L'orso maligno del Triglav

L'orso maligno del Triglav STORIE D'UOMINI E BESTIE NEL PARCO SLOVENO SUL VECCHIO CONFINE CON L'ITALIA L'orso maligno del Triglav Ricordi di guerra alpina nelle vallate immerse nella solitudine e nel silenzio - L'epica lotta del cacciatore con l'ombrello - Tra urogalli e lupi i pronipoti degli stambecchi portati dal Gran Paradiso si sono ambientati bene BLED— Dopo la romana e longobarda Cividale, quando - si risale la valle del Natisone versp il valico di Stupizza e si lascia alle spalle la pianura friulana con la sua vita operosa e l'intenso traffico, sembra di andare a ritroso nel tempo e dentro un mondo poco noto. E' questo l'estremo lembo orientale d'Italia, dove in qualche villaggio si parla ancora' un antico slavo frammisto a vocaboli televisivi, ma è anche la porta da dove nei tempi remoti si affacciarono le prime tribù eurasiatiche e poi quei popoli nòrdici che, valicando le Alpi nel punto più basso, dalle cupe foreste arrivarono ai colli del vino. Si va per chilometri senza incrociare una macchina, senza incontrare una persona; le case dentro il verde del fitto bosco di latifoglie sembrano vuote o appisolate al sole; ogni tanto su un dosso affiora una vecchia fortificazione; gazze e merli attraversano la strada sghignazzando. A Brischis e a Pulfero poche persone sostano davanti le case; anziani al sole; qualche donna negli orti, rari bambini in bicicletta. Al valico di Stupizza un carabiniere e una guardia di finanza aspettano i rari passanti per conversare un poco. Noi, oggi, primo pomeriggio di un giorno di giugno, siamo la terza automobile. Passata la stanga anche i miliziani jugoslavi vorrebbero scambiare due parole, e li accontento .chiedendo notizie sulla strada per il Passo del Vrsic, quella che nel 1916 costruirono per l'Austria i prigionieri russi. La miliziana mi offre una sommaria carta con i consigli ai turisti e suggerisce di fermarci a Trenta dove c'è un giardino botanico alpino. Anche Caporetto è un paese semideserto; mi siedo su una panchina addossata alla chiesa e lo immagino come poteva essere in quell'ottobre del 1917; e rivivo i racconti di mio padre, la storia scritta da Silvestri in Isonzo 1917, il Diario ài Capello, Giorni di guerra di Comi sso, la Rivolta dei santi maledelti di Malaparte. Ma quanti sono stati i libri e i racconti che hanno avuto origine da questo piccolo paese sperduto nella .valle dell'Alto Isonzo? Ora un paio di vecchie «600» sostano all'ombra sotto gli aceri, un trattore passa con un carico di legna, un bambino succhia un gelato, un uomo entra in osteria. E li «opra vedo il Monte Nero, quello del tenente Pico e della canzone: «Spunta l'alba del sedici giugno / Comincia il fuoco l'artiglieria I 11 Terzo alpini è sulla via / Il Monte Nero a conquistar...». Il MonteRosso, il Vrsic, il Vrata, il Mrzli; e più su il Canin, il Kukla, il Rombon... Forse questi nomi a molti' non diranno niente, ma voglio ricordarli per i vecchi alpini dei battaglioni piemontesi e veneti che tra questi monti selvaggi e tanto aspri hanno lasciato giovinezza e tanti compagni: Nella conca di Plezzo mi fermo per sostare un poco nel cimitero militare; le tombe non hanno più nomi e un folto prato fiorito ricopre tutto lo spiazzo. L'aria che scende dalla valle fa ondeggiare le erbe e si porta via il canto dei grilli. Ma lo scopo di questo mio viaggio è di visitare e descrive- re il Parco Nazionale jugoslavo del Triglav per i lettori della*! Stampa; però-non potevo passare di qua senza ricordare i tanti soldati morti. La strada che risale la valle è quasi deserta; incrociamo un pullman di turisti triestini e più nessuno fino all'insegna dei confini del Parco incisa a fuoco su grosse tavole di larice: «Triglavski Narodni Park». Qui un paio di soldati e un ufficiale dell'esercito jugoslavo danno aiuto a un boscaiolo che sta ammucchiando del legname. A Trenta, piccolo borgo ai piedi del Triglav e un tempo presidio di «Guardia alla Frontiera», c'è da vedere un piccolo museo alpino che i paesani hanno allestito nell'ex caserma italiana. La chiave l'ha in consegna un uomo anziano che abita nei pressi e che ci accompagna nella visita dopo aver bevuto assieme un bic- chiere nell'unica osteria. Da sotto la tinteggiatura dei muri dell'ex caserma riaffiorano le solite frasi storiche mussoliniane, ma un senso di abbandono e di vacuità regna nei cortili, negli ex magazzini, negli ex alloggi degli ufficiali e dei sottufficiali, e per i cortili c'è un buon silenzio pacifico sottolineato dal canto dei fringuelli. Il Museo è nelle ex camerate della truppa; molto semplice, povero, come poveri e semplici sono tutti i villaggi alpini. Oggetti in uso nelle malghe, oggetti dei pastori, oggetti per filare, per lavorare nel bosco, per lavorare la terra, per cacciare; e poi fotografie e documenti nell'arco di un secolo; ma se si dovesse chiedere ai trentenni di oggi a che cosa servivano questi attrezzi ben pochi saprebbero rispondere. Il vecchio custode è in vena di parlare, e racconta, racconta storie di scalate, di guerre, di caccia, "di quando qui c'erano gli italiani. Mi racconta dell'orso vagabondo «fuoriuscito» dalla sua zona e che nel 1972 sbranò dodici pecore verso Tolmino, e dell'altro orso visto l'anno scorso tra Plezzo e Caporetto. «Quando se ne vanno dalla loro zona abituale questi orsi vagabondi diventano peri colosi: aggrediscono pecore e mandrie, distruggono alveari; e fanno anche cinquanta chilometri in un giorno!» mi dice eccitato. Gli chiedo se è' anche lui cacciatore. «Una volta, ora sono troppo vecchio», mi risponde. «Ma non ho mai pagato una tassa, andavo da bracconiere perché sono povero». Gli chiedo degli animali che vivono su queste montagne e risponde succintamente alle mie domande particolareggiate: i camosci sono colpiti dalla terribile rogna rossa, le volpi portano la rabbia silvestre, gli stambecchi in alto stanno bene, gli urogalli sono in aumento, i lupi sono più giù, verso Lubiana. M& poi vuole raccontarmi la storia di Anton Tozbar, un coraggioso che girava sempre e dovunque con un ombrello e che molti anni fa andò da solo a cacciare un orso solitario e aggressivo. Un giorno di brutto tempo volle ripararsi dentro una caverna, ma lì c'era anche l'orso che l'aggredì e con una zampata gli strappò netto mandibola e lingua; Anton Tozbar riuscì a uccidere l'orso pure in quelle condizioni e visse per altri ventidue anni alimentandosi attraverso un imbuto. Il vecchio custode del piccolo museo mi fa vedere il famoso ombrello di Anton, il suo fucile a luminello e la pittura murale che ricostruisce la scena della sua lotta con l'orso. C'è anche una fotografia di lui che si alimenta con l'imbuto infilato nella gola, e mi assicura che pure in quelle condizioni riusciva a lavorare la sua terra e andare a caccia con quel fucile e quell'ombrello. Lasciato il borgo, dopo qualche centinaio di metri si incontra sulla destra una bellissima chiesetta solitaria e subito dopo questa un cartello del Parco ìndica «Alpinum Juliana»; il Giardino Botanico. Si sale per un sentiero tra sassi ricoperti di muschi e con il lieto rumore di un torrente, si passa un recinto di stanghe e si è nel più bel giardino botanico alpino (e mi viene malinconia pensando a quello dell'Abate Chanoux, al Colle del Piccolo San Bernardo, dove sono rimaste le rovine e una lapide che ormai nessuno legge). Questo «Alpinum Juliana» non è molto vasto, appena venti are, ma le specie sono novecento; dalla sua fondazione, nel 1927, è stato sempre ben curato; attualmente vi lavorano fisse tre persone sotto la sorveglianza della Direzione del Parco del Triglav e l'anziana Tonina Toscorbard parla anche un dialetto simile al veneto. Vi sono luoghi solatìi e luoghi ombrosi, diverse esposizioni e inclinazioni, particelle secche e umide, terreni umiferi e diseredati, ghiaiosi e sassosi: si è cercato in breve spazio di creare diverse situazioni ambientali, il più possibile vicino alla specie coltivata e studiata. Osservo delle specie endemiche delle Alpi Julie: un papaI vero bianco (Papaver sendtne- ri), un giglio (Lilium corniolicum); altre della Croazia (Sibiraea croatica) e uno splendido Giglio bosniaco con i petali gialli all'interno e nerastro verso l'esterno, e gli stami di un arancione vivissimo. Moltissime sono le erbe aromatiche che usiamo noi in montagna per fare infusi o profumare la grappa, o per minestre; mi attirano con il loro profumo e dove sono abbondanti e rigogliose, chiedendo permesso, mi porto alla bocca qualche fogliolina che stacco dal basso del fusto. Prima di uscire mi invitano a firmare il registro dei visitatori e cosi giro le pagine per vedere le provenienze. Vi sono inglesi, tedeschi, olandesi, italiani, austriaci, oltre, naturalmente, ai molti jugoslavi. Oggi siamo stati trentasei; quattro inglesi, tre tedeschi, un gruppo di triestini (certamente quelli del pullman che abbiamo incrociato), sei sloveni e noi. Dopo questa sosta riprendiamo la strada verso le sorgenti dell'Isonzo. Attraversiamo boschi stupendi di faggio e a fustaia con sottobosco rigoglioso; vediamo scendere delle canoe per le acque impetuose e limpide e quando il sole se ne va dietro le rocce nude del Moj strovka lasciando però in piena luce le pareti chiare del Triglav, giungiamo su al Passo del Vrsic dove facciamo una rustica merenda. Guardo in silenzio da una finestra e il vecchio cippo del confine italo-jugoslavo e i resti di una chiesetta ortodossa fatta per ricordare i prigionieri russi morti nella costruzione di questa strada che si arrampica dai fitti boschi alle nude pareti, sono come le pagine eloquenti di un trattato storico, anzi i segni della storia. Dopo, vado per un sentiero contrassegnato sulle pietre con un cerchio rosso e che sale verso il Triglav e dove l'orizzonte si allarga mi fermo ad osservare con il binocolo. Non vedo camosci ma un'aquila si annuncia prima con l'ombra che passa rapida sulla roccia della parete e poi la osservo volteggiare nel cielo, in caccia. Nel cerchio ingrandito dal binocolo vedo lontani e inconfondibili gli stambecchi: sono questi i figli di quelli portati qui anni addietro dal nostro Gran Paradiso e che qui, ormai ambientati, stanno ripopolando le cime più alte delle Alpi Julie. Mario Rlgonl Stetti

Luoghi citati: Austria, Brischis, Caporetto, Croazia, Italia, Lubiana, Pulfero, Tolmino