Come una bomba da disinnescare i debiti dei Paesi in sviluppo

Come una bomba da disinnescare i debiti dei Paesi in sviluppo A colloquio con Robert McNamara, ex «ragazzo prodigio» del governo Kennedy Come una bomba da disinnescare i debiti dei Paesi in sviluppo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE WASHINGTON — A due settimane dal vertice delie sette potenze industriali a Williamsburg in Virginia, il problema che più angoscia Robert McNamara non è la stabilizzazione dei mercati dei cambi, né i commerci Est Ovest. L'ex presidente della Banca Mondiale ed ex ragazzo prodigio del governo Kennedy ritiene che «la vera bomba ad orologeria piantata nelle fondamenta dell'economia moderna» sia l'indebitamento estero dei Paesi in via di sviluppo. Nella sede dell'«Overseas development counciU, l'ente da lui diretto, ammonisce che a causa di essi A sistemi finanziari e commerciali internazionali potrebbero crollare da un giorno all'altro». A parere di McNamara, mai l'Occidente si è trovato in una congiuntura cosi grave dopo la fine della seconda guerra mondiale. , Gli anni e le amarezze — come ministro della Difesa di Kennedy e di Johnson dovette addossarsi la responsabilità della guerra nel Vietnam — hanno ammorbidito il primo tecnocrate della politica americana. Un po' più curvo, un po' più calvo, con le lenti degli occhiali un po' più spesse che in passato, McNamara è oggi più propenso al pragmatismo che all'ideologia. Egli vede la scadenza di Williamsburg, il 28, 29 e 30 prossimi, come una pietra miliare nella lotta per la preservazione del benessere postbellico. «E' un'occasione da non perdere — osserva — forse l'ultima ette ci si presenta, di rilanciare i commerci, fugando lo spettro del protezionismo, e di consolidare le finanze-. Il suo consiglio è preciso: «Per prevenire il ristagno economico globale — asserisce — le nazioni occidentali devono ristrutturare i debiti del Temo Mondo è fornirgli nuovi crediti». . «La situazione è chiara, spiega McNamara più col piglio del finanziere che della testa d'uovo. L'indebitamento estero oscilla intorno ai 700 miliardi di dollari, quasi l'in¬ tero bilancio degli Stati Uniti. I Paesi più. esposti, il Messico, il Brasile, l'Argentina, il aie, l'Ecuador non sono in grado di ripagarlo: le loro rate vanno dal 116 al 180 per cento dei proventi delle loro esportazioni. Un secondo gruppo di Paesi ;— prosegue l'ex presidente della Banca Mondiale —, il Venezuela, la Colombia, il Perii è le Filippine, riuscirebbe a ripagarlo solo con enormi sacrifici: le loro rate rappresentano infatti il 90 per cento del loro export». Fa una pausa di riflessione: «Questi Stati devono essere messi in condizione di produrre di "più, il loro onere va alleggerito». Secondo l'ex ragazzo prodigio del governo Kennedy, il momento è favorevole. «Il calo del prezzo del petrolio e il declino dei tassi d'interesse negli Stati Uniti sono due buoni presupposti per una ripresa economica mondiale. Ma vanno sorretti da misure ad'hoc»; Bisogna che a Williamsburg le sette potenze industriali stanzino aiuti d'emergenza. «L'inazione sarebbe il più grosso dei peccati». McNamara ricorda che anche il suo successore alla Banca Mondiale, Clausen, è del suo parere. In un recente discorso ad Harvard, Clausen ha affermalo che le grandi banche devono mostrare un senso di responsabilità, verso il Terzo Mondo «e l'Occidente deve rilanciare i commerci. E' nel l'interesse comune — ha con¬ cluso Clausen —, l'interdipendenza di oggi non consente egoismi suicidi». Per il protagonista delle nuove frontiere kennedyane i casi del Messico e del Brasile, i massimi debitori internazionali, con 90 miliardi di dollari circa l'uno, riassumono il dilemma di tutti. Entrambi i Paesi hanno adottato una politica di austerità fino all'osso, dopo essere passati attraverso una massiccia svalutazione, oltre il 100 per cento quella messicana, oltre il 60 per cento, in più tappe, quella brasiliana. Il Messico, in particolare, il cui deficit l'anno scorso aveva sfiorato il 17 per cento del prodotto nazionale lordo, ha stretto la cinghia «fino a farsi mancare il respiro». Esso ha aumentato le tasse, dall'Iva all'imposta sul. reddito, ridotto drasticamente 1 pubblici servizi, tagliato le importazioni al punto da pareggiare la bilancia commerciale, nonostante la perdita di profitti del sub export principale, il petrolio. Né il Messico, né il Brasile, insiste però McNamara, sono capaci di farcela con le loro sole forze. Specialmente il Brasile, dove l'inflazione non accenna a diminuire (attualmente è del 115 per cento) non può permettersi di passare da una crescita oscillante tra il 7 e ni per cento In termini reali, come vantò negli Anni Settanta, a una, caduta del prodotto nazionale lordo. «Le incognite sociali e politiche, oltre che economiche — avverte l'ex presidente della Banca Mondiale —, sono troppe. L'Europa e gli Stati Uniti devono rendersi conto che ne vanno di mezzo il loro benessere e la loro sicurezza». Egli calcola che occorra una crescita di almeno 11 3 per cento, e quindi un afflusso di capitali regolare. Per quanto riguarda il Brasile, si parla di un'altra decina di miliardi di dollari nel prossimo triennio, la stessa somma da esso ottenuta negli ultimi 12 mesi per evitare la catastrofe. Ennio diretto

Persone citate: Clausen, Johnson, Kennedy, Robert Mcnamara