Cattivi Pensieri di Luigi Firpo

Cattivi Pensieri Cattivi Pensieri Silenzio prima del voto di Luigi Firpo La nostra legge elettorale assegna alla propaganda delle liste e delle candidature singole un tempo che oggi appare eccessivo. Poteva aver senso un cosi lungo arco di giorni riservati ai programmi, ai fervorini e agli incontri, quando gli uomini politici dovevano spostarsi in treno o in auto, in maratone snervanti di città in città e di piazza in piazza, per farsi vedere e ascoltare dal maggior numero possibile di elettori. Oggi, che discorsi e dibattiti più o meno addomesticati o evasivi vengono trasmessi dovunque, istantaneamente a vivaci colori, sui teleschermi, basterebbero pochi giorni per dire tutto quello che si vuol dire e per presentare immagini programmate, allettanti e suggestive. Il nuovo mezzo di comunicazione di massa, mutando inesorabilmente il tipo di messaggio e moltiplicandone l'efficacia, impone anche una riduzione dei tempi disponibili. Tra l'altro, la stessa capacità di penetrazione capillare nell'intimità domestica accentua il senso di invadenza e di imbonimento, con effetti di intolleranza o di annoiato fastidio. La propaganda politica televisiva esige le dosi contenute proprie della medicina omeopatica, anche perché, se l'apparizione si protrae, troppi spettatori decifrano il cerone sapiente, la pettinatura spray, gli atteggiamenti a lungo provati davanti allo specchio, la domanda preordinata per suscitare la risposta pronta e arguta, in una parola la sapiente regia professionale di qualche esperto in pubbliche relazioni. A chi si affaccia in casa nostra dal piccolo schermo vien voglia di dire con rispettosa fermezza: «Parole chiare e visite brevi!». Dove invece la legge elettorale si rivela avveduta e saggia è là dove prescrive che dalla mezzanotte del venerdì, antivigilia dell'apertura delle urne, taccia ogni voce, cessi l'affissione di manifesti, si spenga la polemica di tutti contro tutti, e l'elettore sia lasciato solo con se stesso, in silenzio, a meditare su quanto ha visto e sentito negli ultimi giorni, a confrontarlo con la sua esperienza vissuta, a riandare alle promesse antiche non mantenute, ai propositi sbandierati, alle possibilità reali di cui l'una o l'altra parte dispone per assicurare un migliore avvenire al Paese o magari anche solo per meglio tutelare gli interessi e le aspettative sue personali o del gruppo di cui si sente parte. Stanco di sentire tante campane discordanti, è giusto che il cittadino rifletta da solo e che le campane tacciano, cosi come quelle vere, di bronzo, vengono incatenate nella Settimana di Passione. Anche qui si tratta di un momento di autentico raccoglimento — làico e profano in questo caso — ma che dovrebbe essere non meno scavato e intenso e dominato dall'ansia delle ore gravi e da un senso austero di personale responsabilità. Il Paese attraversa una crisi profonda, dovuta a carenze sue proprie, a retaggi avvilenti del suo passato, a insipienze della sua classe politica, al vizio pubblico della sua grande virtù privata: l'individualismo prorompente e incontenibile.. Eppure sembra aver coscienza il Paese che la crisi nostrana è solo un aspetto — certo il più acuto e dirompente — di una generale crisi dell'Europa, già faro della civiltà, fulcro della potenza educatrice e predatrice del Mondo, oggi ridotta a componente secondaria e subalterna di sistemi planetari sfuggiti al suo controllo, povera di risorse energetiche e di materie prime, sempre meno competitiva di fronte ai grandi imperi mondiali e, domani, anche di fronte al Terzo Mondo , i o emergente, con la sue risorse naturali ancora vergini, i bassi salari e le rivendicazioni accese del nascente nazionalismo. A sua volta, infine, la crisi dell'Europa è solo un risvolto della generale crisi dell'umanità: le guerre convenzionali endemiche, le rivoluzioni sanguinarie e le sanguinarie dittature, il dilatarsi dei deserti, le ultime foreste abbattute, la folle crescita demografica, i milioni di moni di inedia, il flagello crescente del cancro, il terrore atomico che moltìplica gli arsenali contrapposti alzando sempre più alti i baluardi della minaccia e del sospette. Che cosa rappresentiamo noi italiani in questo scenario percorso da tante tensioni, egoismi e scompensi? Qualche volta mi domando se non ci comportiamo da irresponsabili, vivendo alla giornata, cantando canzoni idiote, ignari del cielo che si rabbuia, dei tempi che strin gono, della necessità di un generale e radicale ravvedimento. Il nostro pubblico disa vanzo sta per toccare i 100 mila miliardi, 1 seguito da 14 zeri, come se ogni italiano spendesse ogni anno quasi 2 milioni più di quanto guadagna. Lo Stato si indebita, stampa moneta, vive di prestiti che lo strozzano con gli interessi, incapace di resistere alla marea montante di richieste sussidi, pensioni, prestazioni, servizi, finanziamenti a imprese rovinose, investimenti clientelari, sperperi insipienti. Tutti invocano concessioni, favori, elargizioni, sussidi e privilegi come se non fosse la casa comune che sta andando in rovina. Partendo da una giusta redistribuzione del reddito favore dei soggetti più deboli del corpo sociale, si è giunti a una sorta di arraffa-arraffa generale, in cui tutti risultano a turno beneficiari e vittime. Vecchi, malati, handicappati lamentano assistenza insufficiente, mentre interi villaggi di falsi invalidi hanno case senza fognature, ma l'auto sulla porta e l'antenna sul tetto. Chi lavora, crea, produce, ha l'impressione di essere divorato dai parassiti. E' ora di dire: «Bastai». A questo, soprattutto, dovrebbe servire la scheda che stiamo per deporre nell'urna.

Persone citate: Cattivi Pensieri, Vecchi

Luoghi citati: Europa