Nabucco tutto Arena sta bene al Regio

Nabucco tutto Arena sta bene al Regio Successo dell'opera di Verdi con Nurmela Nabucco tutto Arena sta bene al Regio TORINO — Anche il Regio comincia a cedere alla tentazione del Verdi giovanile, di realizzazione meno impegnativa e rischiosa che 1 capolavori dell'età matura. Ci si accosta quest'anno partendo dall'opera più autorevole e famosa, quel Nabucco da cui ebbe inizio la parabola creativa del compositore. A curarne la realizzazione scenica ha chiamato il regista Renzo Giacchieri, autore due anni fa d'una buona regia dell'opera all'Arena di Verona (di cui è divenuto frattanto sovrintendente). Egli ha riportato qui le buone direttive riguardanti la recitazione dei cantanti, in parte gli stessi di Verona (la Baglioni come Fenena, Oaraventa come Ismaele). Per quanto riguarda il movimento delle masse, cosi importante in quest'opera, si è un po' autocastigato con le proprie scene, più esattamente con la propria scena, una specie di contenitore anonimo, buono a tutti gli usi, ora tempio ora reggia, ora ebraico ora babilonese, grazie allo spostamento di pochi arredi mobili. L'azione dello sgangherato libretto stenta ad acquistare evidenza, appiattita dall'uniformità dell'ambiente. Per esempio, nel terzo atto Abigaille è seduta sopra un piccolo sgabello nel punto più basso della scena. Ohi potrebbe capire • che ha usurpato 11 trono a Nabucco? Nel quarto atto, è indispensabile che un evento cosi intimo come il rinsavimento dell'impazzito sovrano e la sua conversione al Dio degli Ebrei avvenga nella solitudine d'una camera, o magari una cella dove lui dorme solo, agitato da incubi. Qui invece tutto ciò avviene in presenza d'un corpo di guardia, che dorme stravaccato sul gradini, indifferente alle smanie del vecchio. Sono i «guerrieri babilonesi» di cui è chiaramente prescritto che debbano entrare solo nella scena successiva, al seguito di Abdallo. Bella Invece la scena per 11 coro sulle sponde dell'Eufrate, ottenuta con la laboriosa eliminazione della parete di fondo del solito contenitore e con suggestivo assortimento di colori e di luci nella disposizione delle masse. («Va pensiero-, tradizionale momento di gloria del cori teatrali, ha dovuto essere replicato. Ma il coro, istruito dal maestro Fogliazza, ha operato ancor meglio nelle parti drammatiche). Come un'impressionante esplosione nelle tenebre è riuscito il fulmine che atterra il sovrano babilonese autoproclamatosi dio: ricordo diretto d'un avvenimento che doveva avere impressionato Verdi giovinetto, quando durante un temporale nella campagna bussetana un fulmine aveva Incenerito una chiesetta uccidendovi sette o otto sacerdoti ivi riparati, tra cui quello che anni prima lo aveva riscosso con un calcio nel sedere quando lui s'era incantato nel servir messa, e lui gli aveva augurato di finire esattamente di quella fine. Invece il crollo sponta¬ neo dell'idolo di Belo nell'ultimo atto è decisamente una cattiva trovata di Solerà, suggerita da un versetto del Libro di Geremia: riesce sempre un po' ridicolo, oltre che inesplicabile. L'esecuzione musicale riprende sostanzialmente quella di Verona attraverso la presenza dell'esperto direttore Maurizio Arena; qui' ricevendo dalla severità della scena un andamento più compassatamente oratorlale. Il protagonista, che a Verona era Bruson (e lo sarà anche qui per alcune prossime recite), è il finlandese Karl Nurmela, autorevole voce probabilmente di basso più che di baritono, e sebbene il confine tra i due registri sia spesso cosi incerto come quello fra la Cina e la Mongolia sull'Ussurl, tuttavia può darsi che a questo fatto si debbano addebitare alcune passeggere difficolta nei residui di belcanto che curiosamente Verdi ha lasciato nella parte. Il basso Bonaldo Glaiotti lo fronteggia molto bene nelle vesti di Zaccaria, •gran pontefice degli Ebrei-, e Bruno Marangoni «gran sacerdote di Belo», è la terza delle voci di basso che tendono a tirare l'opera in cantina (fatto che a Verdi occorrerà in seguito molte altre volte, con record assoluto nel Simon Boccanegra). Qui la zona alta del regi stro vocale e ben difesa dai due reduci dell'Arena, il te nore Ottavio Garaventa e il soprano Bruna Baglioni, nelle pallide figure di Ismaele e Fenena, e dal soprano Olivia Stapp, à cui sta a pennello, specialista com'è in parti di «cattiva grintosa, il personaggio drammatico di Abigaille. Il secondo tenore Gianpaolo Corradi e il terzo soprano Maria Grazia Piolatto completano degnamente Tot tetto vocale. L'esecuzione si è svolta nella soddisfazione generale, con applausi frequenti anche a scena aperta. Massimo Mila Karl Nurmela e Olivia Stapp: follia e conversione di Nabucco

Luoghi citati: Cina, Mongolia, Nabucco, Torino, Verona