 in pugno, parlavano di «generale sceriffo». / quattromila poliziotti della regione occupavano la sede del comando e si autoconsegnavano nelle caserme. Davvero una doccia gelata per i 187 generali di divisione e di brigata riuniti a Buenos Aires nel quartier generale dell'esercito per un conclave che tutti definivano 'decisivo», per l'inevitabile scontro tra •falchi» e »colombe» che vi sarebbe stato. Battaglia / primi non volevano (e non vogliono tuttora) nessuna indagine sui trentamila desaparecidos; «E' una guerra che abbiamo vinto contro 11 terrorismo rosso, 1 tribunali si sveglieranno fatalmente dopo le elezioni, sicché niente elezioni». Ma i secondi osservarono che «un ciclo si è compiuto, le elezioni sono inevitabili; ciò non toglie che chi ha combattuto per l'ordine riceva adeguate garanzie dal civili». Cristino Nicolaides, comandante in capo dell'esercito sposò la tesi delle 'Colombe» facendo pressappoco questo discorso: se verrà negato il ritorno atta democrazia, gli Stati Uniti, i Paesi della Cee e non pochi paesi latino-americani ritireranno t loro ambasciatori. Non possiamo rischiare, con l'economia in dissesto, l'isolamento internazionale, non possiamo rischiare la paralisi del Paese: i peronisti, per bocca di Antonio Cafiero (uno dei grandi leaders del Giusttsialismo n.d.r.) minacciano lo sciopero generale, la disobbedienza civile se ci sarà un golpe. Cosi, al termine delia riunione dei generali, nel comunicato ufficiale diramato la nottejdì martedì 5 luglio, l'esercito annunciava «la decisione di Instaurare un sistema politico stabile, autenticamente repubblicano e democratico». I giornali smettevano di colpo di parlar di golpe per dar rilievo alla battaglia delle elesioni primarie dei due massimi partiti argentini: il perontsta e il radicale, cominciata a metà di giugno nelle circoscrizioni periferiche del Paese. La battaglia radicale ha già un vincitore: Raul Alfonsin leader della corrente progressista Renovaclòn y Cambio che ha travolto il suo rivale, il moderato Fernando de La Rua. Il 14 agosto, quan- do si riunirà il congresso del partito, Alfonsin sarà eletto candidato alla Presidenza ■della Nazione nelle elezioni del 30 ottobre. Raul Alfonsin, in una Argentina orba di caudillos, i senz'altro l'uomo politico di maggior rilievo. Nel sondaggio eseguito da un'agenzia specializzata per la rivista Somos, alla domanda: scegliete fra tre nomi di candidati alla presidenza, il 37% degli interrogati ha risposto Alfonsin; il 29% ha indicato Italo Argentino Luder (uno dei pre-candidati peronisti); il 6%, Francisco Marique (candidato d'un partito di centro) mentre il 19% ha risposto «nessuno di loro». Per contro alla domanda di indicare il partito preferito, il 29% ha risposto Giustlzialismo, il 27% Radicale, il 4% 'la sinistra*, il 3% *il centro* eil26% 'nonso ancora*. Qui va detto come, secondo la legge elettorale argentina, il 30 ottobre andranno alle urne 17 milioni 800 mila argentini (ma due milioni e mezzo vivono all'estero) per scegliere 254 deputati nazionali, 46 senatori e 600 'grandi elettori» i quali, a loro volta, eleggeranno il presidente. Raul Alfonsin ha 55 anni, è avvocato e viene da Chascomus, provincia di Buenos Aires. Radicale da sempre, fondò agli inizi degli Anni 70 la corrente Renovaclòn y Cambio e da allora, sino alla morte del patriarca Ricardo Balbin (settembre 1981) ha svolto il ruolo di «coscienza critica e di propulsore verso la sinistra» della elefantiaca macchina radicale. Abbiamo avuto modo di incontrare Alfonsin in casa di un suo amico. Tre sono i punti nodali del futuro politico argentino: l'amnistia o, meglio, l'autoamnistia, voluta dai militari per evitare la resa dei conti sui delitti commessi durante la repressione; il ruolo istituzionale dei militari nel prossimo regime democratico; i desaparecidos. Tre domande d'obbligo, quindi, ad Alfonsin e tre risposte nette, decise. Eccole, nell'ordine: •Niente tribunali speciali, nessuna Norimberga. Per i reati commessi durante la guerra suda (la guerra sporca) vogliamo una severa, equanime giustizia ordinaria. Però, prima, occorrerà disboscare la magistratura». «Non possiamo accettare la pretesa dei militari di conservare un ruolo autonomo e prevaricante nel futuro ordinamento istituzionale del Paese. Come in tutti 1 paesi democratici i militari dovranno fare i militari: pensare cioè alla difesa della Natone, essere al servizio del popolo e non viceversa». «B famoso documento del 28 aprile con cui i militari hanno cercato di passare la spugna sul problema tragico del desaparecidos^ inaccet¬ tabile a dir poco. Certo, bisognerà sotterrar l'odio ma non con gli ukase bensì attraverso una paziente ricucitura delle ferite, materiali e morali, che affliggono l'Argentina. CI vorrà tempo, pazienza e buona volontà». Trionfo? A Buenos Aires la gente dice: «Se le elezioni le vincono i peronisti, dopo sei mesi i radicali vanno a bussare alle caserme chiedendo l'aiuto del militari; se vincono i radicali 1 peronisti non aspetteranno tre mesi per far la stessa cosa». Ma sette anni di dittatura, la più disastrosa delle tante che l'Argentina ha sopportato nell'ultimo mezzo secolo,- dovrebbero aver convinto i maggiori leader dei due partiti che non è più tempo di rifare quanto, puntualmente, han fatto quando l'ugno o l'altro era insediato alla | Casa Rosaria. E tuttavia se in casa radicale ha vinto, anzi [stravinto, Alfonsin, in casa [peronista i giochi sono aperti. Il congresso del partito giustizlalista è previsto per la fine di agosto, primi di settembre. Vi parteciperanno 706 delegati che dovranno scegliere l'uomo che quasi sicuramente sarà il futuro presidente degli argentini. (La vittoria elettorale dei peronisti è un fatto scontato). Due sono le incognite che gravano sulla scelta dei candidato peronista alla presidenza. La prima è: chi deciderà di appoggiare il potente leader sindacalista Lorenzo Miguel? La seconda è: quale sarà la decisione di Isabel Peron? Isabelita ha affittato, per trentamila dollari, una villa con undici 'gorilla, a Fuehgirola (Marbella) in Spagna. Finora ha rispettato la conse- ' gna del silenzio. Un po' tutu la reclamano, la base peronista la invoca, la campagna elettorale appare palesemente condizionata dal suo atteggiamento, dalla posizione che assumerà, da quanto dirà, dai 'desideri» che vorrà esprimere. Ma lei si comporta da regina sdegnata Sul suo capo pende una condanna che le vieta di occupare cariche pubbliche. Solo l'indulto del presidente Bignone potrebbe restituirle i diritti civili e consentirle il ritorno in patria. Oppure una amnistia speciale di cui si parla da qualche tempo. O l'una o l'altra dovrebbero essere imminenti, se i peronisti annunciano che Isabel sarà a Buenos Aires per il loro congresso. Quando arriverà, dicono, con «l'aerem rosa» ad Ezeiza, dopo lo stesso itinera-.. rio percorso dal vecchio Pe- ' rón nel 1973 (Madrid-Roma-, Buenos Aires) andranno ad accoglierla almeno un milione e mezzo di persone. Il peronismo, per limitare 'l'effetto Alfonsin» ha bisogno di un leader carismatico. E, per quanto assurdo possa sembrare, Isabelita ha carisma perché è la «heredera de Peron». Non me scuerdo de nada, canto Roberto Goyenece, un «mostra» del tango. L'argentino è un popolo «che ha tanta fede in Dio e tanta capacità di dimenticare». Igor Man g| Buenos Aires. Il radicale Raul Alfonsin (a sinistra) abbraccia Fernando de La Rua, capo della corrente moderata del suo partito, da lui battuto nella candidatura alla presidenza argentina (Upi)