Orson Welles, verità e menzogna di Gianni Rondolino

Orson Welles, verità e menzogna RIVEDENDO IN TV I FILM D'UNO DEI GRANDI «REGISTI MALEDETTI» Orson Welles, verità e menzogna Il 1° maggio 1941 Citizen Kane (Quarto potere), il primo film realizzato da Orson Welles — che ha aperto il bel ciclo televisivo della Terza rete della Rai —, fu presentato in prima mondiale al Palace Theatre di New York. Il mese dopo, sulla rivista americana Decision, Eric von Stroheim si improvvisava critico cinematografico e dedicava un'ampia recensione al capolavoro wellesiano concludendo 11 suo articolo con queste parole: «Citizen Kane è un grande film e tale resterà nella storia del cinema. Pieni poteri a WellesU. La profezia di Stroheim si è avverata: Citizen Kane è rimasto quel gran film rivoluzionario che 1 nostri telespettatori hanno potuto vedere o rivedere nel giorni scorsi (sia pure in una mutilata e ridicola versione italiana!). Ma l'augurio del vecchio regista al giovanissimo collega esordiente non ha avuto analoga sorte: a Welles i poteri furono ben presto tolti, e gifi il secondo film, L'orgoglio degli Amberson, subì non pochi interventi censori; per tacere del progressivo allontanamento del regista dagli studi hollywoodiani, tanto da costringerlo a cercare altrove, in Italia, in Spagna, in Francia, lidi migliori, ma non certo facili e agevoli, per poter continuare il proprio lavoro. E' strano, quasi simbolico, che un medesimo destino abbia accomunato Stroheim Welles, certamente 1 due più grandi registi «maledetti» del cinema americano. Due autori che sono riusciti a imporre prepotentemente la loro visione del mondo a una Hol¬ lywood conservatrice e benpensante, distruggendo vecchi tabù, sconvolgendo le regole del gioco, inventando ardite soluzioni formali, senza paura di scandali e ostracismi; ma due autori che Hollywood è riuscita ben presto a neutralizzare, impedendone l'influenza perniciosa, svuotandone la carica eversiva. Come Stroheim, anche Welles ha dovuto, a un certo punto, accettare le convenzioni; e tuttavia la sua opera, pur costretta nei limiti d'una spettacolarità parzialmente imposta, è rimasta ancorata a quell'originaria genialità e passionalità che ancor oggi produce nello spettatore una reazione «calda», coinvolgente. A differenza di Charles Poster Kane, il protagonista del suo primo film, egli è ri inasto fedele al suol ideali, non ha tradito le aspettative. Il suo cinema ha continuato ad essere, fuori delle mode, all'interno di una rara coerenza di forme e di contenuti, lo specchio deformato e deformante d'una realtà colta e rappresentata nel suol molteplici aspetti umani e sociali. A ben guardare, come già in Stroheim, sono l'eccesso, la debordarla, Yhorror vacui, a costituire gli elementi portanti d'una drammaturgia filmi, ca che si basa in pari misura sull'onnipresenza dell'attorepersonaggio e della cinecamera. Come se lo schermo dovesse essere sempre pieno di volti, di Resti, di movenze, e la cinecamera non potesse mal stare ferma. Come se l'immagine cinematografica, attraverso una sapiente combinazione di movimenti interni ed esterni, si caricasse progressi¬ vamente d'una tensione drammatica che si risolve soltanto nelle improvvise fratture narrative, in quei coups de cinema che sono 1 corrispettivi dei colpi di scena teatrali. Un cinema dell'impatto visivo, dell'accumulazione degli oggetti e delle situazioni sino alla saturazione dello schermo. Un cinema, in altre parole, che possiamo definire «barocco». D'altronde è lo slesso Welles a metterci su questa strada interpretativa. Ventanni fa aveva dichiarato al Sunday Times: 'Mi piace la cinepresa... no, è una parola troppo debole: ne sono innamorato/». E aveva aggiunto significativamente: «No;i comincio un film mettendomi a pensare, come fa un drammaturgo per il teatro. Comincio dalle immagini, le parole vengono dopo. Al principio c come scrivere, scrivere con immagini. Si, ito tendenze barocche, ma ho anche altri stili nella manica, die tirerò fuori in futuro. Cerco di arricchire il più possibile lo schermo, perché il film in se stesso è una cosa morta, e, almeno per me, l'illusione della vita svanisce presto quando il tessuto è sottile-. Non v'è dubbio che il tessuto dei film di Welles non è soltllel La sua pregnanza, che sul piccolo schermo della tele visione va In gran parte perduta (lo slesso Welles ebbe a dire: «La televisione va bene come mezzo giornalistico, sin aitando non avremo schermi più grandi»), dà alle apparcn ze lo spessore della realtà, trasforma la bidimensionalità del cinema nella tridimensionalità della vita. E tuttavia l'opera complessiva di Welles si pone anche, e forse soprattutto, sul piano del gioco, di quell'incantamento dei sensi attraverso le varie metamorfosi del reale che fu peculiare della poetica barocca. Quel gioco, sottilmente perverso, di scambiare il vero col falso e il falso col vero, sino all'inquietante appiattimento delle dif ferenze. Ed è con F come falso, del 1975 (trasmesso questa sera sulla Rete tre), che egli vuol dimostrare l'indimostrabile, cioè dov'è la verità e dov'è la menzogna. Naturalmente il film è una sorta di teorema negativo, una scommessa con l'assurdo. Ma è questo il teo rema slesso dell'arte (e del cinema), la scommessa della creatività artistica. E' proprio attraverso la finzione che si può tentare di catturare la verità. Più i film di Welles ci paiono debordanti, irrealisti ci. falsi; più i suol personaggi si mostrano eccessivi, quasi caricaturali: più essi ci conducono sulla strada del vero La realtà è troppo complessa per essere contenuta in un'immagine «realistica» meglio osservarla attraverso la lente deformata dell'arlifl cl°- Gianni Rondolino

Luoghi citati: Francia, Hollywood, Italia, New York, Spagna