Il buon vecchio blues del buon vecchio Morrison

Il buon vecchio blues del buon vecchio Morrison Il buon vecchio blues del buon vecchio Morrison Questa vecchia ondata sa ancora come farlo, uno spettacolo, viene spontaneo pensare dopo aver visto all'opera Van Morrison, ultimo di una serie di «grandi» del periodo tardi Anni Sessanta/Anni Settanta: Bowie, Clapton, Santana, Joni Mitchell, Steve Winwood. E' vero che sembra di essere un po' riprecipitati indietro, quest'estate. E qualcuno ironizza sul dubbio valore di canti del cigno all'ombra di pini mediterranei. Non è proprio cosi, però, perché se è vero che il vento 1983 porta un feeling e degli stili musicali ben diversi, questa gente non sta spendendo (o vendendo) spiccioli di carriera. Fa anzi un certo piacere ritrovare una musica generalmente calda, basata sull'anima e non sempre e solo sul cervello o sulla danza robotica. Certo, siamo in un momento in cui il disco che conta è ormai il discomix, in cui per imporsi basta un inno da discoteca e un buon video, e in cui alla fine dell'anno è difficile ricordarsi più di cinque o dieci album memorabili — una volta ce n'erano ben di più — o salutare la presenza di qualche nuovo «grande». Eppure, se si vuole fare un parallelo fra quello che domina le classifiche anglo-americane e il buon vecchio soul di Van Morrison, la radice è comune. E' il buon vecchio blues nero, da cui nell'ordine sono nati 11 rythm'n'blues, il rock'n roll. il soul, il f unky e di conseguenza, per quegli incroci che fanno continuità, la disco, 11 reggae. Il rythm'n'blues che anima Van Morrison, da sempre elusivo di carattere e tracagnotto di fisico, originale irlandese e quindi rossiccio e sanguigno, gli esce dalla gola ancora con gran facilità. E' musical semplice, che richiede istinto più che ricerca, a cui hanno attinto tutti, Elvls. Stones. Beatles, Bruce, fino al Soft Cell. Ed è una musica con uno stile preciso! Il leggendario Van (una delle grandi voci da «negrobianco» uscite dall'Inghilterra degli Anni Sessanta) dai tempi infuocati del beat, passando attraverso quadri calmi e bucoleggianti, toccando spesso le corde dell'lntroverso-cosmico. in vent'anni ha compiuto infinite variazioni sul tema. E dal vivo, sotto l'immenso teatro tenda di Lam- Emio Donaggio * 2 pugnano, nella sua prima data italiana da sempre, Van ha presentato una vera e propria R'n'B-Revue», come quelle che portavano In giro i grandi neri, Sam and David, Wilson Plckett, Ray Charles e tutti gli altri. Un duo femminile a fare da contraltare celeste alla sua voce gutturale sporca, due fiati con cui soffiare vita ed eccitamento nell'aria e una doppia batteria. Senza dimenticare il fedele organo Hammond. Fatta a regola, è ancora la musica più vera, più carnale, in cui il testo prende spesso e volentieri un posto in I più ascoltati Mister Fantasy seconda fila senza che importi troppo. Non perché siano banali—quelli di Morrison, le sue storie di malinconica in¬ Un sacerdote letterato è consule rimane ancora l'unica musica capace di toccare, e immediatamente, l'anima e il corpo senza darsi una spiegazione. Quello che serve è solo una gran voce e una grande band. E Van Morrison — ennesimo quarantenne un po' signorotto, umile di origini e musicista di gran classe, anche se non scalcia più come nell'Ultimo valzer — canta il suo primo e più grande inno «O-l-o-r-i-a» facendo ancora muovere migliaia di persone. Nella tradizione dello spettacolo americano del R'n'B, questo è l'unico segno che conta. ITALIANI — 1) Lucio Dalla, «1983»; 2)Sergio Caputo, «Un sabato italiano»; 3) Vasco Rossi, «Bollicine»; 4) Gino D'Eliso, «Cattivi pensieri»; 5) Flnardi, «Dal bla». STRANIERI — 1) Talking Heads, «Speaking in tongues»; 2) B 52's, «Whammyl»; 3) David Bowie, «Let's dance»; 4) Bob Marley, «Confrontation»; 5) Varlous, «Sound d'Afrique», voi. 1 e 2; trospezione, di colorata visionarietà o di pura e contagiosa gioia non sono mai stati inutili, anzi —, ma perché 11 R'n'B Carlo Massai-ini nte alle sceneggiature del regista

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