Pozzi pirata nella Valle dei Templi di Francesco Santini

Pozzi pirata nella Valle dei Templi NEL SUD SENZA PIOGGIA; I PREDONI DELLA GRANDE SETE Pozzi pirata nella Valle dei Templi Colonne di autobotti portano a Agrigento l'acqua destinata a chi paga - Altra ne viene strappata a Caltanissetta, che a sua volta la sottrae ai frutteti del Piano del Leone ■ Avverte il prefetto: «So già che dovrò fermare la rabbia degli agricoltori» ■ Denuncia il vescovo: «C'è chi non può bere, né lavare i bambini» - Mafia, pompe abusive, dighe incompiute - Venti organismi rivali tra loro dal nostro INVIATO AGRIGENTO — Nei vortici del vento soffocante, il giardino della piazza è sconvolto dalla polvere. La colonna delle autobotti avanea lenta nella salita. Dopo la Valle dei Templi ecco, d'improvviso, nella città assetata, i palazzoni spettrali di Agrigento. All'angolo della prefettura, gli uomini di guardia grondano sudore. Il deserto sudicio della strada si riflette nelle lenti a specchio deipoliniottt.il tormento delle mosche s'alza col vento dal cumulo delle cartacce. Le autobotti portano acqua e arrivano dalla provincia. Vn vecchio sdentato vende semi e piantine di pomodoro accanto al busto di Nicolò Gallo. Maledice i turisti rinchiusi nel grande autobus, che non ' arresta i motorirper far andò-1 re i condizionatori. Nel Sud senea pioggia, il fasto e la gloria antica di Agrigento sono cancellati. La città cantata da Pindaro ha' acqua ogni quattordici giorni. Nella febbre di una estate lunghissima, l'acqua diventa un bene prezioso, riservata a chi paga. Il vecchio del semi si scaglia contro i turisti che «ci rubano l'acqua con le piscine degli alberghi», ma i predoni della grande sete sono, in questa vigilia del voto, «1 signori della politica», come dice monsignor Luigi Bonmarito nella sua casa di vescovo di Agrigento. .Manca l'acqua da bere e per lavare 1 bambini», grida nel suo salotto dorato, «dovrebbero arrossire sino alla punta delle scarpe». Per la sete disperata che brucia la città del Templi, si intaccano le riserve tecniche del Fanaco. Pressati dalla piazza, neWincubo di nuovi disordini alla scadenza elettorale, gli amministratori della città strappano a Caltanissetta le acque del suo invaso. Si fronteggia l'emergenza. Per dissetare la città piegata si sottrae, infine, acqua ai frutteti del Piano del Leone, perché Caltanissetta non debba soffrire per il Fanaco impoverito da Agrigento. «In questa storia di scatole cinesi, avverte il prefetto di; Agrigento, nessuno è in' grado di Inventare acqua: so' gl à che dovrò fermare la rabbia degli agricoltori». Da Palermo, l'assessore Rino Nicolosi, responsabile dei Lavori pubblici, ammette: «Slamo impegnati in una corsa contro 11 tempo: le acque dirottate da Caltanissetta su Agrigento vanno reintegrate. Altrimenti è la fine. Stiamo consumando le scorte. Una "traversa" sul Blufl ripagherà 1 nisseni». Nicolo si, da quattro mesi ai Lavori pubblici, ha «per l'incuria del passato, la rabbia in corpo Si scaglia contro il grande business delle dighe e contro guanti l'hanno preceduto sulla poltrona più scomoda e importante dell'isola. «Al sistemi idrici completi, dice, sostituirono 1 giganti delle dighe che punteggiano l'Isola». Ognuno ha avuto il suo invaso, ogni centro il suo depuratore, ma la Sicilia, in questo scorcio di millennio, è ancora nella sete e nell'inquinamento. Su trecento depuratori, soltanto quattro funzionano; mentre per le dighe in costruzione e per le ventidue in progetto la data prevista è il 2015. Per quell'anno lontano i 57 serbatoi siciliani conterranno e distribuiranno, con opere di canalizzazione, un milione e quattrocentomila metri cubi di acqua. - «Dopo sessant'armi di studi e di laghi artificiali colossali», sentenzia rapido il prof Ouggino dell'università di Catania, «continuiamo chiedere opere pubbliche per fronteggiare l'emergenza, senza impostare una strategia». Non è l'acqua che manca in Sicilia, ma la sua gestione industriale. «Fin quando non arriveremo a considerare l'acqua una materia prima da utilizzare con metodi industriali, avverte Ouggino, emergenze e siccità si ripeteranno ogni anno». Nella piazza della prefettura, anche l'uomo che vende semi e impreca contro i turisti è convinto che, ad Agrigento, non manchi acqua,' ma si sprechi». Giuseppe Burgio difende dal vento i, suoi sacchetti colmi di semi scuri e colorati. Poi sussurra: «C'è tanta acqua che si perde». Aveva un orto oltre il campo sportivo, sotto il ponte che chiamano «Manfredi; dal nome della ditta che l'ha costruito. Al ponte 'Manfredi» c'è una sorgente di acqua limpida. Un tempo, nell'orto, s'alzava la fabbrica del ghiaccio. «Era un angolo fertilissimo, racconta Burgio, mio padre, Salvatore, era l'ortolano più invidiato della vallata. Poi venne la frana, la terra ci è' stata tolta, hanno piantato alberi per sostenere i grattacieli e l'acqua si perde per innaffiare piante che nulla danno, con la città che muore di sete ed è costretta a farsi derubare dal camionisti di via Santo Stefano». Il vecchio contadino vive del suo commercio poverissimo e dice con convinzione: «Gli alberi del mio orto non possono sostenere 1 grattacieli». Ricorda la frana rovinosa. Era il 1966. In un giorno rovente di quell'estate di feb-' bre, il 19 luglio, la frana devastò interi quartieri sulla collina. Si videro palazzoni nuovi sbriciolarsi come costruzioni di cartapesta e crepe aprirsi dappertutto. Un bilancio disastroso: diecimila persone senza casa, danni per miliardi e, soprattutto, una coda di polemiche e scandali, I responsabili dell'apocalisse del '66 sono stati tutti assolti dalla magistratura. I segni evidenti del disastro sono ancora li e, vent'annt più tardi, la città continua a innalzare grattacieli che, regolarmente, ogni estate, restano all'asciutto. II prefetto Sarullo, tornato ad Agrigento da due mesi e mezzo, dice della città e dei suoi scempi: «Non c'è più spazio di recuperabilltà: hanno creato un mostro assetato». Poi si domanda: «Una bomba potrebbe forse acquietarlo? Se non ci fosse stato 11 sopralntendente De" Miro avrebbero trasformato in un condominio di case popolari anche il Tempio della Concordia». De Miro è l'uomo piti odiato di Agrigento. Ha difeso con i denti l'ultimo lembo della valle e del. suo1 museo. L'altro giorno, proprio nei pressi del campo sportivo, in un palazzetto dello sport fre•sco di vernici, il vescovo Bonmarito è stato invitato a pren dere la paròla per la cerimonia dell'inaugurazione. C'erano tutte le autorità. «Erano in bella fila», ricorda il vescovo. I rappresentanti del Comune con il sindaco, gli uomini- della Provincia, gli agrigentini che sono alla Regione e quelli che vanno a Roma deputati nazionali. «Non l'avessero mal fatto: ho gridato loro che è vergognoso, dopo tanti anni, non essere arrivati, non dico alla soluzione, ma almeno ad un serio avvio del problema acqua». La folla applaudiva e i «signori della politica» dovevano impallidire. «Ho avuto, dice il vescovo con soddisfazione, quindici minuti ininterrotti di applausi: avevo dato voce alle masse». Nel racconto del vescovo, Agrigento è la terra delle intelligenze raffinate. Ricorda Crispi e Pirandello, Ambrosinl e Sciascia. «Ma qui da noi, aggiunge, intelligenze e parole si sprecano. Una classe politica divisa, instabile, manda in rovina la propria Intelligenza, si sciupa nel combattersi, nel frenarsi, nell'accoltellare chi emerge. Compie 11 miracolo dell'opera pubblica colossale, poi la la¬ scia andare In rovina. Fatta la diga, non fa 1 canali, fatto l'Invaso lo abbandona, non sa gestire quanto riesce a ottenere». Il prefetto di Agrigento è categorico: «Stavolta la "bretella" per rimpinguare Caltanissetta va fatta ad ogni costo. Dovremmo fare {Cose da pazzi», /politici hanno generato «sfiducia nell'animo e nelle menti». Sarullo dice: «Slamo all'ultima spiaggia, se la classe politica non mantiene quanto hai promesso perde la faccia». Da Palermo, Nicolosi, assessore ai Lavori pubblici/ «punta» nel rinnovamento politico di una Sicilia dissanguata, riconferma l'impegno. L'altro giorno, per accelerare una pratica, si è precipitato lui stesso a Roma con i documenti nella borsa per vincere «ritardi burocratici paralizzanti» e ottenere l'ultimo visto del comitato interministeriale delle acque ai pozzi della contrada Carueze. Spera in una «Industria dell'acqua», e perché le dighe, prive di canalizzazioni, non restino a Irrigare il mare e a dissetare i pesci, Nicolosi progetta un'autorità delle acque che assorba, in tutta la Sicilia, la funzione di raccordo e di di-, reztone. •Altrimenti le dighe, dice, resteranno dighe». Nell'isola sono almeno venti gli organi e gli enti che si occupano di; acque. Agiscono ciascuno per proprio conto, in compartimenti stagni, gelosi delle proprie prerogative, dei propri compiti. «Venti enti e quattro assessorati, ma anche la presidenza della Regione, aggiunge Nicolosi, ha, per l'acqua, una sua competenza». Ad Agrigento, nella sede dell'acquedotto del Voltano, il direttore, Calogero Carapezza, geometra, afferma: «Sarebbe 11 massimo avereacqua ogni due giorni». Se gli si domanda quale sia, su Agrigento, l'apporto dell'ente acquedotti siciliani (Eas), risponde di non saperlo: acquedotto del Voltano ed Eas sono entrambi in via Dante, a cinquanta metri l'uno dall'altro. E' sera, nelle condutture pubbliche ricominciano ad andare le pompe che sottraggono acqua alla comunità e la spediscono nelle vasche private. Accade ad Agrigento e su tutta l'isola. Il prefetto De Francesco tenta un censimento dei pozzi clandestini. Il mese scorso l'alto commissario per la lotta contro la mafia ne ha requisiti ventisei. «Sceicchi dell'acqua dicono nel suo ufficio di Palermo, e comportamenti mafiosi si intrecciano». Soltanto ai Greco, boss di Ciaculli, De Francesco ne ha tolti dieci. Ad Agrigento l'acqua è in vendita: basta pagare. Sergio Sinagra, 15 anni, giovane cameriere in un ristorante del, villaggio Mose, dice con voce strozzata: .Sotto la mia casa, rubano acqua e noi siamo al 'secco». Un uomo piti anziano lo riprende: «Ingegnati e fai' lo stesso». Il ragazzo ribatte: «Siamo soli, mio padre è In Germania, non posso andare a parlare con 1 signori che mi tolgono l'acqua». «Comprala allora, gli rispondono, o aspetta di crescere». Francesco Santini