Lampi dal diamante di Cézanne

Lampi dal diamante di Cézanne QUARANTA CAPOLAVORI FRANCESI PRESTATI DA MOSCA A LUGANO Lampi dal diamante di Cézanne E' il protagonista della mostra, dovuta a uno scambio tra la collezione svizzera Thyssen-Bornemisza e i musei sovietici - Si parte da Monet e Renoir, campioni deputati dell'Impressionismo, per arrivare ai «Saltimbanchi» e al Cubismo analitico di Picasso Le provocazioni di Gauguin, il primo contestatore ufficiale della vecchia Europa -1 compromessi di Van Gogh e Matisse LUGANO — /l tradizionale attaccamento delì'alta società russa per la cultura francese ha ottenuto alcuni dei suol explolts più significativi ad opera di due facoltosi borghesi moscoviti, subito agli Inizi del nostro secolo: Ivan Morosov e Sergej Scukin. Ciascuno per suo conto, essi battevano le gallerie e i salons parigini acquistando con criteri raffinati e con sorprendente tempestività rispetto al gusti più avanzati. Perfino in Francia ci furono ben pochi collezionisti altrettanto coraggiosi. A questo modo il linguaggio delle avanguardie, dagli Impressionisti ai Fauves ai Cubisti andò a fecondare il tessuto della ricerca russa, facendo si che essa si ponesse ai primi posti nella scala dell'ardimento sperimentale. Poi ci fu la Rivoluzione d'ottobre, e le collesioni di Morosov e di Scukin vennero statizzate, andando a rimpinguare il museo Puskin di Mosca e l'Ermitage di Leningrado. Poi ancora seguirono gli anni del gelo, che resero praticamente invisibili questi capolavori. Ora, nel clima del disgelo almeno culturale, essi riescono a passare il confine, in occasioni eccezionali. Come è senza dubbio la presente, che vede un accordo tra la collezione ThyssenBornemisza di Lugano e i musei russi. La collezione privata svizzera ha inviato a Mosca una selezione dei suoi dipinti antichi, avendo in cambio quaranta capolavori francesi, appunto degli anni eroici, tra Il 1867 e il 1910. L'appuntamento è da non perdere, per la qualità elevatissima dei dipinti, che sono tra i più riprodotti dei rispettivi maestri, ma non dei più accessibili a una visione diretta (fino al 15 ottobre, catalogo Electa). Un esame logico e cronologico di questa eletta schiera vuole che si parta da Claude Monet e Auguste Renoir, campioni, deputati deU'Inv-, presstonlsmo. Ma di Monet si è già avuto occasione di parlare, e basterà quindi verificare una volta di più, sui suoi tre dipinti qui presenti, le solite grandi doti d'intensità, come di una vegetazione lussureggiante, gremita, intricata. Renoir meriterebbe qualche parola di più, se non altro perché oggi questo artista deve vincere una certa inattualità cui lo destinano i suoi stessi doni fatti di un'eloquenza fin troppo disponibile, di una gioia di vivere senza insidie e remore, cui non siamo abituati; a meno che nel suo stesso tocco, apparentemente felice e spensierato, non si voglia scorgere una qualità febbrile, quasi una fermentazione di enzimi che potrebbero mutare la salute in malattia, la pienezza e sodezza delle carni in decadenza e sfacelo. Protagonista della mostra è Paul Cézanne, con quel suo ambiguo impressionismo in cut l'.impressione» rinuncia alla pretesa di fermare l'attimo e si dà invece a conquistare il tempo. La pennellata non scatta Istantanea, ma anzi appare . strisciata», come in una foto mossa, emette un alone, un po' come fanno le stelle in un cielo umido e quindi rifrangente. Lo splendore della sensazione dardeggia lingue di luce al modo delle faccette di un diamante. E infatti Cézanne mira a suggerire il senso di un prisma ottico, di un caleidoscopio mobile. Si vedano, eroici in questa direzione, Grande pino e terra rossa, del 1885, e Ponte sullo stagno, dell'88. Inganno La sensazione, in luogo di fissarsi su un punto unico della tela, spara a raggiera le sue bordate intrecciandole con quelle die provengono dalle sensazioni attigue, e costruendo insieme con esse una stuoia continua, ma nello stesso tempo snodata, flessibile. Dopo questi tre grandi, nati attorno al 1840, si aprirebbe il capitolo del postimpressionismo, come è annunciato anche nel titolo della mostra. Ma mai etichetta è apparsa più insulsa e ingannevole. Il •post» fa pensare a una derivazione estenuata, a un epigonismo. Nulla di più ingiusto, se a questo modo si vuole classificare una presenza come quella di Paul Gauguin: cresciuto nel culto della sensazione, ma poi deciso a punirla, a castigarla, avendo ben compreso che i fratelli maggiori impressionisti già ne avevano tratto ogni bene. Anzi, era l'intera cultura oc- riden tale ad aver raschiato il fondo del barile del suo orgoglioso fenomenismo, dell'attaccamento al dato percettivo. Occorreva cambiare rotta, magari indirizzandola, alla lettera, verso le isole dell'Oceania, alla ricerca di un diverso rapporto con la realtà, fatto di tempi lunghi, di immagini fisse e ieratiche, immerse nei valori della religione e del mito: esattamente quei valori che alcuni secoli di civiltà occidentale avevano inteso reprimere. Così, il pigmento di Gauguin si fa scandalosamente magro e scarico, preoccupato solo di campire superfici, di contornare corpi maestosi, di distribuire motivi decorativi, alla ricerca di ciò che è stabile e eterno. Davvero, in quel momento, non si poteva fare di più per .contestare» l'impressione e tutto ciò che essa rappresentava. Opiù in genere, Gauguin ci appare oggi come il primo contestatore ufficiale della vecchia Europa, come colui che ha inventato la contro-cultura e tante altre diavolerie sessantotte- sche. Il visitatore, nel passare dagli Impressionisti a lui, si sentirà sottoposto a una doccia scozzese: dovrà abbandonare il registro della sensibilità e affidarsi all'intelletto, al meditato sforzo di uscir fuori da ogni abitudine ricevuta, fino ad accettare il -dipinger male» con cui Gauguin iniziava le sue calcolate' provocazioni. Al confronto, e quasi più accessibile il caso di Vincent Van Gogh, che pure una certa opinione pubblica vorrebbe più eroico e oltranzista. Ma l'artista olandese, a modo suo, tentava una conciliazione: mantenere la golosità fenomenica degli Impressionisti, dandole però un respiro più lungo e le cariche misticlie auspicate dall'amico-rivale Gauguin. Ne viene un compromesso di alta efficacia, anche se tutto sommato meno incisilo, meno sicuro e grandioso. Chi raccoglie in larga misura il messaggio di Gauguin, è Henri Matisse, con cui si apre la generazione dei migliori protagonisti del primo Novecento. Matisse costitui¬ | sce anche uno dei più alti titoli di merito di Scukov, che gli commissionò i celebri pannelli decorativi La musica e La danza, chiamandolo di persona a Mosca, nel 1911, per curarne la collocazione. Con Matisse ha termine il viaggio esotico, la fuga gauguiniana nei Paesi extra-occidentali. Vale a dire die l'Occidente, dopo il bagno salutare nei riti e miti delle origini, tenta di riportare quella nuova sensibilità nell'alveo dei .vecchi parapetti» europei, magari reimpiegandola ad uso della borghesia. . . ■ Con grinta Infatti Matisse è un Gauguin espurgato delle valenze religiose e mistiche, riportato a tenere i piedi in terra, e quindi anche ricaricato attraverso un'immersione nel sensibilismo. Senza alcun dubbio egli .dipinge meglio» del suo padre spirituale, ma forse la splendida epidermide di cui dota le sue tele nasconde, al | confronto, una carenza di anima. O meglio, siamo anclie in questo caso a un onorevole compromesso, tra la riscoperta delle virtù antiche della decorazione e della semplificazione schematica, come se si trattasse dì riproporre icone bizantine, e invece una grinta razionalista al passo con gli ardori dell'incipiente Novecento, deciso a ricominciare da zero e a proiettarsi verso il futuro. Un compromesso che di li a poco sembrerà insufficiente a Pablo Picasso, che è merito di Morosov aver acquistato con incredibile tempestività. Nel suoi verdi anni venti anche l'artista franco-spagnolo aveva ricalcato le orme di Gauguin e di Matisse (si vedano I saltimbanchi del 1901, capolavoro del .periodo blu»). Ma poi egli percepisce che occorre fare di più, che il nuovo secolo si caratterizza per una sua vocazione .macchinista», e che quindi i nostri sensi si devono regolare di conseguenza: t'occhio, il tatto devono vedere e sentire alla stregua di un ordigno meccanico, collaborare di buona voglia alla ricostruzio- | ne dell'universo, all'impresa di .rettificare» la natura emendandola dei suoi errori, e infine sostituendo ad essa il l regno artificiale dell'uomo. Nasce con ciò il Cubismo, di cui a Lugano si ammirano pezzi splendidi, relativi alla prima fase, quando Picasso, tra il 1907 e il 1908, rifa il corpo di donna sostituendo alle trepidazioni della carne le superfici scabre e asciutte del legno o della pietra; e relativi anche all'ulteriore fase analitica, quando i ritratti e le nature morte divengono scintillanti ingranaggi di lamelle metalliche pronte a orientarsi variamente nello spazio e a rifrangere la luce, riprendendo, ma su una base rigorosamente artificiale, le iridescenze ancora sensibili e naturali emesse a suo tempo dai diamanti di Cézanne. Il Ritratto di Ambroise Vollard, capolavoro del Cubismo analitico picassiano, è anche un omaggio dell'artista a un suo coraggioso e intraprendente gallerista, che funzionò da abile tramite con l'illuminato collezionista russo. Renato Buri 1 ! i e i o i o o a , . o i Paul Cézanne: «Il fumatore» (1895-1900. Ermitagc, Leningrado). A destra, Vincent van Gogh: «Ritratto del dottor Felix Rey» (1889, Museo Puskin. Mosca)