Il nostro vino conquista l'America (ma ci hanno già dichiarato guerra) di Sandro Doglio

Il nostro vino conquista l'America (ma ci hanno già dichiarato guerra) I vigneron californiani parlano di vendita sottocosto e chiedono dazi più alti Il nostro vino conquista l'America (ma ci hanno già dichiarato guerra) Esportate lo scorso anno 26 milioni di casse da 12 bottiglie - Barolo, Chianti e ((bianchi» da un dollaro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE NEW YORK — L'America mangia in italiano, beve in italiano. L'insegna 'Pizza* sta diventando sempre più popolare, forse è addirittura il più diffuso richiamo per il «pasto veloce» negli Stati Uniti: la si trova anche nei più sperduti centri di questo Immenso Paese. Gli spaghetti sono decisamente usciti dalle strade della little Italy. I ristoranti italiani continuano a moltiplicarsi: a New York la gran moda è andare a cena da Giambelll o al «Nido» o al Monello» (pasti per élites, prezzo da 50 dollari in su), ma ogni giorno decine di migliala di persone prendono d'assalto piccoli e grandi ristoranti dall'insegna italiana che si aprono In ogni angolo della città. Perfino De Laurentils il produttore cinematografico — ha aperto a New York un negozio di gastronomia dove i clienti fanno la coda per acquistare parmigiano, salame di Varzi o un piatto pronto di cannelloni al sugo. Tutte le enoteche ormai espongono bottiglie di Barolo e di Chianti, di Soave e di Lambnisco. Il sessanta per cento del vini importati in America sono italiani: è proprio vero, abbiamo battuto, e da lontano, perfino gli orgogliosi francesi. Negli Stati Uniti nel 1982 abbiamo venduto 26 milioni e mezzo di casse da 12 bottiglie. Ma adesso anche in America sta per scoppiare una guerra del vino, la guerra contro 11 vino italiano. Le prime avvisaglie vengono dal Canada: su evidente richiesta del nostri concorrenti — che sono 1 produttori della California — la dogana dell'Ontario qualche tempo fa ha aperto un'inchiesta per accertare se gli esportatori italiani possono essere accusati di dumping (vendita sottocosto). Ora l'inchiesta è stata sospesa, ma 1 nostri vini non sono stati assolti del tutto: le autorità canadesi parlano di «insufficienza di prove». Il che significa che tutto può ripartire da un momento all'altro, e — se provato — il dumping potrebbe costare carissimo ai nostri esportatori. Negli Stati Uniti la situazione è identica: non c'è inchiesta ufficialmente in corso, ma l'accusa viene ripetuta a ogni momento, e si sa che i produttori americani premono sul governo di Washington perché alzi una barriera doganale per frenare le importazioni dall'Italia. Dice Tony Terlato, presidente della Paterno Import di Chicago, distributore di vini italiani di qualità (Pio Cesare, Gancla, Abbazia dell'Annunziata, Duca di Salaparuta, Lungarotti, eccetera): «£' necessario far subito qualcosa a n i l i è per bloccare gli interventi governativi a favore delle cantine sociali, altrimenti gli Usa alzano i dazi*. *E se cade il Lambnisco (cioè il vino italiano più venduto e meno caro negli States), muore anche il Barolo*, aggiunge Pino Khan, direttore della rivista Civiltà del Bere* e appassionato portabandiera del buon vino italiano nel mondo. La «guerra» si combatte infatti sugli interventi del governo italiano a favore delle Cantine sociali, che detengono le quote più alte delle'nostre esportazioni negli Stati Uniti. Il successo quantitativo dei vini italiani in Usa è dovuto in gran parte anche ai prezzi molto bassi — per questo mercato — a cui sono offerti certi vini prodotti in gran parte proprio dalle Cantine sociali. SI trovano nei negozi bottiglie di bianco anche a meno di un dollaro (il che si-, gnu Ica che partono dall'Italia ad appena 400-500 lire), prezzo che non soltanto distrugge la concorrenza degli altri Italiani, ma che dà seri fastidi ai produttori californiani, sempre più agguerriti. Cercando di rompere questa offensiva, che obbliga anche le case americane a una politica di prezzi bassi, spesso con perdite, gli astuti californiani hanno scoperto 11 nostro punto debole: in Italia molte cantine sociali — che siano proprio quelle che vendono 11 vino a poco prezzo, a loro poco importa — hanno 11 bilancio in deficit, e lo Stato interviene per ristabilire il pareggio. Tanto basta perché l'accusa di dumping regga: «/ soldt dello Stato permettono agli italiani di vendere sottocosto*. Di qui l'offensiva contro tutti i vini italiani che — tra buoni e cattivi, cari e a buon mercato — oggi rappresentano circa il 9 per cento del consumo statunitense. (L'inchiesta formale potrebbe scattare e 1 produttori italiani temono di perdere la batta glia: come fermare del resto l'intervento statale a favore delle Cantine sociali, che dettato, oltre che da nobili ragioni sociali, anche da più bassi Interessi politici e di partito?). Una «missione del vino italiano», intanto, è sbarcata l'altro giorno all'aeroporto Kennedy per tentare di prevenire la crisi e continuare l'assalto al mercato statunitense, sul quale i bianchi, 1 rossi e gli spumanti di casa nostra rappresentano ormai la quarta voce in valore di tutte le esportazioni italiane, dopo le calzature, la bigiotteria-argenteria e i prodotti siderurgici. Se certi produttori — quelli che puntano sulla quantità — si battono quasi esclusivamente con l'arma del prezzo, l'aristocrazia dei vlnaioll cerca infatti 11 trionfo con la qualità e 11 prestigio, l'abbinamento all'alta gastronomia: campo che fino a ieri qui era dei francesi. Ventidue grandi case italiane hanno offerto nei saloni dell'enoteca dell'/ce, in Park Avenue, un assaggio di «vini nuovi». Qualche nome: il Chardonnay della Lungarotti, il Brachetto spumante e l'Argusto Dolcetto di Acqui della Villa Banfi di Strevi, il Corvo Colomba Platino di Salaparuta. 11 Verbesco presentato da Contratto, il Pomino bianco del marchesi Frescobaldi, il Cortese di Pio Cesare, il Torrino, 11 Oalestro, il Rosato di Aquileia, il Foianeghe rosso, il Formentino rosso, 11 Bardone (sapiente miscuglio di Barbera, Dolcetto e Nebbiolo di Fontanafredda), 11 Tlgnanello, il Mercenasco di Ratti. Dietro ogni tavolo, il produttore In persona che mesceva e spiegava a giornalisti specializzati. importatori, grandi clienti, le caratteristiche della sua ultima cieatura. E' stato un successo clamoroso, dovuto non soltanto alla qualità dei vini, ma alla preziosità e alla perfezione della manifestazione, «inventata» dalle riviste *Italian Wines and Spirits* e 'Civiltà del Bere*. (Quale americano, del re-' sto, non andrebbe in brodo di giuggiole vedendosi servito un calice di vino dal marchese Piero Antlnori in persona o nello scoprire che il Brachetto che sta bevendo è fatto proprio da quella bella ed elegante signora Viglierchio che glielo ha porto e gii sa spiegare tecniche di cantina e misteri della fermentazione?). Ma questa presentazione non è la sola manifestazione di classe del vino italiano in America in questi giorni: in programma c'è anche una cena da favola con i più raffinali piatti della cucina italiana, accoppiati — idea nuova e astuta — con vini americani e con 1 «grandi, di casa nostra. Lucullo al Rockefeller Center, insomma: il più grande avvenimento enogastronomico di New York per quest'anno. Sandro Doglio