Bentornato «Super K» di Paolo Garimberti

Bentornato «Super K» OSSERVATORIO Bentornato «Super K» Ecco di nuovo Henry Kissinger, il maestro della diplomazia pendolare, della diplomazia segreta, comunque della diplomazia-spettacolo. Welcome back, bentornato, dopo sette anni di inattività, dedicati a scrivere due appassionanti libri di memorie, parlando molto bene di se stesso, e a confutare altri libri, che parlano molto male di lui. Ronald Reagan gli ha proposto di studiare una nuova strategia per l'America Centrale e il dottor Kissinger ha detto si, anche se ha sempre pensato che la vera, grande politica si fa per linee orizzontali (Washington - Mosca - Pechino - Tokyo, magari anche Bonn) e non per linee verticali, a suo avviso ininfluenti sugli equilibri mondiali. Ma l'odore del potere ha sempre avuto un richiamo troppo forte per «Super K» (spesso, negli anni d'oro, lo paragonavano a Nembo Kid). Ancora un anno fa, sul New York Times, aveva duramente criticato la presidenza Reagan: «La Casa Bianca non ha una strategia in politica estera». Poi, lentamente, aveva corretto il tiro. A Roma, per l'annuale riunione della «Trilaterale», ci aveva confidato che la politica estera di Reagan, se si guardava più ai fatti che alle parole, non era poi tanto dissimile da quella del perìodo nixoniano, cioè kissingeriano. E proprio in quella occasione, a metà aprile, per la prima volta dal 1976 non aveva escluso un suo rientro nella politica attiva nel giro di due anni. E' stato di parola. In chi ha vissuto da cronista gli anni dell'apogeo della distensione, l'intensa, ancorché effimera, luna di miele tra le superpotenze, il ritorno del dottor Kissinger non può non provocare un acuto senso di nostalgia per il buon tempo andato. Quando la diplomazia era, appunto, spettacolo per chi doveva raccontarla sui giornali, ma era anche speranza in un avvenire migliore per l'uomo della strada, che vedeva i presidenti americani andare a Mosca, quelli sovietici recarsi a Washington per ridurre i missili e aumentare i commerci; Mao stringere la mano a Nixon; Israele e Egitto fare i primi passi verso un accordo. E sullo sfondo, trionfante architetto, lui, Henry Kissinger. Ma ora che a quel periodo si guarda con una prospettiva storica più distaccata — grazie anche all'aiuto di qualche libro come Sideshow di William Shawcross e, soprattutto. The Price of Power di Seymour Hersh — la facile esal¬ papcgcsstsmsasapr(ld tazione di Kissinger cede il passo ad una revisione critica assai meno trionfale anche per chi ha sempre fatto proprio pubblicamente il machiavellico motto: «Il fine giustifica i mezzi». Seymour Hersh, che da cronista al New York Times è stato un maestro di giornalismo investigativo, ha dedicato gli ultimi quattro anni alla sistematica demolizione del mito kissingeriano. Ha accusato l'ex segretàrio di Stato di aver governato con metodi — segretezza, falsità, cinismo e anche violenza — antitetici ai più sentiti valori morali americani. Ne ha documentato (come anche Shawcross, il cui libro ha il significativo sottotitolo: «Kissinger, Nixon e la distruzione della Cambogia») le reiterate menzogne a proposito dei «raids» dei B-52 sulla Cambogia; le manovre senza scrupoli per sottrarre potere ai concorrenti — da Rogers a Melvin Laird — e concentrarlo nelle sue mani; le violazioni costituzionali commesse nelle trattative sulle armi strategiche con i sovietici; l'atteggiamento senza scrupoli verso il caso cileno. «The Kissinger Methods That Spoil His Record», ha commentato in rima Anthony Lewis sul New York Times (I metodi di Kissinger rovinano il suo stato di servizio). Ma i furori iconoclastici di cronisti che hanno drammaticamente vissuto in prima persona le laceranti vicende della presidenza Nixon (Hersh fu tra questi, sia per il Vietnam sia per il Watergate) non devono far perdere di vista, a un osservatore più distaccato, i risultati globali di una politica (ma chi ha detto che «un uomo politico non può essere anche perbene»"!). Non si può, •cioè, non riconoscere a Kissinger il merito di aver inventato una strategia internazionale che è l'unica ad aver dato risultati positivi nei rapporti Est-Ovest e che è crollata non per intrinseca debolezza, bensì per la debolezza della nazione e delle istituzioni americane in seguito al Watergate. Ora Henry Kissinger ha di fronte a sé una sfida straordinaria, per quanto durissima: dimostrare, dieci anni dopo, la validità della sua strategia risalendo dal particolare al generale; risolvere la crisi del Centro America per riavviare il dialogo tra le superpotenze. E' esattamente il processo inverso di dieci anni fa, quando attraverso il dialogo tra le superpotenze si arrivava a regolare le crisi locali. Ma, dopo tanto tempo, «Super K» avrà conservato intatti i suoi po- ten? Paolo Garimberti piÉllii Kissinger. un architetto della diplomazia per il Centro America