Zanzotto: nell'osteria del mio paese scorre l'universo di Giorgio Calcagno

Intervista al poeta di «Fosfeni», premio Montale Intervista al poeta di «Fosfeni», premio Montale Zanzotto: nell'osteria del mìo paese scorre l'universo Fra i richiami a Mallarmé e a Lacan, si inserisce il Nino, il vecchio del paese, che mescola il dialetto ai neologismi della tv e tiene banco in piazza. Zanzotto, costretto a girare da anni per ospedali, è affascinato da questo uomo forte, che si cura da sé e, se proprio ha bisogno di un dottore, chiama il veterinario («dice che deve essere piti astuto del medico, perché l'animale non parla»). Ti poeta raccoglie i suoi discorsi sul registratore, vuol fare un libro su questo personaggio, che vinceva le risse nel mercati, solo contro cinque («un giorno, per rabbia, ha mangiato lo specchio grande del Fernet Branca-); e oggi, a 91 anni, sale ancora le colline In bicicletta. Ma il mondo di Zanzotto è un altro, assai meno dialettale di quanto voglia far credere. Chi legge le sue ultime raccolte deve attraversare tutti i laboratori più sofisticati della sperimentazione, nell'oltre Pound linguistico. Che cosa conta davvero, per il poeta, quel «rito campestre» a cui dice di rifarsi nella sua opera? •Forse è rimasto un gusto della memoria ritmica, che si trasmette anche nella facilità della rima. Io lascio scorrere, in un dettato che sembra privo di ritmi, una specie di corrente sotterranea, attraverso forme facili, di filastrocca, proprio dove i temi si fanno più ardui. Persino in Fosfeni c'è un flusso di orecchiabilità sepolta, che è il topos dell'osteria. Il libro è astrattissimo, l'osteria non manca mai». — Non c'è un conflitto, fra la sua ricerca psicanalitica, antropologica, e questa tradizione di paese? Come concilia la sua condizione di periferico con le sue scelte culturali? ~ ' «i7 conflitto esiste, fortissimo. E io mi sento attraversato da questa frattura. Ma se ho potuto affrontare a fondo, vivendoli, certi temi dell'oggi, cosi carichi di elementi distruttivi, è stato perché avevo una specie di nimbo un rifugio, in quel tanto di "relitto comunitario" ancora presente nella periferia. La mia eccentricità mi ha difeso dagli aspetti più sconcertanti e disarticolanti tipici di tanta cultura attuale». — Anche la natura, per lei, è una via di rifugio? «La natura appare all'orizzonte della storia con un suo gentile sogghigno, perché anche lei è colpevole di mostruosità, atrocità, nei suoi megatempi. Un rifugio? si, ma dubbio, non certo». — E perché allora quasi tatti i titoli dei suoi libri, da •Dietro U paesaggio» al •Galateo In bosco», hanno un richiamo di arcadia? «Afa io l'arcadia la vedo nella luce virgiliana del conflitto. Le Bcloghe nascono nel rimpianto di qualcosa che non c'è; nel contrasto fra il fermentare terrificante della storia e quella che poteva essere la dolcezza della vita campestre. Da una parte una luce gitasi irreale;di ór<-; mania e bellezza vagamente mineralizzata, poco affidabile; dall'altra un gioco di forze della storia e della cultura, che sono esemplificati nello strepito delle armi, già da Virgilio. Oggi tutte le nostre arcadie sono posate so- Andrea Zanzotto pra depositi dì armi atomiche: anche nel mio Veneto». — E tuttavia dal suo ultimo libro sprigionano luci. •E' la luce novembrina, invernale, ghiacciata, che non ha solo il versante stigio, da basso inferno. C'è un ottimismo legato alla presenza dei fosfeni, vaghe tracce di un logos non accentratole, non oppressivo; un insieme di piccole luci, talvolta ambigue, persino patologiche, ma che si pongono come simbolo dell'effervescenza della realtà in qualcosa di luminoso, persino all'Interno dei ghiacci. L'inverno è visto come la stagione dell'interiorità, non della morte; interrompe il tempo, ma il tempo non finisce nel nulla». — Lei è credente? •in religioni specifiche no. Il tema del logos è greco e cristiano insieme. Mi ostino a credere che, nascosto chissà dove, cancellato, eppure lasciando qualche traccia, ci ■ sia un senso della realtà. Afe lo dice un bip-bip, che percepisco di tanto in tanto». — Perché » lei, poeta «virgiliano», Interessa tanto la scienza? 'Il fare della scienza può essere una poiesis, oltre che una techne. C'è una miniera di suggestioni, che vengono da nuove parole, e possono dare radici a metafore nuove. Chi scrive versi passa vicino a questo, ne riceve i bagliori e poi se ne va. Vedo l'operare poetico come una febbrile raccolta di suggestioni». — Scienza e paesaggio sono I due termini costanti della sua poesia, ma sempre divisi. Non rischiano di sembrare opposti? 'Il primo impatto con il paesaggio è la sua bellezza. Poi lo sguardo si fa ravvicinato, si munisce di lenti, si fa microscopio e poliscopio. E l'occhio vede, con lo sguardo della scienza, quello che non poteva vedere con lo sguardo dell'infanzia. Tento di darne, una idea con la poesia "Varietà dei rosa e jonl", nell'ultimo libro. Lo sguardo sulla natura prima è innocente, poi diventa anatomico, fa affiorare gli aspetti anche ributtanti; infine vuole arrivare a scoprire i purissimi movimenti di atomi, dove tutto è un vortice di particelle». — E lo sguardo innocente non c'è più? «Si, c'è sempre; viene da quell'antico logos che vuol dare un senso al mondo. Anche con l'occhiale scientifico il vedere vorrebbe essere l'ultimo vedere, e chiede di vedere luci. Noi, dobbiamo accontentarci di vedere fosfeni». — Non c'è una suggestione di paradiso dantesco, In questa insistenza sul motivo della luce? 'Il Paradiso? l'ho sentito molto. Ma il mio è una specie di sottoparadiso incerto; se per caso non è poi una specie di inferno. Potrebbero anche essere i bagliori di Caina». Neppure il poeta, avverte, può sempre sapere quale senso ultimo abbiano le sue immagini: .Quando c'è l'irruzione del significante, sfugge allo stesso autore». E il significato, può ritrovarsi molto lontano. E' il segreto della sua poesia; la sua fosforescente oscurità. Giorgio Calcagno

Persone citate: Andrea Zanzotto, Lacan, Pound, Zanzotto

Luoghi citati: Veneto