Desaparecidos incubo palestinese di Tito Sansa

Desaparecidos/ incubo palestinese Dopo le stragi di Sabra e Chatyla un nuovo dramma nei campi profughi: spariscono di notte uomini, donne e bambini Desaparecidos/ incubo palestinese «Quattromila persone sono scomparse a Beirut negli ultimi mesi e il governo non risponde ai nostri appelli», dice il portavoce di Arafat - L'Onu ridimensiona le cifre (2500 tra morti e arrestati) - La forza di pace internazionale impedisce le scorrerie di soldati e milizie soltanto nelle «aree protette», altrove vendette e sequestri sono inevitabili - Il generale Angioni: «Non possiamo opporci ai soldati libanesi, non abbiamo compiti di polizia, ma posso assicurare che i falangisti non li facciamo avvicinare» DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT — Dieci mesi fa i massacri di palestinesi nei campi di Sabra e Chatyla inorridirono il mondo, i responsabili delle due stragi di donne e bambini ancora non sono stati identificati. -Giustamente vi siete indignati e avete mandato le truppe della forsa multinazionale di pace a proteggere le nostre popolazioni — dice il portavoce di Yasser Araf at, Ahmed Abdul-Rahman —. Ma vi è una cosa die nessuno sa o, se la sa, la nasconde: il massacro dei palestinesi continua, giorno per giorno, notte dopo notte, nonostante la presema delle truppe di pace. Da quando la forza multinazionale è andata a Beirut sono sparite circa 4000persone^. « Voi avete i vostri desaparecidos in Argentina, e fate benissimo a protestare — continua Abdul-Rahman —. Noi abbiamo i nostri 4000 mafkudin. Abbiamo chiesto notizie alle autorità libanesi e non ci hanno risposto. Ci siamo rivolti ai governi italiano e francese, sotto la cui protezione militare si trovano i campi dei nostri mafkudln, e neppure loro ci hanno dato una risposta. Non sappiamo proprio perché la forza multinazionale — l'unica di cui riconosciamo l'autorità a Beirut — non abbia chiesto ai libanesi con cui collaborano, di mettere fine a questi crimini. Abbiamo le liste dei mafkudin, ci sono anche ragazzi di 12-13 anni, le cui madri, come a Buenos Aires quelle dei desaparecidos, hanno protestato con le foto dei figli dinnanzi alla casa del primo ministro. A Roma e a Parigi certo questi crimini sono conosciuti. Se la forza di pace èqui per proteggere le vite dei nostri, perché non ci rispondono i ministri Colombo e Cheysson?». «La cifra degli scomparsi è esagerata-, dice un funzionario venuto da Vienna a Beirut per conto dell'Unrwa, l'Agenzia di soccorso e lavoro delle Nazioni Unite, per esaminare la situazione dei rifugiati dei palestinesi. «A noi risulta che subito dopo la partenza degli israeliani, a Beirut vi furono rastrellamenti selvaggi. Circa 2000-2500 persone furono imprigionate, molte torturate, centinaia uccise, di altre non si conosce la sorte. Al 15 giugno risultavano in prigione ancora circa 500 palestinesi, tra cui 40 donne». Il funzionario venuto da Vienna (che vuol tener celata la sua identità) racconta che le Uste con i nomi degli scomparsi sono state presentate al governo libanese durante incontri informali a Tunisi e a New Delhi. Il presidente libanese, Amin Gemayel, si è detto pronto a stroncare gli arresti abusivi ma soltanto quando tutte le truppe straniere si saranno allontanate dal territorio libanese. Secondo la Unrwa il problema dell'incolumità dei pale- stinesi nei campi è gravissimo, anche se Chatyla (con 5865 abitanti) è protetto dalle truppe francesi e quello di Bory-el-Baranye (con 10.450 abitanti) è vigilato da quelle italiane. Qui è difficile che accada qualcosa, la forza multinazionale impedisce le scorrerie di soldati e di milizie. Ma negli altri campi, a Sabra, a Mar Elias, e un po' in tutta Beirut, vivono altri 51 mila palestinesi senza che alcuno li protegga. E' qui che le milizie e la polizia politica — secondo l'Unrwa—svolgono la loro attività. «Le statistiche sono ingannatole — racconta il funzionario —. In realtà nessuno sa quanti siano i palestinesi rifugiati a Beirut. Nei campi la situazione è drammatica soprattutto dal punto di vista psicologico. Gli uomini sono via, o morti o in prigione, le donne con in media sei bimbi ciascuna non hanno lavoro, vivono con le razioni delle Nazioni Unite e con i risparmi passati, vendendo i gioielli. Hanno il terrore continuo di nuovi massacri». «Non può continuare — dice il signore di Vienna —. / rimasti non trovano un'occupazio ne e non possono andarsene perché non esiste alcuna autorità che lì fornisca di un passaporto. Ma un passaporto per dove? Tra sei mesi, quando arriverà l'inverno, e i risparmi e i gioielli saranno finiti, i campi esploderanno. Sono una bomba a orologeria e nessuno lo sa. Per fortuna die ci sono le truppe italiane e francesi. Si deve a loro se non ci sono state nuove Sabra e Chatyla». Inoltre i soldati che prestano servizio quaggiù lo sanno, «Sono motivati —dice il generale Franco Angioni — consci di fare qualcosa die serve» Confrontati giorno per giorno con una realtà così difficile e intricata, i 2175 militari italiani della Forza multinazionale di pace (la fanteria meccanizzata del «Montelungo», 1 paracadutisti della «Folgore», i marìnes del «8. Marco», gli incursori paracadutisti e il personale dell'ospedale da campo) hanno veramente la sensazione di «servire lapace». Incontrato durante un giro d'ispezione, l'infaticabile ge¬ nerale Angioni si dichiara soddisfatto dell'opera svolta finora a Beirut, ma aggiunge che «sarà la storia a decidere il nostro operato». La truppa è contenta, la permanenza nel libano dura solo quattro mesi, ogni 45 giorni i soldati ricevono un turno di una settimana di licenza in patria, di tempo in tempo vanno a svagarsi a Cipro, sanno di essere esclusi da ruoli di combattimento e che i rischi sono ridotti al massimo. Racconto al generale Angioni quanto mi ha detto il portavoce di Arafat, Ahmed Abdul-Rahman, circa i sequestri di persona che avverrebbero anche all'interno dei campi protetti dalla Forza multinazionale. Il generale ammette l'esistenza del problema. «Concordo con la cifra che le ha detto il funzionario delle Na¬ zioni Unite — dice —, l'altra è esagerata». E mi spiega che tutto si svolge nella legalità— con regolari mandati di cattura — nel pieno rispetto delle leggi dello Stato libanese. «Non ci sono più arresti di massa come nei primi giorni — racconta il generale —, ma solo arresti isolati di persone che hanno pendenze con la giustizia libanese. Noi, quaggiù, non abbiamo funzioni di polizia, per accordi presi con il governo libanese non possiamo far eseguire fermi e controlli di documenti. Quando si presentano persone in uniforme regolare — poliziotti, gendarmi, soldati —, con tanto di mandato di cattura, non possiamo far nulla, dobbiamo piegarci alle leggi dello Stato sovrano libanese». Il generale Angioni smentisce comunque energicamente l'affermazione di Abdul-Rahman che ancora oggi gruppi di falangisti cristiani in uniforme o in borghese farebbero incursioni notturne nei campi affidati agli italiani, arrestando e minacciando. « Certo — dice — la cifra delle persone arrestate è molto elevata, le ambasciate sono informate, sanno quante persone sono scomparse e quante si trovano in carcere. Questo è un problema dei politici non dei militari. Sicuro è che da quando siamo qui noi tutti i civili sospetti sono stati bloccati e nessuna milizia è più entrata». Il portavoce del generale, capitano Corrado Cantatore, aggiunge: «Li fermiamo tutti, con le armi quasi puntate, e li facciamo controllare da un ufficiale libanese, perché ci possono presentare come se fosse un documento anche la tessera del cinema o dell'autobus. Il problema degli arrestati c'è, ma per controllarlo bisognerebbe che questo Stato non esistesse e che una commissione internazionale avesse accesso alle carceri. Ma nessuno Stato sovrano accetterebbe questa condizione». Domando ancora al generale Angioni se è prevedibile che la forza multinazionale di pace venga aumentata e che la sua competenza territoriale venga estesa alle montagne del Chouf e dell'Aley. Risponde: «E' un discorso polìtico. La nostra presenza quaggiù è stata ritenuta necessaria e rimarremo se il governo lo vorrà. E se il governo deciderà di affidarci altri e nuovi compiti, li eseguiremo. Siamo flessibili e duttili. Ci auguriamo comunque che la nostra permanenza sia la più breve possibile, anche se sappiamo che dobbiamo rimanere — siamo indispensabili — fino a quando tutti gli occupanti non se ne saranno andati». Tito Sansa