Benedetto femminismo

Benedetto femminismo L'AGENDA PI F. & L. Benedetto femminismo Altamente raccomandabile, sommessamente formativa, riteniamo quella branca minore della critica che si limita a indagare sulla fortuna nel tempo di scrittori, pittori, scultori, compositori, anziché addentrarsi nella valutazione estetica delle loro opere. Ricordiamo come esempio egregio i due volumi sulla fortuna di Shakespeare che Gabriele Baldini pubblicò anni fa presso «Il Saggiatore». Ma segnaliamo con piacere anche le pagine più o meno nutrite che è ormai consueto trovare in appendice a programmi di concerti, cataloghi d'arte, libretti d'opera, edizioni economiche di classici antichi e moderni, e che raccontano sorprendenti peripezie culturali, paradossi, contraddizioni, capovolgimenti. Dopo una prima, magari inquietante sensazione di relativismo, di qualunquismo («Miodio, ma allora come si fa a giudicare?»), il lettore che non sia alla ricerca di certezze dogmatiche e idoli venerandi imparerà lui stesso a giocare liberamente, spregiudicatamente, coi valori di questo sterminato, affascinante «listino di borsa»; a chiedersi, per esempio, come mai sia così difficile trovare in commercio le opere di Federigo Tozzi, uno dei massimi romanzieri del Novecento italiano; e se davvero Carducci e Pascoli meritino l'attenzione revivalistica di questi ultimi anni; c perché nessuno, neppure a Milano, si curi di raccogliere in un degno volume le straordinarie poesie di quella specie di Celine dialettale che fu l'avvocato Delio Tessa. Infiniti saliscendi emergono da questa mutevole mappa del successo e dell'insuccesso. Trionfi quasi sempre determinati da motivi marginali, se noti da grossolani equivoci; drastiche condanne o insane esaltazioni causate da una disputa fra dotti; effimere egemonie dovute al capriccio, allo snobismo, alla moda; nomi sprofondati nella cenere o invece' ripuliti e rilucidati per via di confuse tempeste politiche, di truculente passioni collettive; etichette totalmente erronee affibbiate per caso a questo o quell'artista e che tuttavia si tramandano nei secoli resistendo a qualsiasi abrasivo. ** Cosi, in tempi recenti, il rimescolamento di carte provocato dal femminismo ha riportato in luce (sia pure in una' luce un po' sovreccitata e talvolta controproducente; ma l'amatore non vi farà caso) libri spesso di grande interesse, alcuni di grande statura. In Inghilterra, il catalogo della Virago Press è ricco di titoli di prim'ordine, sebbene una ragione sociale così minacciosa sembri scelta apposta per tenere lontani gli 'eventuali Clienti maschili. E da noi le Edizioni delle Donne avevano meno bellicosamente eretto lo stesso muro programmatico, col rischio di creare un'impressione di parrocchia esclusiva, di ghetto, o peggio ancora di evocare quella scena così frequente (e così giustamente deplorata) nei salotti italiani, dove dopo mezz'ora tutti gli uomini finiscono per raccogliersi da una parte e tutte le donne dall'altra, a scambiarsi confidenze di categoria. . Alla tentazione del boudoir faziosctto sfugge invece «La tartaruga», casa editrice che ha già in catalogo una cinquantina di ottimi titoli «femminili» (dalla Compton-Burnett alla Woolf, dalla Stein a Neera alia Masino) e che ora presenta con l'abituale eleganza due volumi di racconti americani, tanto vale vivere di Dorothy Parker, e Vecchia New York, di Edith Wharton. La Parker, di cui una prima raccolta uscì in Italia durante l'ultima guerra tradotta nientemeno che da Montale, fu come si sa una «dialoghista» formidabile (lavorò del resto anche a Hollywood), la cui carfiera ebbe letteralmente inizio fra le chiacchiere, in' un ristorante di New York dove si da'va convegno un gruppo di scrittori e giornalisti di vario peso e bravura, ma accomunati da una propensione per la battuta tagliente e il sarcasmo feroce. Di quella caustica e volatile «scuola» Anni Venti la Parker fu allieva esemplare, e si servì della lezione nei suoi racconti, così tipici per il pungente torio conversazionale. Sposa di gdcccmqucdGcmtgp9 ' guerra che per ansia e smania di far bene rovina la breve licenza del marito. Gran dama con pestifera figlioletta che riceve un'abietta adulatricc. Cameriere negro logorroico che quasi distrugge l'armonia di un ménage. Piccole stenografe che fanno sogni inadeguati davanti alle vetrine di Tiffany. Giovane donna carognesca che porta via il marito a un'amica convincendosi di averne tutte le ragioni. Le storie sono così, dei levita de rideau scintillanti e spietati, con cuciture di moralismo dissimulate tra le pieghe di Vogue e Vanity Fair; perché la Parker non fu insensibile al «progressismo» dell'America di allora, si considerò sempre idi sinistra» e patì la blanda schizofrenia di tanti intellettuali piacevolmente incastrati fra l'odio per il sistema' il successo, la considerazione, gli agi e i guadagni ricavati dal sistema stesso. Non sappiamo come l'impegnata Parker (nata Rothschild, ma senza legami con gli onnipotenti banchieri, e anzi, di famiglia povera) giudicasse Edith Wharton, che è per molti "versi il suo opposto. In quegli anni la Wharton viveva a Parigi, in una palazzina completa di domestici, giardiniere, Rolls, autista, frequentando pochissimi, sceltissimi amici; scriveva a letto, gettando via via per terra i fogli che una segretaria si affrettava a raccogliere e ricopiare a macchina. Era stata crocerossina durante la prima guerra mondiale, ma provava scarso interesse per le questioni politiche e sociali. Nei suoi libri descrisse il mondo dell'aristocrazia americana in cui era nata e vissuta, e in cui prevaleva una tradizione di compassata frivolezza, vagamente modellata su quella britannica. In quella atmosfera squisita, compiaciuta soffocante, qualsiasi scarto passionale era malvisto, e un interesse «eccessivo» per le cose della cultura appariva volgare e ridicolo. La Wharton fece le sue prime prove d scrittrice quasi clandestinamente, e vergognandosene un po'. Sposò un uomo del suo ambiente, rispettò per qualche anno le regole del gioco. Poi cedette alla passione letteraria, si stabilì in Europa come il suo maestro Henry Ja mes, e cominciò a pubblicare. Il successo fu enorme e perciò stesso ambiguo, fuorviantc. Quelle storie di aristocratici raccontate «dall'interno» piacevano al grande pubblico, sempre avida di «rivelazioni» piccanti e pettegole; e d'altra pvuve , a parte la critica fu tentata di vedere in quella «leggibilità» un sottoprodotto, una sorta di volgarizzazione del più ostico e tortuoso James. Il premio Pulitzer, come ogni premio, non fu che una consacrazione transitoria; mentre già i tumultuosi sconvolgimenti degli Anni Venti e Trenta offuscavano e infine spegnevano del tutto il sofisticato firmamento sociale che aveva fornito la sua materia prima alla Wharton. Che morì nel 1937, senza avere una chiara idea del proprio valore. Disse dei suoi scritti: «0 non sono nulla, o sono molto di più di quanto si creda». I tempi privilegiavano ormai la partecipazione politica o lo sperimentalismo, e i sapienti, geometrici intrecci, la prosa di classica eleganza, le mirabili cesellature descrittive psicologiche, l'ironia, la compassione, il pessimismo radicale ma sempre misurato, tutto ciò insomma che fa della Wharton un'artista grandissima, parvero a un tratto gli effimeri talenti di una «scrittrice per donne», peraltro superata, démodé. Poche voci si levarono a difenderla nei decenni successivi, ed è soltanto per il tramite del femminismo (benedetto sia in eterno nel tempio delle lettere!) che l'opera di questa signora scontrosa, elitaria, supremamente snob, è risalita ira le più alte quotazioni in America e di rimbalzo, si spera, anche qui. I. tre racconti di Vecchia New York sono felici esempi del suo repertorio: la satira mondana, l'intensità drammatica, l'affettuoso e implacabile genio descrittivo. Un racconto come «Le sorelle Bunner» (l'acquisto casuale di un orologio scatena le Furie nella vita di due modeste merciaie), basterebbe, da solo, a fare la gloria di uno scrittore. «La tartaruga» annuncia altri volumi di racconti (tra cui quelli di fantasmi, nonché il gioièllo Da Holbeiri), e mentre gli Editori Riuniti presentano il grande romanzo Casa della Gioia qualcuno, ci auguriamo, sta forse già traducendo quel l'altro capolavoro che è L'usanza del paese, folgorante carriera di una beauty americana dalla più squallida provincia ai salini delle duchesse e marchese proustiane. Tra i milioni che «investono» in Judith Kranz, ci sarà pure qualcuno che si lascerà convincere a prendere un po' di titoli Wharton, sicuri, soli di, garantiti, che non temono crolli e speculazioni al ribasso. Carlo Frutterò Franco Lucentinl