I candidati ambulanti di Tokyo di Vittorio Zucconi

I candidati ambulanti di Tokyo Domenica 26 i giapponesi hanno rinnovato il Senato, un voto senza passione, senza rabbia, senza sorprese I candidati ambulanti di Tokyo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — Alle 6,30 del mattino, mentre 11 primo sciame delle api operale scompare nel sottosuolo della città verso i metrò, mentre il nonno che soffre d'insonnia scopa il marciapiede davanti al negozio del figlio, mentre dal mare arrivano le nuvole basse che accompagnano i giorni della stagione estiva delle piogge, dentro il furgoncino in agguato nel vicolo comincia il conteggio alla rovescia. ''Amplificatori?,,. Accesi. «Microfono?». Inserito. «Guanti?,,. Bianchi e infilati. «Coccarde?». Appuntate. «Motore?». Avviato. «Tempo?,,. Ecco, sonde?. «Go». Con la forza di 1000 buoni watt giapponesi, dal camioncino erutta un tuono che infrange l'ultima quiete del mattino, scuote dal letto i dormienti, infuria le anime dei più pazienti. «Buon giorno e scusa feci — tuona la voce, — scusateci molto per il disturbo arrecato. Questo che vi parla è il candidato Susuki che chiede il vòstro voto, domenica prossima alle elezioni». Dai finestrini del mini-bus ragazze carine e garrule vestite di colori da caramelle agitano le manine guantate con una gioia raramente condivisa dalla gente sui marciapiedi. «Susuki, Susuki, votate Suzuki» rimbomba l'altoparlante. Girerà quasi senza sosta fino alle 8 di sera. Votare in Giappone — la sola nazione asiatica insieme all'India dove si svolgano elezioni realmente democratiche Le elezioni nel Sol Levante sono una esperienza assordante, frustrante, ma certamente unica - Gli aspiranti al seggio hanno a disposizione soltanto un «furgoncino parlante» con il quale battono il collegio dalle 7 alle 20 - La pubblicità televisiva è limitata a 15 secondi al giorno nelle networks private; è vietato distribuire volantini porta a porta - Lo Stato non finanzia i partiti, i fondi privati vanno quasi tutti ai gruppi politici organizzati - Alle urne il 57% degli elettori — è un'esperienza'assordante, frustrante, ma certamente unica. Questo è un voto senza passione, senza rabbia, e senza il sangue che spesso accompagna le consultazioni elettorali in India, e non solo in India. E' sempre molto facile qui, scambiare il contegno per indifferenza, la buona educazione per freddezza, ma le campagne elettorali sono dovunque una sonda per vedere meglio che c'è sotto la faccia apparente di un Paese. Si è votato, anche qui, domenica 26 giugno, per il rinnovo del Senato e i risultati hanno poca importanza. In un Paese che vede attorno al 3% sia il grado di disoccupazione che il tasso di inflazione, dove la maggioranza dei lavoratori dipendenti ha, come 1 sovietici, il lavoro sicuro ma, a differenza dei sovietici, ha anche «un pollo in ogni pentola e un'auto in ogni garage» è improbabile che 11 partito al governo venga penalizzato. E infatti il centro moderato (liberal democratico) ha ottenuto la maggioranza assoluta, lasciando socialisti e comunisti, buddhistl e partiti minori a dividersi quel poco che restava della torta. Essendo 11 risultato prevedibile, più importante è raccontare i meccanismi della campagna e del voto. I giapponesi votano in elezioni vere soltanto dalla fine della guerra e sono quindi, come noi, un popolo di giovani eredità demoocratiche. Hanno subito, ancora una volta come noi, il logorio degli entusiasmi partitici e vissuto il riflusso di scandali e sospetti sull'ime grità della classe politica, ripagandola con un'indifferenza che porta alle urne solo il 57% degli elettori. Ma stando a casa non vogliono «prote¬ stare», piuttosto «dare una delega in bianco» a dirigenti senza alternativa seria o reale. La campagna elettorale è rigidamente contenuta dalla legge e dalla consuetudine culturale di un popolo che disprezza l'esternare troppo sbracato di sentimenti e di idee. I candidati possono far propaganda per tre settimane, nelle consultazioni politiche nazionali, e per una settimana nelle votazioni locali. La pubblicità televisiva è limitata a 15 secondi al giorno; e soltanto nelle 5 networks private, visto che la «Rai piopponese» (NhK) si fa pagare un canone, ma è spoglia di qualsiasi pubblicità. Tribune» teletrasmesse non esistono e 1 candidati che vogliano apparire sul piccolo schermo devono «far notizia», perciò essere inseriti nel telegiornali, oppure farsi invitare come ospiti in una trasmissione di varietà. Dove, naturalmente, nessuna «Commissione di vigilanza» sorveglia che non siano messi in dif iicoltà o che abbiano lo stesso numero di secondi concessi la sera prima agli avversari. Lo sforzo del candidato è dunque rivolto a prendere contatto con gli elettori, a convincerli, quasi uno per uno. L'impresa non è facilissima, nella tremenda congestione di una città come Tokyo, dove 11 milioni e 600 mila persone vivono in un dedalo di stradine, che sfidano le capacità di orientamento di un vero esploratore polare. Anche da questo è nata l'idea del furgoncino parlante, autentico mini-quarlier generale viaggiante con il quale i politici battono il proprio collegio. La legge, dopo le proteste furiose di gente strappala al sonno all'alba dei fine settimana, è molto rigida. Concede un solo veicolo per candidato, dalle 7 del mattino alle 20. E vieta 11 «canvassing», il battere o il telefonare casa per casa sollecitando il voto e distribuendo manifestini. Ottocento attivisti sono da martedì scorso in carcere per avere violato questa disposizione. Indispensabile è trapanare nella mente degli elettori non solo il nome del candidato e del partito, ma la corretta grafia. La «scheda., sono due logli bianchi, sui quali gli elettori devono scrivere il nome del prescelto per le votazioni a collegio uninominale, e la sigla del partito, sulla scheda riservata alle proporzionali. Nel complicatissimo alfabeto idcogrammatico giapponese, tuttavia, lo stesso nome, ad esempio Suzuki, può essere scritto con caratteri diversi, e l'elettore deve quindi sapere esattamente con quali tratti di penna comporre il nome desiderato. Per semplificare le cose, e dopo un accenno di polemica, il ministero degli Interni ha accettato di considerare validi anche i voti scritti in caratteri latini. Suzuki, ad esempio, come lo scriveremmo noi. Naturalmente, una campagna elettorale che enfatizza, più che il partito, il candidato individuale, sollecita il reclutamento di personalità famose. La caccia al «nome», ormai diffusa anche in Italia, qui è attivissima da anni, e non c'è valletta o presentatore televisivo, celebre atleta o scrittore di best sellers che non venga sottoposto a ofierte di candidatura. Accade addirittura che alcuni partiti minori inseriscano nelle proprie liste nomi di personaggi famosi senza avere prima chiesto la loro autorizzazione, tanto per attiI rare qualche voto in più. La cosa sorprendente è che spesso la fanno franca, e il personaggio inserito involontariamente se ne accorge solo a cose fatte, quando lo informano di essere stato eletto. Dagli anni duri della Ricostruzione, quando i candidati dovevano percorrere in bicicletta 1 propri collegi gridando il proprio nome, come faceva l'attuale primo ministro Nakasone, all'avvento della fragorosa età del camioncino, 11 costo di una campagna elettorale è cresciuto spaventosamente. Poiché non esiste alcun finanziamento pubblico del partiti, e le donazioni individuali alle personalità politiche sono limitate per legge a circa 10 milioni l'anno complessivi, il fiume dei fondi deve scorrere dai privati ai partiti e questo favorisce grandemente il partito di maggioranza assoluta. Sarà poi il partito a contribuire alla campagna dei propri uomini, e non sono piccole cifre. La vittoria di un senatore costa, secondo il ministero degli Interni, oltre 200 milioni di lire, mentre un deputato costa dai 60 milioni per un collegio di campagna ai 100 di un collegio cittadino. Lo Stato si limita ad assicurare l'organizzazione nazionale delle elezioni, a un costo per il contribuente superiore ai 120 miliardi di lire. E dopo la vittoria elettorale, il neosenatore o neodeputato dovrà inevitabilmente organizzare un proprio staff permanente con il quale tenere i contatti con la «base» e creare le premesse per la rielezione. Secondo un funzionario del partito di maggioranza, occorrono almeno 10 collaboratori e un bilancio annuo attorno ai 70-80 milioni di lire, interamente a carico dell'uomo politico, cui lo Stato paga soltanto le spese documentabilmente legate alla attività legislativa, e non alla propria attività elettorale. E' un meccanismo che privilegia ancora una volta gli appartenenti ai partiti, e alle correnti di partito, più forti. E dal quale le formazioni minori riescono a sgusciare solo a fatica. Domenica scorsa, due soli gruppi autonomi nuovi sono riusciti a eleggere tre senatori, scavandosi a fatica una nicchia molto particolare nell'opinione pubblica. Uno è il -Partito dei lavoratori dipendenti»; l'altro, sorprendentemente premiato, è stato 11 Partito degli handicappati, guidato da un ex attore comico costretto sulla sedia a rotelle da un incidente d'auto. Forte delle proprie esperienze di uomo di spettacolo, l'attore ha catturato il pubblico sfruttando la televisione. Curiosità, dunque, e non passione. Interesse, e non ideologia. Scelta e non fede, sono le elezioni giapponesi. Lunedi mattina (qui si vota un solo giorno) gli operai del Comune stavano già smantellando i tabelloni di legno numerati sui quali senza sgarrare i partiti dovevano appiccicare i manifesti. Ora, una settimana più tardi, non trovereste più a Tokyo un segno di elezioni. Vittorio Zucconi

Persone citate: Nakasone

Luoghi citati: Giappone, India, Italia, Tokyo