I sabati della pulce di Primo Levi

I sabati della pulce RITI, ENIGMI, GIOCHI D'INGEGNO I sabati della pulce C'è chi scrive per stupire, anzi, ci sono state epoche in cui destare meraviglia nel lettore era considerato lo scopo primo del mestiere di scrivere: ma il libro che mi ha stupito di più, e su cui sono caduto per caso, non è certamente stato scritto a questo fine. E' un libro di argomento religioso, o più precisamente rituale, ed io religioso non sono; ma non lo commenterò con intenzioni critiche, perché rispetto chi crede e qualche volta lo invidio. Le sue bizzarrie mi hanno fatto pensare: mi hanno riportato a un modo di concepire la vita e il mondo che è lontano dal nostro, ma che deve essere capito se vogliamo capire noi stessi, e che sarebbe stupido liquidare in scherno. Il libro si chiama Sbuìkhàn Ariikb («La tavola imbandi ta»); è stato scritto in ebraico (ma io l'ho letto in traduzione) nel 16° secolo da un rabbino spagnolo; benché abbia mole considerevole, è il compendio di molte opere prece denti, e contiene in sostanza le regole, le usanze e le «eden ze dell'ebraismo del suo tempo. £' diviso in quattro parti, che riguardano rispettivamen te: le prescrizioni giornaliere, il Sabato e le feste; il cibo, " denaro, la purezza e il lutto; il matrimonio; la legislazione rabbinica civile e penale. L'au rorc, Joseph Caro, era sefardi ta ed ignorava le regole e gli usi degli ebrei orientali; perciò il testo fu ripreso successivamente dal famoso rabbino .Moses Isserles di Cracovia, che ne scrisse un commento, argutamente intitolato «La Tovaglia», col quale si proponeva di colmarne le lacune renderlo adatto al lettore aske nazita. All'ebreo, com'è noto, è far to divieto di pronunciare il nome «vero» di Dio: esso viene bensì stampato nei libri, ma nella lettura deve essere sostituito da sinonimi. Di norma è lecito pronunciare la parola «Dio» in lingue-diverse dall'ebraico (ma ho conoscili to un ebreo tedesco che, per estrema reverenza e timore di peccare, nelle sue lettere scriveva Gtt in luogo di Gott) tuttavia gli autori della Tavola c della Tovaglia si preoccupano di quanto può avvenire ai bagni pubblici, dove la presenza di corpi umani nud rende l'ambiente intensamente profano; perciò, ai bagni, è preferibile non pronunciare il nome di Dio «neppure in tedesco o in polacco*. Come si vede, è questa certamente una chiosa di Isserles: del resto, non risulta che nel 1500 in Spagna i bagni pubblici fossero molto diffusi. Per motivi simili, nella chiusa delle lettere non si deve scrivere «adiòs», «addio», «aditi/»: la lettera potrebbe es sere insudiciata o finire tra immondizie. Il concetto di nudità è vasto, principalmente per quanto riguarda la donna: è nudità ogni porzione del corpo che d'abitudine sia coperta, ed al tresl i capelli. E' insomma nudità tutto ciò che può attirare l'attenzione dell'uomo di stracndolo dal pensiero Dio: perciò è equiparata alla nudità «anche la voce della donna che canta». La stessa tendenza all'ol tranza, al «far siepe alla Legge» si osserva anche per quanto riguarda il divieto di lavorare il Sabato. I lavori fondamenta! della vita rurale ed artigiana dell'epoca vengono ampliati con fantasia scatenata. E' vie tato pigiare l'uva: quindi anche qualsiasi «spremere», ad esempio non si può spremere la frutta; ma se il liquido che si ottiene è da gettare, allora spremere è permesso, e si può . spremere e sgocciolare l'insalata. E' vietato cacciare; che fare con una pulce? La si può acchiappare e gettare lontana, ma non la si deve uccidere. Cacciare ed anche catturare intrappolare: perciò, prima chiudere una cassa o un baule devi accertarti che non contenga mosche o tignole; se tu je rinchiudessi, avresti cacciato, anche senza averne volontà né coscienza, e avresti infranto il Sabato.' Come ti dovrai condurre se, di Sabato, ti dovessi accorgere che il tuo tino perde? Non puoi tappare la falla, perché sarebbe lavoro servile; e neppure puoi pregare esplicita mente un tuo servo od amico cristiano di provvedere, perché anche far lavorare è proi bito. Questa è la soluzione pssvplvcvQug proposta: se il danno si prospetta grave, puoi dire impersonalmente: «Se qualcuno dovesse porre riparo non avrebbe a pentirsene». Nel giorno del riposo e della letizia è anche vietato scrivere e cancellare, forse in ricordo del tempo in cui si scriveva scalpellando la pietra. Questo divieto dà origine a una casistica mirabilmente ramificata. Non si può tracciare lettere, e neppure ghirigori, su un vetro appannato; maneggiando un libro, bisogna badare a non inciderne la copertina con l'unghia; per contro, è lecito mangiare una torta che porti scritte o disegni. Spazzare è un abradere, e quindi, con temeraria espansione del concetto, rientra fra i lavori proibiti perché comportano un cancellare: ma è permesso farlo «in modo non abituale», ad esempio usando penne d'oca in luogo della scopa. E' vietato accendere un fuoco ed anche spegnerlo. Naturalmente è permesso, anzi obbligatorio, spegnere di Sabato un incendio se sono in peticolo vite umane; però, «se un abito prende fuoco, si può versare acqua suua parte che non sta bruciando, ma non sul fuoco direttamente». L'idolatria va tenuta in abominio. Sugli idoli non si deve neppure posare lo sguardo, né avvicinarsi a loro a meno di quattro cubiti. Se, passando presso un idolo, ti si pianta una spina in un piede, non devi curvarti per toglierla, perché questo potrebbe apparire a qualcuno un gesto eli osse quio: ma non ti devi curvare anche se non c'è nessuno, perché tale potrebbe sembrare il gesto a te stesso più tardi, nel ricordo. Devi allontanarti, o sederti, o almeno volgere le spalle all'idolo. A proposito del divieto di mangiare insieme carne e lat te, si formulano ipotesi e solu zioni che ricordano gli studi e problemi degli scacchisti: si immaginano cioè situazioni elegantemente improbabili astratte, ma utili per ragionamenti sottili. Se due ebrei pii mangiano alla stessa tavola, e uno consuma carne e l'altro latticini, devono tracciare un segno sulla tovaglia per dividere i due campi, o comunque segnare un confine. Non devono bere allo stesso bicchiere, perche vi possono aderire tracce di cibo. Se insieme con la carne si prepara un piatto con «latte» di mandorle, bisogna lasciarvi dentro alcune mandorle intere, affinché sia evidente che non si tratta di latte vero. Che dire di questo labirin to? Frutto di altri tempi? Ingegno e tempo sprecati? Degradazione del sentimento religioso a regolamento massiccio? Questa Tavola imbandita è da buttare, da dimenticare o da difendere? E se è da difendere, come? Io non penso che ci si possa scrollare di dosso questo libro, e in generale il rito, con un'alzata di spalle, come si fa con le cose che non ci riguardano. Il rito, ogni rito, è un condensato di storia e di preistoria: è un nocciolo dalla struttura fine e complessa, è'un enigma da risolvere; se risolto, ci aiuterà a risolvere altri enigmi che ci toccano più da vicino. E inoltre, i Mani so no pure qualcosa. Ma, oltre a questo, sento in questa Tavola un fascino che è di tutti i tempi, il fascino del la subtilitas del gioco disinteressato dell'ingegno: spaccare capelli in quattro non è mestiere da perdigiorno, ma allenamento mentale. Dietro queste pagine curiose percepisco un gusto antico per la discussione ardita, una flessibilità intellettuale che non teme le contraddizioni, anzi le accetta come un ingrediente immancabile della vita; e la vita è regola, è ordine che prevale sul Caos, ma la regola ha pieghe, sacche inesplorate di eccezione, licenza, indulgenza e disordine. Guai a cancellarle, forse contengono il germe di tutti i nostri domani. Ma ci sento, soprattutto, e sotto la scorza seriosa, un riso che mi piace: è lo stesso riso delle storielle ebree in cui le regole vengono arditamente capovolte, ed è il riso di noi «moderni» chi leggiamo. Chi ha scritto che pizzicare una pulce è un cacciare, o che aprire di Sabato un libro che porti1 una scritta sul taglio è probabilmente illecito (perche cosi facendo si cancella un messaggio scritto), ha riso scrivendo come noi ridiamo leggendo: non era diverso da noi, anche se lui si occupava di distinguere i lavori leciti dagli illeciti, e noi di bilanci aziendali o di cemento armato o di,codici alfanumerici. Primo Levi

Persone citate: Gott, Joseph Caro, Moses Isserles

Luoghi citati: Cracovia, Spagna