Sciascia: sulla morte di Moro l'inchiesta si è fermata sempre a un passo dalla verità
Sciascia: sulla morte di Moro l'inchiesta si è fermata sempre a un passo dalla verità Presentata la relazione di minoranza dello scrittore Sciascia: sulla morte di Moro l'inchiesta si è fermata sempre a un passo dalla verità ROMA — Perché Moro non stato salvato nei 55 giorni della sua prigionia «da quelle forze che lo Stato prepone alla salvaguardia, alla sicurezza, all'incolumità dei singoli cittadini, della collettività, delle istituzioni?». Questa—secondo l'oli, Leonardo Sciascia, del partilo radicale, che ha presentato una relazione di minoranza sull'inchiesta parlamentare — è « ta domanda prima ed essenziale» cui la commissione aveva il dovere di rispondere. Lo scrittore, che riprende nella sua relazione, di 24 pagine, alcuni motivi già formulati nel suo libro «L'affaire Mo ro», dà la «sua» risposta articolata sostanzialmente in due parti: ci fu, e notevole, uno spiegamento di forze per cercare di individuare i rapitori e gli assassini di via Fani, ma «le operazioni condotte in quei giorni erano o inutili o sbagliate». La seconda risposta di Sciascia indica nella «decisione di non riconoscere nel Moro prigioniero delle Brigate rosse il Moro di grande accortezza politica, riflessivo, di ponderati giudizi e scelte, che si riconosceva era stato fino alle 8,55 del 16 marzo» «l'impedimento più forte, la remora più vera, la turbativa piò insidiosa» che pregiudicarono la possibile salvezza di Moro. A questo proposito Sciascia fa l'esempio dei messaggi che Moro scrisse nella sua prigione. Si offri —sostiene lo scrittore — compassionevolmente l'immagine «di un Moro altro, di un Moro due, di un Moro non più se slesso, tanto da credersi lucido e libero mentre non lo era affatto. Il Moro due in effetti chiedeva fossero po sii in essere, per salvare la propria vita, quegli stessi meccanismi che il Moro uno aveva, nelle sue responsabili tà politiche e di governo, usati o approvati in deroga alle leggi dello Stato ma al fine di garantire tranquillità al Paese». Sciascia esprime infine un giudizio critico sui lavori della commissione, contrassegnati da «inevitabili ritardi, lentezze e dispersioni». Sostiene che non è stata sufficientemente chiarita la controversia sulla macchina blindata che sarebbe stata chiesta da Moro (secondo le testimonianze della vedova Leonardi); rileva che nella ricerca delle responsabilità la commissione «si è sempre fermata un po' prima, al lìmite di scoprirle, di accertarle». Lo scrittore conclude definendo una questione «da fasciar cadere» la disputa se l'italiano delle Brigate rosse fosse una traduzione da altra o altre lingue; e quanto ai collegamenti internazionali, osserva che ci sono nomi di paesi stranieri che tornano, nell'inchiesta, con una certa frequenza e insistenza (di più quelli di Paesi del Medio Oriente, della Cecoslovacchia, della Libia e della Bulgaria).
Luoghi citati: Bulgaria, Cecoslovacchia, Libia, Medio Oriente, Roma
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