Melotti, scultura in musica di Francesco Vincitorio

Melotti, scultura in musica A ROMA MOSTRA ANTOLOGICA DELL'ARTISTA OTTANTADUENNE Melotti, scultura in musica ROMA — Scherzosamente, qualcuno ha definito il 1983: «l'anno di Fausto Melotti». In effetti, per l'ottantaduennè scultore, è un'annata colma di riconoscimenti. Innumerevoli mostre in gallerie di mezza Italia e. adesso, questa vasta esposizione a Roma, alia Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea fino al 30 giugno. Un omaggio che conclude la triade delle sue grandi antologiche, incominciata nel '79 al Palazzo Reale di Milano e proseguita neil'Bi al Forte di Belvedere a Firenze. Un omaggio che, oltretutto, festeggia 11 suo completo ristabilimento, dopo un Incidente automobilistico, che aveva fatto temere per la sua vita. Una guarigione completa, tanto che diverse sculture esposte sono recentissime e, come sempre, piene di poesia. Questa mostra romana, però, è un po' diversa dalle altre. Più che un'antologica, si potrebbe definirla: una sua nuova opera, un suo nuovo lavoro. Il perché è presto detto. All'artista è stato consentito di allestirla a suo piacimento ed egli, che è piuttosto Insofferénte ai criteri storico-cronologici, da scultore-musicista come sempre è stato, si è attenuto soltanto alle regole contrappuntistiche. In sostanza, le opere sono state collocate nel due saloni come note sul pentagramma. Secondo segreti ritmi musicali che egli ha seguito con istinto e rigore. Teso, esclusivamente, a quella ideale «occupazione armonica dello spazio» che aveva teorizzato fin dal suo inizio, nel '35, alla Galleria del Milione a Milano. E, da allora,, è stata la sua idea-madre, generatrice di tutto il suo lavoro. Da ciò quel senso di organicità e armonia che si avverte visitando questa mostra. Una sensazione d'indefinibile, diffuso piacere estetico che si prova fin dal primo momento, davanti alla piccola sequenza di' disegni che apre l'esposizione. Nel loro insieme, una sorta di preludio. E il visitatore può cogliervi subito il motivo di base, la chiave di tutto. Una chiave con cui, facilmente, si comprende il significato delle opere — stavo per scrivere: note — poste- nel primo salone. Sono pochi esempi delle forme geometriche in gesso che egli ha fatto a metà degli Anni 30, le Sfere sospese dello stesso periodo, 1 misteriosi Sette savi del '37. E, accanto, alcune sculture filiformi del '69/70 dai titoli illuminanti o Ironici: Confrapnjtn to. Infinito, La superbia. L'osservatore è, subito, totalmente preso nel gioco melontano. Un gioco che, come egli stesso ha scritto, «quando riesce, è poesia». Una poeticità che nel successivo, grande salone sembra espandersi in tutte le direzioni, come un respiro. Nella penombra, mentre soffusi coni di luce illuminano le singole sculture o i teatrini. Vale forse la pena ricordare che questi teatrini l'autore 11 chiama Lìeder, «1 suoi canti brevi nati da una ispirazione improvvisa». Si ha la sensazione di essere all'interno di una gigantesca cassa armonica. Lo sguardo passa da un'opera all'altra come In un arpeggio. E la nota dominante è una lieve, ironica, e al tempo stesso malinconica, nostalgia di quello stato angelico, che è stata un'altra, costante aspirazione di questo artista. L'aveva confessato fin dall'esordio: «L'arte è stato d'animo angelico, geometrico. Esso si rivolge all'intelletto, non ai sensi». Poi, col passare degli anni, sempre più incline ad accettare anche i sensi. E a dar forma meno geometrica alle sue fantasie. Con più marcata. Su clda autoironia, con maggiore ricchezza d'umanità. Ne è testimonianza la sua predilezione, nel dopoguerra, per 1 materiali più umili. Fili metanici con le saldature in vista, brandelli di stoffe, materie effimere. Ancora la sua antica negazione della scultura tradizionale, la scelta della «modulazione» rispetto al «modellato». Ma con una leggerezza, una inventività, una capacità di ritrovare in sé la poesia di un «fanciullo saggio». Quella stessa, libera, sorgiva, creatività che, spesso, ha fatto venire in mente ai critici il nome di Klee. Una associazione mentale che, a mio parere, viene rafforzata, oltre che dalla mostra, dai risultati di una iniziativa a latere. Ossia un concomitante «laboratorio di scultura», organizzato in una sala adiacente. Nel quale lavorano gruppi di bambini, dopo la visita guidata alla mostra stessa. Essi hanno a disposizione i medesimi materiali poveri, usati dallo scultore e possono servirsene con la massima libertà. I risultati sono sorprendenti. Si tratta di lavori in cui, ad evidenza, il modello melottiano — come avveniva per quello di Klee alla Bauhaus—agisce come liberazione dai condizionamenti, per fortuna, in quell'età, ancora non consolidati. Vale a dire, sollecitazione alla fantasia, alla intelligente manualità e, soprattutto, ad una ricerca espressiva che investe il mondo più intimo e segreto del bambino. Un esperimento che mette in evidenza le possibilità d'insegnamento insite in un'arte come quella di Melotti. Come d'altronde aveva subito capito egli stesso durante la giovanile esperienza d'insegnante, dal 1928 al 1932. alla Scuola professionale del mobile di Cantù. In un testo di quel periodo traspare chiara la sua convinzione del valore didattico della sua ricerca. Non l'intenzione di creare una nuova accademia e fornire modelli precostituiti. Bensì un continuo stimolo ad investigare se stessi e «lo sforzo d'insegnare 11 piccolo eroismo di pensare col proprio cervello». Una lezione sempre valida. Francesco Vincitorio Fausto Melotti: «Teatrino antico» (1930-31, esposto a Roma) l

Persone citate: Fausto Melotti, Klee, Melotti

Luoghi citati: Cantù, Firenze, Italia, Milano, Roma