Subito grande col Real e Di Stefano

Subito grande col Real e Di Stefano COPPA CAMPIONI Sona dei madrileni i primi cinque successi, ventisette le edizioni Subito grande col Real e Di Stefano Seconda finale per i bianconeri, sconfitti nel 1973 dalPAjax - Due vittorie del Milan e due dell'Inter - Nel 1969 l'ultimo successo italiano ATENE — Giovane, ha solo ventisette anni, la Coppa dei Campioni ha già alle spalle un albo d'oro ricco di nomi prestigiosi, ed una galleria di campioni che ne fanno 11 torneo europeo più avvincente, il più seguito sin dalla ideazione. La Juventus cerca per la seconda volta, dopo la finale del '73 a Belgrado che la vide sconfitta dal miglior Ajax, di mettere le mani sull'unico trofeo che manca nelle già guernite bacheche di Galleria San Federico. La partecipazione tifosa a questa trasferta di Atene testimonia sia l'amore per la squadra bianconera, sia l'importanza dell'avvenimento. La Coppa Campioni, che ha in Sud America il suo corrispondente nella Copa Libertadores, è partita da una idea irancese nel '56 e per le cinque prime edizioni porta il marchio di un club e di un giocatore che hanno fatto storia in Europa, il Real Madrid ed Alfredo Di Stefano. Per cinque anni, sino al '60,11 grande club madrileno ha via via battuto Stade Reims, Fiorentina (già un grande exploit per la squadra di Magnini e Cervato, Segato, Jullnho e Montuori l'arrivare alla finale), Milan (i rossoneri di Maldini, Radice, Lledholm e Schiaffino), ancora Stade Reims e Eintracht Francoforte. Ed in cinque finali sempre Alfredo Di Stefano è andato in gol, e ben tre volte contro i tedeschi nel 1960. Era un Real da favola. Attorno alla «saeta rubia» Gen to, Munoz, Kopa (passato al club madrileno dopo la prima finale giocata nello Stade Reims con a fianco Hidalgo, ora et. della Francia), Santa¬ maria, Rial, Pachili e, proprio in occasione dell'ultimo trionfo, Ferenc Puskas. L'arrivo di due squadre italiane alla finale testimoniò della bontà del nostro football. I 135 mila spettatori che il 18 maggio del 60 presenziarono all'ultimo successo del ciclo madridlsta all'Hampden Park di Glasgow, decretarono la definitiva afférmazione dell'idea delia Coppa Campioni. Al Real successe il Benfica. Due vittorie consecutive. Era la squadra del grande portie¬ re Costa Pereira c soprattutto di una delle più grandi coppie di mozzali viste sul campi continentali: Coluna ed Eusebio, classe, temperamento, spiccata vocazione offensiva. Nel '63, vent'anni fa, il primo successo italiano. Il 22 maggio a Wembley 11 Milan chiudeva il ciclo del Benfica vincendo per 2 a 1 con due reti di Aitaiini contro quella di Eusebio. Ghezzi, David e Trebbi, Benitez, Maldini e Trapattoni, Plvatelli, Sani, Altaflnl, Rivera e Mora i protagonisti della storica impresa per il nostro football di società. Si apriva il periodo italiano. Dalle due edizioni successive della Còppa Campioni usciva da trionfati-Ice l'Inter di Moratti ed Herrera. Erano gli anni del «catenaccio», ma la tattica di difesa e contropiede era retta in nerazzurro da grandi giocatori. Se Helenio usava Tagnin come spietato marcatore del miglior centrocampista avversario, se Picchi, Burgnich e Facchetti erano implacabili in difesa, la re- già di Suarez era di alto tasso tecnico, ed 1 contrattacchi passavano attraverso Sandro Mazzola e Corso, che spesso 11 finalizzavano in appoggio a Jair, affiancato prima dal rude ma combattivo Molan, quindi dall'elegante Pelro. Ormai la competizione era davvero europea, 11 panorama si allargava. Tornava sul podio 11 Real Madrid di Plrri, Amando, Velasquez, gli succedeva 11 Celtlc (prima vittoria anglosassone) che apriva la strada al Manchester. L'Unlted aveva i punti di forza nel «cattivo» Stiles, nello splendido regista che era Bobby Charlton e nel fantasioso Best, grande giocatore poi persosi fra i vapori dell'alcool e della birra. Nel 1969 tornava a vincere il Milan di Giovanni Trapattoni e Rivera, di Schnellinger, Sorniani, Rosato e Prati. A centrocampo Trapattoni aveva l'appoggio dell'infaticabile Lodetti. I rossoneri battevano a Madrid l'emergente Ajax, che negli anni successivi completava il mosaico attorno a Johan Cruyff. Il Fejenoord l'anno dopo (1970) dava 11 via al periodo olandese battendo in finale per 2 a 1 il Celtlc. Il centro di Milano era devastato dalle opposte orde del tifosi ubriachi. Nasceva il fenomeno del teppismo da esportazione. Poi dilagava preoccupando l'Uefa che cominciava a difendere il football con pesanti squalifiche e grosse multe. Al Fejenoord succedeva con maggior peso di gioco e con uomini di eccezionale valore tecnico e atletico proprio l'Ajax. La squadra in due stagioni era stata completata. Abbozzata già chiaramente da Rinus Michels, trovava nel romeno Stefan Kovacs un tecnico non'amato dal giocatori (Cruyff lo definiva «una nullità* o poco più) ma capace di portare avanti 11 discorso del calcio totale che doveva poi costare caro ai club che seguivano l'esemplo senza avere quella materia prima. I «lancieri» vincevano la Coppa per tre anni consecutivi, l'ultima contro la Juventus 11 30 maggio '73 — dieci anni or sono — nel «Maracanà» di Belgrado Invaso vanamente da 30 mila tifosi italiani. Attorno a Giovannino Cruyff erano Suurbier e Krol (nel pieno del vigore fisico), il .gigantesco e barbuto difensore centrale Hulshoff, quindi Haan, Neeskens e Rep. L'Ajax stritolava prima della Juve sia 11 Panathinaikos che l'Inter. L'ultimo decennio della Coppa è storia recente. Il Bayern migliore (Maier, Beckenbauer, Gerd Mueller, uii Hoeness) vinceva tre finali consecutive contro Atletico Madrid — in una doppia partita, erano ancora i tempi della ripetizione dopo un primo pareggio — Leeds e Saint-Etienne, poi si iniziava 11 lungo ciclo inglese. Tre successi del Liverpool guidato da Kenny Dalglish ('77. '78, '81), due del Nottingham Forrest, uno — l'ultimo — dell'Aston Villa che la Juve ha eliminato dall'edizione che si sta concludendo ad Atene. L'Amburgo, battuto dal Nottingham nel 1'80 adesso ci riprova. Alla Juve 11 compito di bloccare le speranze dei «panzer» di Happel, di rispondere alle attese della società, alla passione dei tifosi che ih questo successo credono, e con buoni motivi. Bruno Perucca