«Ebrei d'America, ricordate» di Furio Colombo

 «Ebrei d'America, ricordate» TEMONO DI PERDERE IL LORO RAPPORTO VITALE CON L'EUROPA «Ebrei d'America, ricordate» Non avevano mai vissuto un simile momento di riflessione e dibattito sulla loro identità - Ora in molti dicono: l'accresciuto rapporto con Israele non deve recidere i legami con le secolari radici della diaspora -«Una tradizione culturale che non ha mai accettato contini» - A confronto le posizioni di nomi illustri come Kissinger o lo scrittore Singer - D successo economico NEW YORK — Alla conclusióne del lavori del settantasettealmo convegno annuale dell'American Jewish Commlttee, ha creato una certa sorpresa il discorso che Tullia Zevi ha fatto a nome degli ebrei non americani. Tullia Zevi, presidente dell'Unione delle comunità israelitiche italiane, ha detto, verso la fine del suo intervento: .Dovremmo creare una commissione trilaterale dell'ebraismo mondiale sul modello di quella creata da David Rockefeller fra Stati Uniti, Europa e Giappone. Una trilaterale della cultura, della Identità, delle Informazioni, che faccia Incontrare 11 meglio del pensiero ebraico americano non solo con quello di Israele, ma anche con quello europeo». Può sembrare impossibile, ma è la prima volta che il problema viene posto agli ebrei americani in questi termini. «La mia Intenzione, ha detto privatamente Tullia Zevi, era di ricordare che, perdendo il legame con l'Europa, la cultura ebrea americana rischia di muoversi in uno spazio privo di storia. Senza la storia persino la memoria dell'olocausto si svuota. Senza la storia, il rapporto, che è giustamente forte e inevitabile, con Israele, diventa da un lato Identificazione rigida non con lo Stato, ma con 1 governi, e dall'altro finisce per esportare verso Israele la nevrosi di chi ha perduto 11 passato». Ammonisce il rabbino Arthur Hertzberg, una delle voci più, liberal ed europeizzanti della cultura ebrea americana: «Tagliare fuori l'Europa significa, per l'ebraismo americano, irrigidirsi intorno a Begin, come se Begln avesse sempre ragione. Ciò impoverisce le nostre comunità in senso morale prima ancora che politico e riduce di molto la portata dei nostri dibattiti». Il pericolo Il convegno dell'American Jewish Commi t tee, una organizzazione con forte accento politico, una scelta di fondo conservatrice (almeno nella pubblicazione ufficiale, Gommentary, diretta da Norman Podhorete) e un'atteìietone tradieionalmente scarsa a ciò che avviene fuori dal grande cordone New York-Tel Aviv, si era posto un programma di verifica piuttosto che di dibattito. La guida politica della comunità ebrea americana, che ha raggiunto un punto di grande influenza con il governo di Ronald Reagan, non aveva interesse ad aprire dibattiti interni. Forza, coesione, difesa, sorveglianza contro i pericoli, solidarietà entusiasta per Israele e il suo governo erano e sono i suoi temi. Eppure, è tempo di inventari e ripensamenti per l'ebraismo americano e si moltipllcano le voci e i documenti che portano nuovo materiale a questo lavoro. Dice il rabbino Balfour Brickner, uno del più lontani, politicamente e psicologicamente, dalle posizioni dell'American Jewish Commtttee: «Il nostro pericolo è stringere 11 campo. In un campo di osservazione e di preoccupazioni ristretto c'è posto per molta ansietà e pochi valori. Ma la grande ricchezza del giudaismo sono 1 valori che gli ebrei si sono trascinati di secolo in secolo, di migrazione in migrazione. E' una tradizione culturale che ha arricchito tutte le altre e non ha mal veramente accettato confini». Israel Singer del World Jewish Congress, il massimo consesso dell'ebraismo mondiale, non si pone un problema di liberalismo o conservatorismo. Accetta d'istinto, lui dice, «qualunque posizione che mantenga largo e aperto' 11 nostro modo di ricordare, dLpensare e di immaginare il mondo, dunque anche 1 suoi problemi e le sue soluzioni». Il World Jewish Congress ha una missione sionista, naturalmente, perché il sionismo è la cultura che lo ha ispirato. Ma l'Intensità del rapporti internazionali, il traffico di pensiero e di idee, ti continuo monitoring politico degli umori del mondo sulla condizione degli ebrei ne fanno uno dei punti di osservazione, c dunque di cultura, più interessanti del mondo. Qui si discute con tutti, si allacciano cautamente linee di contatto anche con i non amici, ci si tiene a'distanza dalle alleanze di sapore troppo contingente e troppo politico («Noi, dicono, non abbiamo dimenticato che Mussolini, all'inizio, si professava sionista e favorevole a uno Stato di Israele»). Israel Singer fa questa proposta: «Provate (lo dico ai non ebrei) a pronunciare ad alta voce la parola "sionismo". Ditemi In tutta sincerità se la parola non provoca un senso di avversione, o almeno d'irritazione. Nel migliore dei casi si pensa a qualcosa di fanatico, di eccessivo. Nel peggiore a una grande cospirazione Internazionale. Viene in mente a ben pochi (e quasi mal ai non ebrei) che sionismo significa liberazione, come 11 ricordo del 25 aprile per gli italiani, o le celebri date della rivoluzione francese studiate in tutte le scuole del mondo. Ma vi sono molti docenti anche illustri, e sicuramente democratici, che vibrano di indignazione nel pronunciare la parola, come se significasse al tempo stesso usurpazione di qualcosa e oppressione di qualcuno. Ecco, In termini generali, la definizione del nostro problema». " Afa il dibattito è molto fervido lungo molti altri percorsi. Per esempio, che cosa definisce l'identità ebrea, la semplice origine, una posizione culturale oppure (e soprattutto) la religione? «E' dall'identificazione politica con Israele che viene la risposta a una domanda cosi poco politica», risponde Bernard Rosenberg, coautore con Ernest Goldstein di Creators and Siturbers, un saggio sugli intellettuali ebrei americani appena pubblicato dalla Columbia University Press. Nello studio, Rosenberg e Qoldstein confrontano radici, posizioni e militantlsmo di personaggi illustri come Alfred Kaztn, Irvtng Home e I.B. Singer, con quelle di grandi •assimilati-, come l'ex segretario di Stato Kissinger, il ministro della difesa Wein- berger, o il giudice della Corte Suprema Brendeis. La proposta dei due studiosi è di tracciare una linea che divide due gruppi di immigrazione intellettuale. Per alcuni, sostengono Rosenberg e Goldstein, l'arrivo in America è stato la scoperta di un mondo più ebreo, con una comunità cosi vasta e compatta. I due autori citano il filosofo Henry Patcher, che dice: «Qui lo trovo gli ebrei e dunque mi sento a casa, come non mi era mai accaduto prima». Per altri l'America è stata invece lo sbarco in un mondo laico, diversificato, certo non Ubero da discriminazioni, ma abbastanza aperto da offrire accesso alla cultura e all'imprese:. Anche questo per molti ebrei europei non era mai stato possibile prima. L'invito all'assimilazione è apparso fortissimo. Sorpresa Dicono Goldstein e Rosenberg: «La guerra del 1967 ha portato a una vampata di identificazione con Israele anche negli Intellettuali più scettici. Ma Israele è uno Stato religioso, che ha scarso interesse per i secolari e gli umanistici. Perciò vi è stato nella vasta e ben educata classe media ebrea americana un forte ritorno alla religione». «La resistenza scettica di Isaac Singer, ricordano i due autori, è rispettata ma non è molto popolare». Dice Singer: «Non dovete meravigliarvi del nostro speciale destino. L'Intera storia dell'umanità è un solo grande olocausto con qualche breve intervallo». William Domhoff e Richard Zwlgenhaft seguono un'altra strada con il loro studio su Quanti ebrei ci sono nel consigli d'amministrazione delle imprese private in America. Cominciano con il verificare la presenza di persone di origine ebrea nelle grandi società americane. E soprattutto nei consigli di amministrazione delle aziende che contano. «La nostra ricerca ci ha permesso di accertare che oltre l'ottantacinque per cento dei consiglieri d'amministrazione delle maggiori aziende americane sono di origine protestante. Nel rari casi in cui gli ebrei raggiungono queste posizioni ciò avviene per meriti o vicende eccezionali, un grande medico nel consiglio di amministrazione di un ospedale o il celebre avvocato cooptato dal consiglio di una banca. Sono conclusioni che sorprenderanno coloro che sono ancora persuasi che gli ebrei controllino la grande finanza», dicono Domhoff e Zwigenhaft. «Tutto ciò serve a vedere bene la strada fatta e la strada che resta da fare, propone il rabbino Hertzberg. E' utile per capire la ragione che mantiene tanta tensione e tanta sorveglianza su ciò che è insieme un privilegio e un problema, l'identità ebrea. E non dimentichiamo che in America ci troviamo, per uguaglianza e liberta, alle frontiere avanzate del mondo». Furio Colombo