Lo sberleffo di Goya nei solenni ritratti di corte di Renato Barilli

Un saggio sul pittore delle «majas» Un saggio sul pittore delle «majas» Lo sberleffo di Goya nei solenni ritratti di corte LA zona che oggi attrae di più gli storici dell'arte è quella che si situa tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, immensa spaccatura in cui viene inghiottita l'età .moderna, (ricordiamo che in termini accademici con questa etichetta si intendono i secoli dal XV al XVIII), mentre spuntano ribollendo i fermenti dell'età contemporanea. Da quel crepaccio immane fuoriescono come vette FUssli e Blake, Goya e Turner, David e Frlerdich, Canova e Giani, emettendo segnali contrari, inaugurando filoni paralleli o tra loro dialettici. Per nuotare in acque cosi agitate ci vogliono polmoni robusti, come per esempio ha dato prova di avere Jean Stai obinski nel suo saggio «1789», di cui a suo tempo ci si è occupati su queste colonne. Temiamo che altrettanto non si possa dire di Olio Binaiji-Mcrin. che pure si è assunto 11 compito dì misurarsi con uno di quei colossi, Francisco Goya y Lucientes, che oltretutto appare anche tra i più' difficili, tra coloro su cui più fastidiosamente sono calati certi stereotipi di maniera. Per fortuna, se il testo critico risul-' ta approssimativo e generico, ottimo è in-' vece il corredo di illustrazioni che accompagnano questa monografia, e quindi il conto si chiude in positivo, per Jaca Book che ha acquistato i diritti di traduzione, inserendo il volume nella collana «L'arte e 11 tempo». L'autore cade nel tipico errore di proporci un Goya fuori del tempo, che dialoga dall'alto della sua grandezza con i suoi corrispondenti di altri secoli, magari come lui calati nell'anima spagnola, ed ecco quindi gli inevitabili confronti con El Greco, Velàzquez, Picasso. Ma cosi si elude il problema di fondo, che sta nel decifrare la difficile e insolita via che Goya scelse per arrivare alla sua grandezza. Per esempio, un'etichetta come quella di realismo dice molto poco. Anzi, egli parti da una decisione apparentemente opposta, di muoversi in un genere folcloristico, aggraziato e aneddotico che avrebbe potuto travolgere qualsiasi altro artista meno forte di lui. O meglio, diciamo che i suol inizi furono caratterizzati da alcuni rifiuti ben decisi e consapevoli pronunciati nella direzione di due maestri venuti dall'estero, che pure furoreggiavano a i Madrid. poco dopo la meta del secolo. Goya dice di no alla magniloquenza barocca di Giambattista Tlepolo, ma anche al freddo neoclassicismo del Mengs. Goya è per tutta la giovinezza e la prima maturità il pittore di scenette di genere, sulla scia del nostro Longhi, o anche del francese Chardin, o dell'inglese Hogarth, perfino con qualche riscontro con Watteau e Fragonard, ma semplificati nei costumi. In quelle feste, passeggiate, divertimenti estemporanei i nobili e il popolo si mescolano, entrando nella parte del «maj» e delle «majas». Ma allora dove sta la grandezza di Goya, la sua contemporaneità; come riesce a porsi «al di qua. della spaccatura, e a non essere risucchiato dail'ancien regime? I! fatto è che quei pupi, quelle maschere sono dipinti con una materia corposa e violenta che gli dà una consistenza mirabile, carnale; ma soprattutto una furia sotterranea si impadronisce di loro e li tratta ir. modi rapidi e abbreviati, sfiorando non di rado la caricatura. Gli otri vecchi delle scenette di genere vengono riempiti con un vino impetuoso che 11 deforma, li contorce. L'idillio, il balletto appaiono tallonati dal dramma, o addirittura dalla tragedia. AL tempo in cui S. Caterina da Siena portava in dono al Papa, di buon mattino, cestelli di frutta fresca, i cristiani morivano per lo più senza avere mai né visto né udito il vicario di Cristo. Adesso che ogni giorno o quasi, tutti, credenti e atei, volenti o nolenti, udiamo le sue parole e vediamo fino all'ultima piega del suo volto, il Papa ci è lontanissimo. Molto più lontano di quanto lo fosse ancora nel secolo scorso, quando come testimonia il Belli i popolani romani si scambiavano notizie sulle sue giornate. Attraverso lo strapotere dei mass-media, l'eccesso d'informazione crea una muraglia impenetrabile d'immagini e di parole tutte rigorosamente programmate e ammannite dall'alto. A questo destino dovrebbero sfuggire i libri, ma la loro iwlanga obbedisce, ahimè, alla stessa logica. Vanno anche loro ad aumentare il rumore di fondo che rende inudibile il messaggio. L'anziano giornalista francese André Frossard — celebre anche da noi per la sua giovanile conversione, raccontata in Dio esiste, io l'ho incontrato — ha pubblicato con il titolo Non abbiate paura! i suoi dialoghi con Giovanni Paolo II, avvenuti nel corso di numerosi incontri a Roma e a Castel Gandolfo. Il Papa Tutto ciò fa comprendere come Goya potesse rimanere a lungo un pittore ufficiale, chiamato a dirigere la manifattura delle tappezzerie reali, e quindi ad assumere il ruolo di ritrattista di corte. Oggi trasecoliamo, ci chiediamo per quale mal scherzo del gusto potesse avvenire che i nobili committenti di allora accettassero, gradissero di venire ritratti in modi che ci paiono ispirati a un intento caricaturale, o quanto meno tali da trasferire il mondo alto della corte in quello basso del popolo e del «maj». Forse un'alleanza tra aristocrazia e popolo per scongiurare i «lumi» 'della borghesia rivoluzionaria, che allora preferivano solidalizzare col gusto neoclassico? Il volume, e le chiose approssimative ed enfatiche del suo autore, tralasciano, per scelta ragionata, la grande attività incisoria dell'artista, preferendo insistere sui dipinti. E appunto si ha un'ottima documentazione di tutta l'attività nella pittura di genere e nella ritrattistica, mentre non mancano neppure i cicli ornamentali, da quello di S. Antonio alla Florida alla Goya, Cortigiane spagnole «Quinta del sordo». Il sordo era lui, l'artista, colpito da una grave malattia debilitante poco dopo il «mezzo del cammin». E forse ciò fece precipitare il dramma, scatenando le pulsioni di morte, che tuttavia ' da sempre gravavano sulle sue «feste galanti.. Nelle cupe visioni della «Quinta del sordo, è finita la primavera, la festa, il rituale folclorico dei «maj. e delle «maje., ad essi subentrano altre figure del folclore popolare, le streghe, intente alle loro cerimonie demoniache. Su questo piano Goya dialoga da lontano con Fussii e Blake, pur tenendosi entro 11 suo tipico registro popolare, ben diI stante quindi dalle scorpacciate culturali t degli altri due. Ma come loro egli conferi ma una radicale estraneità alle due tendenze che si affermeranno per parecchi decenni nell'Ottocento: né un classicismo retrospettivo e revivalista, né un • realismo altrettanto austero e serioso; né Ingres né Courbet, per intenderci. Goya, semmai, apre le porte a tutti i cultori degli espressionismi e dei simbolismi che emergeranno da un crepaccio successivo, che si spalancherà al momento di un altro fatale cambio di secolo. Renato Barilli Otto Bihalji-Merin, «Goya». Jaca Book, 306 pagine, 120.000 lire.

Luoghi citati: Castel Gandolfo, El Greco, Florida, Madrid, Roma, Siena, Velàzquez