Dollaro e missili di Mario Pirani

Dollaro e America forte, Europa debole Dollaro e Proprio alla vigilia del Vertice di Williamsburg il premio Nobel dell'economia, Leontief, a chi gli domandava cosa ne sarebbe scaturito rispose: «Nulla, proprio nulla. Dubito che il governo americano cambi la sua politica per le pressioni degli europei. La pressione per ridurre il deficit federale era già fortissima negli Stati Uniti eppure Reagan vi ha resistito. Lunica soluzione sarebbe tagliare o rallentare l'espansione delle spese militari. Purtroppo non mi sembra che la Casa Bianca abbia alcuna intenzione di mettersi su questa strada». L'aumento del dollaro era, dunque, scritto nelle cose e il mercato valutario ha subito scontato il fatto che non saran no per ora gli Stati Uniti a pagare le conseguenze del disavanzo del loro bilancio che si avvia a toccare i 200 miliardi di dollari. Di fronte, infatti, al rifiuto di Reagan sia di tagliare le spese sia di aggravare il carico fiscale (e in presenza di una perdurante restrizione nella creazione di moneta per mantenere il dominio dell'inflazione), il deficit viene fronteggiato grazie all'afflusso dei capitali internazionali, attratti dall'alto costo del denaro, che la scelta della Casa Bianca comporta. Cosi è il resto del mondo che finanzia la bilancia americana, ne sopporta le pecche e le alimenta contribuendo, inoltre, all'apprezzamento del dollaro. Ma cosa è che rende tanto poco convincenti gli appelli europei? La risposta non viene mai ammessa esplicitamente ed anzi sembra appartenere alla sfera che la psicanalisi individua nel pensiero rimosso. Eppure essa non solo £ sotto gli occhi di tutti ma negli stessi vertici se ne parla come se attenesse, però, ad un'altra categoria logica. Intendiamo riferirci all'abituale-secondo punto all'ordine del giorno che riguarda la politica di difesa, le armi /nucleari, i missili. Ora la verità taciuta consiste nel fatto che Europa e Giappone hanno evitato finora di fornirsi di un proprio sistema di difesa, ad dossando agli Stati Uniti la responsabilità di garantire la protezione finale globale della loro indipendenza. Washington è, su questo piano, come il pagatore di ultima istanza. E gli europei, rifiutando i costi di una difesa nucleare a livello qualitativo e quantitativo delle altre due superpotenze, non solo si comportano come popoli rimasti alla tecnologia delle armi bianche dopo la scoperta della polvere da sparo, ma accettano tacitamente di pagare il prezzo corrispettivo a chi si sobbarca in loro vece di dstcmlsspifl«sdmdmrlcntsSCsgrfassicurare il costo di una protezione che non può essere gratuita. Il dominio del dollaro e l'inflazione esportata dagli Usa riflettono, infatti, l'imposta non scritta che gli europei, dopo aver abdicato per la stessa ragione ad ogni capacità di esercitare un ruolo politico effettivo, subiscono anche sul piano economico. Si può giudicare questa scelta come obbligata, comoda-e, forse, anche abile se ci si rassegna al rango di subfornitori ma è velleitario protestare come se il debito non fosse mai stato acceso. Del resto la remissività europea nei confronti non solo dell'apprezzamento attuale del doli aro ma anche delle passate scorribande al ribasso che han no più volte sconquassato il mercato dei cambi risiede in definitiva in questi rapporti volutamente ineguali. I governi hanno cosi sopportato non solo la «benevola negligenza» di Washington nei confronti del corso dèi dollaro, ma anche l'abbandono del privilegio sovrano di battere moneta. Come altrimenti definire là via libera lasciata ai banchieri di Wall Street (con l'ausilio dei loro colleghi minori di qua dell'Oceano) nella creazione, attraverso artifici creditizi di più di . 1000 miliardi di eurodollari, non coperti dal Tesoro americano, che hanno alimentato l'inflazione e il disordine economico in un sistema trasformato da mercato finanziario mercato borsistico, arena di ogni manovra speculativa? E' lecito chiedersi se — al di là del dilemma tra indipendenza economica e difesa nucleare — non esista, comunque, una strada per rendere meno vulnerabile la stabilità monetaria internazionale. Dopo l'abban- dono dei cambi fissi lo Sme è stato, in proposito, l'unico tentativo serio di contrapporre ai capricci del dollaro un'area monetaria relativamente stabile. L'obbiettivo è però restato sospeso a mezz'aria perché la speranza di uno «scudo» europeo, capace quanto meno di imporre agli Stati Uniti una fluttuazione concordata ed un «consensusi) sui tassi d'interesse, era basata sul presupposto di una progressiva messa in comune delle riserve monetarie dei Paesi Cee. A Roma e a Parigi si recrimina sul fatto che il marco ha rifiutato di confondersi con la lira e con il franco rendendo cosi impossibile il sogno comunitario di indipendenza monetaria. Ma è un'accusa che ha lo stesso segno inconsistente di Snella mossa, per altri versi agli europei a Washington. Come, infatti, pretendere che siano i lavoratori tedeschi a pagare l'inflazione che fa lievitare i redditi nominali e la spesa facile di italiani e francesi? So lo quando i tassi d'inflazione europei saranno tutti allineati al minimo diverrà possibile rilanciare una politica economica e monetaria comune e presentarsi ai vertici con Usa Giappone, ancorché disarmati almeno non da accattoni presuntuosi ma come contraenti con delle carte in mano. Mario Pirani

Persone citate: Leontief, Reagan