Papandreu la discesa dall' Olimpo

 BHfe H S BA ■ liBi^Bi aP« ^. ^ ^H— „ A ,, — Ha— Jl iAAAAAh aBabHH 9M|ZbAABA Papandreu, la discese dall'Olimpo L'<<ailaglri», il vento che 17 mesi fa aveva portato al potere il primo ministro greco, sta perdendo vigore BHfe H S BA ■ liBi^Bi aP« ^. ^ ^H— „ A ,, — Ha— Jl iAAAAAh aBabHH 9M|ZbAABA Papandreu, la discese dall'Olimpo Si definisce il «don Chisciotte della Cee», lo chiamano l'«enfant teirible della Nato», ma la dura realtà quotidiana ha ridimensionato le sue ambizioni e lo ha costretto a continui dietro-front - «L'arte dell'ambiguità è salita al vertice del partito, l'inesperienza ministeriale spesso sconfina nell'incompetenza» - Il campanello d'allarme delle amministrative - L'ultima marcia indietro sulle basi americane La Grecia di Andreas Pa- pandreu, questoenfant terrt-La Grecia di Andreas Papandreu, questo enfant terrible della Nato il quale si picca di essere allo stesso tempo — anche la seconda definizione è tutta sua — 11 «Don Chisciotte della Oee», assomiglia per molti versi alla classica storiella del lupo, quello che abbaiava cosi forte da non far piti paura a nessuno. Con una variante, però: gii ululati di allora, se ascoltati con 11 sennò di'poi, hanno rivelato !a loro vera natura, sono e fórse erano sempre stati soltanto modesti guaiti. Perché contro ogni previsione il Pasok dei socialisti ellenici si è dovuto calare dalle vette dell'Olimpo, trascinato verso le miserie terrestri dal duro impatto con la realtà quotidiana, ossia inflazione attorno al 25 per cento, due miliardi di dollari di disavanzo nella bilancia del paga- menti, l'otto per cento della forza lavoro a spasso. E allora,, non avendo alternative, ha smesso di mordere, di digrignare i denti, sulla falsariga di quanto aveva fatto durante la campagna elettorale, quando si trovava all'opposizione. Peggio ancora, deve rimangiarsi, e qui sta l'assurdo, persino, alcune fette piuttosto consistenti dell'allaghi, 11 vento del cambiamento con il quale 17 mesi fa era approdato altezzosamente al potere promettendo «fuoco e fiamme» dopo sette anni di governi conservatori. Apologhi a parte, è indubbio che qualsiasi bilancio dell'esperienza di governo in Orecla . deve iniziare dalla constatazione di fondo, amara fin che si vuole, basata su tre aspetti politici. Le troppe delusioni suscitate dall'affetto Papandreu», benché fosse stato accolto all'Inizio con estremo favore; 1 risultati inconcludenti dell'-operazione rinnovamento», assai scarsa di riforme, comunque insufficienti sul piano sociale; infine 1 ripetuti, sfiancanti «tira e molla» prima imposti, poi attenuati nel confronti dell'Alleanza atlantica e della Comunità, europea, con l'unico effetto di incrementare malumori e incitare velleità di rivalsa a Bruxelles, a Washington, specialmente nelle nove capitali del partners economici. Basta leggere il Cahier de doléances tracciato di recente da Le Monde in un duro, spietato elenco accusatorio abbastanza insolito per il quotidiano francese, viste le simpatie espresse In passato al focoso premier greco, e si capirà, l'ampiezza della «palude dove il Pasok è costretto a nuotare*. Scrive il quotidiano francese, che è abituale, per ogni nuovo governo di sinistra, procedere rapidamente alla svalutazione, in modo da addossare la colpa dello sconquasso, e giustificare perciò la pillola amara, «al regno precedente-. Accadde in Francia nel 1981, all'Indomani della vittoria di Mitterrand, e poi in Spagna dopo 11 successo di Felipe Oonzales; identico copione a Stoccolma, nella rentrée dei socialdemocratici di Olóf Palme. Non è riuscito invece a Papandreu, costretto a ridurre in gennaio il potere d'acquisto della dracma del 15,5 per cento a 15 mesi dalla successione a «Nuova Democrazia» di Giorgio Rallls, dunque a bocce ferme. Veritiera inoltre la debolezza strutturale dell'economia greca, cronicamente inquinata dalla nascita di imprese fantasma, che vivono lo spazio di una sovvenzione, 1 giorni appena necessari per depositare rendiconti fittizi e sparire nel nulla («Io sport nonionaie degli affaristi giocato all'ombra dell'Acropoli»). Scontate la potenza della lobby degli armatori, proprietari della piti consistente flotta mercantile del mondo, l'agricoltura arcaica e immobile, l'assenza di ambizioni fra gli imprenditori e gli industriali. Eppure, aggiunge Le Monde, i guai maggiori li hanno combinati «{'eccesso di linguaggio e il comportamento dei partigiani di Papandreu, pili disposti a costituirsi in guardiani della rivoluzione che a rinnovare il dialogo interno». Infine, il colpo di grazia inferto dall''arte dell'ambiguità esercitata al vertice del partito, dell'inesperienza ministeriale spesso sconfinata nella nemesi dell'incompetenza, ed ecco l'accelerazione imposta al degrado dell'economia che il primo ministro si illudeva di poter arginare-. Puntuale pertanto è giunto lo scorso ottobre il campane! lo d'allarme durante le elezioni amministrative: 11 primo test della popolarità di Papandreu si è risolto in una doccia fredda per il Pasok. E' aumentata si la consistenza del fronte popolare (socialisti assieme agli «eurocomunisti» del pc greco cosiddetto interno) ma non ha tenuto di franto al comunisti filo-moscoviti, ovunque in spettacolare risalita, né agli avversari del centro, il partito dell'anziano ex ministro degli Esteri Averoff, e dell'attuale presidente Caramanlls, e ha perso inoltre parecchi suffragi ottenuti l'anno prima nelle circoscrizioni urbane, ad Atene, Patrasso, Salonicco. «Sono le colpe del falso populismo alla Papandreu»,- commenta Sthatis Panagulis, dimessosi nel frattempo dal governo e dal partito. In seguito non sono mancati altri indici di disaffezione, ultimo del quali la massiccia dimostrazione antigovernativa scoppiata all'improvviso in marzo durante i funerali dell'editore di destra Athanaslades, assassinato misteriosa¬ mente nel suo ufficio; migliala di persone sono sfilate nelle vie del centro con cartelli che denunciavano «la dittatura del socialismo». Sintomi preoccupanti. Sostengono adesso alcuni sondaggi non ufficiali che se domani 1 greci dovessero tornare alle urne, sarebbe la fine sicura dell'»esperimento dei garofani», almeno 1112 per cento di voti in meno per 1 socialisti «imputati» di non aver saputo mantenere le grosse promesse dell'81, eccetto piccoli ritocchi di maquillage propagandistico, quali l'abolizione dell'obbligo del matrimonio religioso, la liberalizzazione dell'aborto, qualche decentralizzazione burocratica, la concessione di ridotte autonomie locali, l'adozione della scrittura «monotònica» (in sostanza addio alla grafia classica, ormal ignota alla massa, in cui bisognava conoscere almeno un centinaio di regole per mettere gli accenti al posto giusto). In politica estera, lo leggla- mo sull'Economist, Papim Kre" -™ te combinate di ut mo aull'Economist, Papandreu «ne ha combinate di tutti i colori». Alla minacciatauscita dalla Cee è seguito il 'dietro-front, dopo aver strappato un solido pacchetto di aiuti comunitari, tre miliardi di dollari nei prossimi quattro anni, con l'impegno degli eurocrati di non guardare tanto per 11 sottile se Atene procederà a passo ridotto sulla strada della modernizzazione. Poi le basi americane (sono quattro — Bude e Eraklion a Creta, Ellenikon e Nea Makri nell'Attica — e controllano lo scacchiere meridionale dei' Balcani, i movimenti lungo lo Stretto del Dardanelli, la navigazione nell'Egeo del Sud). Sono un contenzioso collegato, in seno alla Nato, all'atavico dissidio con la Turchia e allo sfruttamento del potenziale strategico dell'isola di Cipro. Per Papandreu in formato elettorale volevano però dire innanzitutto il principio della sovranità nazionale da riaffermare in tema di difesa ('Resteremo in Occidente ma a modo nostro»). Anche qui Papandreu ha fatto marcia indietro, nonostante l'impennata d'orgoglio di alcune settimane fa, quando fu annullata la visita a Atene di Richard Buri, assistente segretario di Stato americano per gli Affari europei, per certe sue dichiarazioni ritenute troppo favorevoli ad Ankara. Il primo ministro greco tornerà insomma a negoziare 11 loro status nella speranza di ottenere mezzo miliardo di dollari in aiuti militari e mantenere, almeno sulla carta, la parità di forze con la Turchia. Mentre dunque Atene si appresta a ospitare la finale della Coppa dei Campioni, nelle stanze dei bottoni ereditate dal colonnelli si continuerà a sorseggiare bicchieri di ouzo e a tirare le somme di questa esperienza governativa altalenante. Papandreu ha già ribadito cosa pensa di se stesso: respinge l'accusa di trasformismo, niente remi in barca per 11 Pasok, si va avanti in nome della Realpolitik, a seconda delle esigenze. Per i suol critici, ed è sufficiente leggere la stampa locale, gli articoli di Kathimerini ad esempio, ciò vuol dire tuttavia «un passo avanti e due indietro». Piero de Garzarolli