Cinque italiani contro l'assente Hinault di Gian Paolo Ormezzano

Cinque italiani contro l'assente Hinault Cinque italiani contro l'assente Hinault Dall'equilibrio potrebbe nascere una gara spumeggiante e uscire un vincitore buono per il duello col mattatore francese nel 1984 Comincia domani, con 8 chilometri a cronometro dentro Brescia, il 66° Gtro d'Italia. Cinque italiani corrono- contro Hinault che non c'è. Il francese ha visito l'anno scorso tornerà, per vincere, l'anno prossimo. Correre contro Hinault assente deve significare due cose: disputare un bel Girò in assoluto, così da non fare troppo rimpiangere le perfòrmances atletiche del Bernard; esprimere un valore italiano valido per un duello il prossimo anno contro il padrone del ciclismo mondiale a tappe. Icinque italiani sono: Saronni che ha vinto il Giro nel 1979, Battaglin che ha vinto il Giro nel 1981, Moser che ha fatto nove Giri sema vincerne mai uno, Contini che ha messo l'anno scorso per un po'la maglia rosa togliendola a Hinault, Baronchelli che ha cominciato perdendo il Giro per appena 12" contro Merda: (1974) e che da allora non ha mai fatto meglio. Saronni ha la maglia di campione del mondo sulle spalle, ha il Giro di Spagna, corso proprio per preparare il Giro d'Italia, nelle gambe. Ed ha pure gli abbuoni, lui che è velocista: 30" al primo, 20" al secondo, 10" al terzo, 5" al quarto, nelle tappe in linea. Dicono che ha pure l'età: ventisette, contro Moser e Battaglin trentadue, Baronchelli trenta, Contini venticinque. Diciamo pure che c'è una bella confusione; da non scambiare con la palpitante incertezza di buona memoria. Il Giro, 3915 chilometri sino al 5 giugno (conclusione a Udine), con due giorni dt riposo, non presenta grandissime salite, ma c'è la sensazione che questa possa essere l'annata buona dello scalatore Baronchelli, finalmente in una squadra tutta sua. E dopo un anno intéro di problèmi fisici pare rispuntare al massimo Battaglin, altro scalatore. Mentre Contini, che l'anno scorso attaccava e talora staccava Hinault in salita, quest'anno ha patito i cavalcavia del Belgio e poi in Romandia è andato a tossire. Resta Moser: l'anno scorso gareggiò in allegria e fu bravissimo, quest'anno c'è chi cerca di convincerlo che potrebbe vincere il Giro da gran vecchio, alla Gimondi 1976 (34 anni). Se lui ci crede, ci priva delle sue invenzioni giornaliere. Se non ci crede, non può proprio vincere il Giro. Manca Hinault, ma c'è tanto ciclismo stra¬ niero, sparpagliato nelle nostre squadre oppure raggruppato in formazioni dignitose. Corrono con stipendio italiano Prim e De Wolf (richiamato in extremis) e questo fa capire che ormai la loro squadra pensa poco al Tour. Sempre con nostro stipendio ci sono pure i due spagnoli Lejarreta, dei quali Marino secondo alla Vuelta dietro Hinault. C'è Van Impe (favorito paradossale -polemico» di Merckx: ha trentasette anni), c'è Braum, c'è Thurau che sta con Saronni, c'è Nilsson, vecchio svedese spesso piazzato al Tour. Pagati da soldi 'esteri' o al massimo sponsorizzati dall'industria però con impegno relativo sono gli spagnoli Alberto Fernandez, terzo alla Vuelta (e Pino, quarto), ci sono i belgi Hoste e Schepers, il norvegese Wilmann e lo svizzero Mutter, i francesi Bernaudeau (quello dello Stelvio 1980) e Villemiane. Il problema di questo Giro d'Italia comunque è anche psicologico: come collocarlo nel nuovo panorama sportivo italiano? Stanno cambiando molte cose nel nostro sport, cambiano tanti gusti, il calcio prende spazi sempre più ampi, irrompono altre discipline. Secondo taluni, il Giro d'Italia ormai deve puntare soprattutto sul dolce caro anacronismo del ciclismo, del ciclista mansueto e semplice. Secondo altri, proprio attraverso le sue prove massime, il ciclismo deve farsi moderno, aprirsi all'Est e all'Ovest, liberarsi dal cerimoniale antico, proporre campioni per i giovani, per le donne, a costo di inventarli spavaldi, sicuri, sfrontati. Questo Giro, che non ha grandi trovate geografiche, che non propone troppe montagne sacre, itinerari classici eccetera (la tappa dolomitica non vale certamente, come doping epico, la Cuneo-Pinerolo dello scorso anno), questo Giro sembra contare su un ciclismo moderno, frenetico, esentato dai pellegrinaggi ed esaltato dalle scoperte. Però temiamo fortemente che per questo ciclismo non ci siano tanti validi ciclisti. Il più forte di tutti, Saronni, non appare troppo voglioso di offrire un nuovo tipo di recitazione: forse pensa, e con una certa legittimità, ad amministrare la sua gloria sicura, piuttosto che a cercarne altra, nuova. Gian Paolo Ormezzano