Labriola in battaglia

Labriola in battaglia UNA CERTA IDEA DEL SOCIALISMO Labriola in battaglia "Piti clx un tentativo di mettere assieme molte forze, dirò così riformiste e rivoluzionarie in servizio dì un governo innovatoresi tratta di uno dei soliti casi di coglionatura all'italiana*. Con questi termini perentori, in una lettera a Pasquale Villari del 13 novembre 1900, Antonio Labriola liquidava le attese suscitate nelle file dei partiti popolari dalla "svolta liberale* preconizzata da Giolitci. Alle origini di quel giudizio sta la sfiducia di Labriola nello statista di Dronero, "minis/ro della corte e dell'egemonia piemontese*, come già lo aveva definito nel 1892, nel corso del suo primo ministero. Una sfiducia che investe il metodo di governo, le pratiche del trasformismo, la mancanza di chiarezza politica, l'assenza di quel rigore morale che in lui era abito di vita, laica religione della scienza e dell'università. Non si è illuso, Labriola, sulle concrete capacità rivoluzionarie del movimento operaio in Italia. "Non mi sono mai sognato che il socialismo italiano fosse leva per rovesciare il mondo capitalistico», scrive nella stessa lettera a Villari. Il socialismo di casa nostra gli appare solo «un mezzo* volto a sviluppare il "senso politico» nelle moltitudini, a "educare quella parte degli operai clx è educabile alla organizzazione di classe», a "Opporre alle varie camorre che si chiamano partiti una forte compagine popolare», a "costringere i rappresentanti del governo alle riforme economiche utili per tutti». Mai iscritto al partito socialista, intollerante di qualsiasi vincolo e orgoglioso della piena autonomia intellettuale, socialista autentico e maestro di socialismo, Antonio Labriola fu critico inesorabile del partito che più amava. Una critica e una polemica che sfiorano talvolta i toni della "satira e della invettiva», effetto di un amore deluso, come ci ricordava già Benedetto Croce nelle pagine mirabili aulle origini del marxismo teorico in Italia, dedicate non a caso a Antonio Labriola, lo studioso' Che alle indagini sul marxismo lo aveva iniziato. Dalle lettere a me dirette — sono parole di Croce — "potrei ricavare una rappresentazione satirica del socialismo italiano di allora, fatti e persone». Quelle parole di Qoce ci tornano in mente rileggendo oggi i tre densi volumi dell'BpistoLtrio (1861-1904) di Antonio Labriola, curati il primo da Delia Dugini e Renzo Martinelli, gli altri da Valentino Gerratana e Antonio A. Santucci per gli Editori Riuniti: arricchiti da una penetrante introduzione di Eugenio Garin, di cui esce contemporaneamente da De Donato una raccolta di saggi. Fra due secoli, con un ritratto a tutto tondo dello stesso Labriola. Poche, in realtà, le corrispondenze inedite. Le stesse lettere di Labriola a Qoce, nelle pregevoli edizioni dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici, sono apparse nel 1975 in due volumi impeccabili a cura di Lidia Qoce. Ma l'ingente materiale epistolare trova adesso una organica e definitiva collocazione, consentendo di ripercorrere nella sua complessità la parabola intellettuale di uno dei maggiori pensatori del nostro tempo: il solo, secondo ùoce, "tra i so- cialisti italiani che avesse ingegno e preparazione scientifica di filosofo». In realtà appartenente allo stesso filone filosofico di Croce; discepolo di Bertrando Spaventa. Nello studio napoletano il giovane aveva rafforzato l'innato spirito laicista, ostile a ogni dogmatismo, anticlericale e insieme antimassone, percorso e animato, da sempre, da un senso religioso della storia. Recepisce il liberalismo politico eli Silvio Spaventa, lo filtra attraverso intense discussioni nei circoli liberali napoletani, negli incontri al Caffè Guardabassi. Radici morali dello Stato, concezione della vita come missione etica: ecco gli aspetti che più lo avvicinano all'autorevole esponente della destra, sul comune tronco della irriducibile opposizione al trasformismo di Deprctis. **, Ma le vie, a quel punto, si dividono. Spaventa si chiude nel suo mondo di assoluti giuridici, Labriola si volge verso il basso, verso le forze giovani della società. Il maestro, o ex maestro, si limita a va gheggiare una riforma interna al sistema, un perfezionamento del regime parlamentare dopo che la tradizionale con' eczionc bipolare, maggiorati' z.vopposizione, è stata clamorosamente smentita dai fatti; il discepolo, o antico discepolo, spinge in avanti la critica e la polemica contro l'intero sistema, investe la stessa idea di Stato, lo Stato liberale ("ilpresente ordinamento pubblico non è atto a risolvere il problema socia le», ribadirà più tardi, a Ghisleri, nel 1890), supera il Parlamento per attingere direttamente — con la tempra dell'educatore politico — alle masse popolari, al proletariato. C'è un momento in cui la speculazione di Labriola si fama su un partito nuovo, qualcosa come la "sinistra giovane» di De Sanai s. E' quando spera nei radicali, affidando loro i! compito di "ricondurre il Parlamento alla sua-vera funzione», cioè servire gli interessi gene rati senza asservirsi a "governi personali*: l'aveva scritto Card-.^ci nell'aprile del 1866. Una speranza che durerà poca Solo pochi giorni più tarai Labriola confidava al poeta giambico i tanti dubbi sui "nostri radicali», cui rimproverava quella "strana fisima di riformare lo Stato dall'apice* anziché dalla base, e quella tendenza a sfuggire ai problemi sociali... E' un momento. Cade l'ipotesi radicale, cade la suggestione repubblicana. Di Cuore critica, la rivista di Ghisleri poi di Turati, Labriola accetta solo la critica, non il cuore. Gli Anni Novanta vedranno il serrato incontro-scontro con Turati, impegnato a gettare le basi del nascente partito. "Via, non la diamo a interi dere — tuona nel settembre del '90 — che pigliando sussidi dal governo, proprio con quei sussidi, si prepari la rivoluzione sociale. E che le cooperative siano un avviamento al socialismo. Questa è logica da piccoli borghesi. ■ Aumentare il numero degli sfruttatori, per combattere lo sfruttamento*. E l'anno successivo confida ancora al leader socialista: "Ho il temperamento degli uomini estremi, e non sono ni positivista né evoluzionista*. Ed esprime di lì a poco tutte le riserve verso il socialismo che Turati sta organizzando in partito. *Io sono arrivato alla perfetta persuasione che il socialismo italiano non i il principio di una nuova vita, ma la manifestazione estrema della corruzione politica e intellettuale». E' un'amarezza esasperata dalla inquietudine e dalla delusione; ma il suo socialismo ormai diverso. E' studio e riflessione, è riesame del pensiero di Marx, cui Labriola dedicherà l'ultimo quindicennio della vita, è interpretazione, applicazione, rielaborazione, diffusione della dottrina marxistica. E' la stagione dei gran di saggi, dei classici del marxi smo: una riclaborazione di pensiero cui non furono estranei gli scambi epistolari, confronti e i dialoghi nelle passeggiate napoletane con Benedetto Qoce, non meno che la lettura di uomini come Sorel, l'apertura ad altre correnti del socialismo di fuorivia. E' il marxismo rivissuto con una vibrazione di Machiavelli, magari inconsapevole (una volta Labriola lo defini scc "il fiorentino, come si crede, illustre*). E' il marxismo senza variazioni sentimentali e senza tentazioni utopiche. E' il marxismo come metodo di interpretazione della storia, piuttosto che come strumento per l'azione politica, per la formazione di nuovi miti, tendenzialmente irrazionali. E' un marxismo col correttivo della destra storica Ecco perché il necrologio della Critica sociale, al momento della morte nel 1904, sarà cosi geli do e distaccato: "Né militante né cooperante», ma solo intellettuale di cui si possono leggere le opere "nei brevi ozi che la vita militante concede agli studi». In realtà Labriola fu qualcosa di più. Se molti socialisti Io giudicheranno con quella severità, e si asterranno dal leggerne i libri, è perché il suo socialismo non aveva niente di latino e niente di dialettale. Era il riflesso di un metodo critico, di una scepsi laica Momento o frammento della cultura moderna O meglio cultura tottt court, da Socrate (il suo primo libro) in avanti. Giovanni Spadolini dlOsvggnrdqtmtTtdfelsdlnifl g M1 Filippo Turati e (a destra) Benedetto Croce

Luoghi citati: Dronero, Italia