Afghanistan, 10 anni di convulsioni di Aldo Rizzo

Afghanistan, 10 anni di convulsioni Nel luglio 1973 un gruppo di ufficiali rovesciò la monarchia costituzionale: era l'inizio del lungo dramma Afghanistan, 10 anni di convulsioni Daoud, Taraki, Amili: tre protagonisti che presero successivamente il potere, concludendo le loro brevi leadership spodestati e uccisi dal successore, fino all'arrivo di Karmal • L'ombra sempre presente dell'Unione Sovietica, potenza di cui tutti, anche il re, cercarono il «buon vicinato» - Il progressivo coinvolgimento dei russi nelle vicende del Paese, fino all'intervento del dicembre '79 L'Afghanistan è una tragedia lunga dieci anni. Per ora. Nel 1973. di questi giorni, il remoto Paese asiatico usci dal suo storico isolamento e fece il suo ingresso nella grande cronaca Internazionale. 11 prezzo che ha pagato è immane. Da tre a quattro milioni di persone, il venti per cento della popolazione globale, sono fuggite all'estero, soprattutto nel Pakistan. Negli ultimi quattro anni, quelli seguiti all'invasione sovietica, più di un milione di vittime, fra morti, invalidi permanenti, dispersi. Un'economia devastata. Tutto cominciò il 17 luglio 1973. Quel giorno, un gruppo di giovani ufficiali, collegati con la fazione Pardjam del partito popolare democratico (marxista-leninista) e. con l'ex primo ministro, Mohammed Daoud, dichiarò decaduta la monarchia costituzionale di Mohammed Zaher Shali, che era partito per una vacanza in Italia. Zaher non era un cattivo re, nel 1964 aveva accettato che, almeno formai mente, il vecchio regime patemalistico-autoritario fosse sostituito da un sistema parlamentare di tipo occidentale. Chi apparteneva a pieno titolo al vecchio regime, era semmai Daoud che, in quanto cognato e cugino del re, aveva potuto essere per ben dieci anni, dal 1953 al 1963. primo ministro. Ma anche la nuova Costituzione non aveva dato grande prova", tutto era in sostanza continuato come prima, e ad aggravare le cose c'era stata, tra il 1971 e il 1972. una tremenda siccità, che aveva esasperato gli squilibri e le ingiustizie di una società agrlcolo-feudale. Ai giovani ufficiali e anche ai comunisti Daoud, che aveva sempre fatto una politica di buon vicinato con l'Urss. era parso alla fine un'utile copertura. Daoud dapprima stette al gioco. Fece sua la linea programmatica del Pardjam, varò la riforma agraria, ecc. Ma quando i tentativi di modernizzazione si scontrarono con la totale assenza d'infrastrutture e poi con le prime reazioni «religiose» e poi ancora con disordini etnici (l'egemonia storica dei Pathan, contestata dalle altre tribù), il princi pe-presidente, invece di cer- care di rimuovere le cause del suo insuccesso, optò, come spesso accade in questi casi, per la repressione. Ciò gli alienò progressivamente il sostegno degli ufficiali progressisti e dei comunisti. Questi ultimi, come partito popolare democratico, erano nati clandestinamente nel 1965, eredi del vecchio movimento «Wisch-Zalmia* (Risveglio della gioventù). Le loro posizioni però erano ormai ben distanti da coloro che, a cavallo del 1950, si erano battuti per un'evoluzione democratico-parlamentare dell'Afghanistan. Ammettevano solo la necessità di tappe «democratico-nazionali» sulla via della «rivoluzione socialista». Il nuovo partito marxista-leninista si era tuttavia subito scisso in due fazioni: quella «operaista» del Khalq, di cui era leader Taraki, e quella, favorevole al più ampio blocco sociale, del Pardjam, con a capo Karmal, l'attuale dittatore. Una terza fazione, di ul- traslnistra, sposò la causa del gruppi etnici minori, contro l'egemonia dei Pathan. Di fronte all'insuccesso del' governo Daoud, e approfittandone per un decisivo avvicinamento al potere, le due fazioni maggiori riunirono le loro forze. Il principe rispose facendo arrestare sia Taraki che Karmal; ma sfuggi all'arresto il potente Hafizullah Amin, capo della «sezione sicurezza» del ppd, che si accordò con un generale, Abdul Kader, per una sollevazione contro Daoud. Questa avvenne il 27 aprile 1978. Daoud fu ucciso nello stesso palazzo presidenziale. Nasceva la Repubblica democratica dell'Afghanistan, in pratica il regime comunista. Al vertice, con Taraki, due vice primi ministri, Amin e Karmal. I sovietici, ora, potevano tirare un sospiro di sollievo: non più un faticoso buon vicinato (in comune tutta la frontiera meridionale dell'Urss tra l'Iran e la Cina), ma un regime amico, anzi «fratello». Però non era diventata più stabile la situazione interna afghana, e i russi se ne sarebbero presto accorti. Di nuovo dissidi tra i leader, Karmal in «esilio» all'ambasciata di Praga, e soprattutto, puntuale, la reazione di rigetto della nevrotica e contraddittoria società afghana, tanto più aspra, questa volta, in quanto più radicale è la «cura» del governo. Nel quale spadroneggia, dietro l'autorità formale di Taraki, l'onnipotente Amin, con la sua Aqsa, la polizia politica segre ta. Successivamente, restando Taraki capo dello Stato, Amin pretende e occupa il posto di primo ministro. La rivoluzione precipita nel caos. Terrore e controterrore. La reazione islamica si fa forte, nella sua componente «sciita», degli avvenimenti iraniani. Ma sono sul piede di guerra anche i «sunniti». Su tutti la morsa, brutale, ma inefficace, di Amin: efficace, però, per Taraki, che ha tentato dopo un viaggio a Mosca di sbarazzarsi del rivale, col risultato che, il 9 ottobre 1979, la radio annuncia la sua morte -per malattia". Due mesi dopo, mentre Badrak Karmal rientra segreta¬ mente da Praga, scatta l'invasione sovietica. Oli analisti più distaccati osservano che, a questo punto, l'Urss aveva di fronte a sé tre possibilità: accettare, ai suoi confini, il tracollo di un regime comunista; cercare di controllare un Amin diventato nello stesso tempo troppo forte e troppo debole; intervenire eliminando Amin e mettendo al suo posto un leader (Karmal) sup¬ posto più duttile e meno impopolare. In America, Carter vede soprattutto o esclusivamente un atto di forza imperiale della superpotenza antagonista, che cerca uno sbocco verso i «mari caldi» del petrolio, mentre anche l'Iran è nel caos. Un colpo durissimo al rapporti Est-Ovest. In realtà, in questa specie di rivoluzione francese svoltasi nei modi di un sanguinoso mi¬ stero orientale, ai confini di una delle due massime potenze mondiali, c'è un po' di tutto. Ma ciò che più importa in, questa Afglian Story, dieci anni dopo il suo inizio, è che essa continua e non se ne vede uno sbocco. Non lo si vede per l'Urss che. dopo la feroce eliminazione di Amin e dei suol e il massiccio intervento dell'Armata Rossa, continua a fron- tegglare una rivolta diffusa, articolata In modi confusi (tra ideologie, etnie e sette religiose) ma appunto per questo meno controllabili. Non lo si vede, uno sbocco, neppure per l'Occidente, che' può alutare la resistenza afghana, ma sino a un certo punto, e non può del resto identificarsi con quel fondamentalismo islamico, che ne è, tutto sommato, la molla più vitale. E, quanto ai danni che l'invasione sovietica ha fatto, per la distensione, essi pesano, a conti fatti, anche sugli occidentali. Infine, non si vede uno sbocco per la stessa resistenza, per gli stessi mojahiddin, divisi fra almeno sei partiti o fazioni, che se ne contendono la «leadership», e i cui capi vivono per lo più a Peshawar, nel Pakistan, curiosi quasi quanto 1 giornalisti di ciò che realmente accade nel «mistero sanguinoso» oltre confine, tra un paio di centinaia di migliala di guerriglieri e un po' meno soldati dell'Armata Rossa, ma appoggiati da trentamila carri armati e dall'aviazione. Questa tragedia senza sbocco è dunque anche una impasse politica. E' per questo che qualcuno, «pensando l'impensabile», arriva a ere dere possibile una soluzione diplomatica? Ritiro graduale del sovietici, un regime «progressista» e rigidamente non allineato a Kabul, rientro progressivo dei profughi dal Pakistan... Tutto può essere, e a lume di ragione tutti avrebbero un loro tornaconto: soprattutto l'Afghanistan che potrebbe cominciare a curarsi ferite incancrenite. Ci sono pallidi tentativi di negoziato a Ginevra, con la mediazione dell'Orni, tra i rappresentanti dei governi afghano e pakistano, e si parla di contatti segreti tra diplomatici delle due superpotenze. Tutto può essere, ma tutto è molto complicato. Sarebbe il primo ritiro dell'Urss da un'area confinante. Un'ipotesi, al massimo, per i prossimi anni, fra molte «variabili» sovietiche e internazionali. Anche troppo, persino per parlarne, mentre la tragedia dell'Afghanistan entra nel secondo decennio. Aldo Rizzo