Oggi si apre il per la tragedia di Seveso

A Monza, sette anni dopo il disastro della nube tossica A Monza, sette anni dopo il disastro della nube tossica Oggi si apre il per la tragedia di Seveso Ora Fogar marcia spedito il Polo è a 250 chilometri Imputati vari dirigeletti, assassinato da SEVESO — Palizzate di plastica giallo squillante. 11 colore della bandiera che nella marineria indica epidemia a bordo sono il solo segnale esteriore della tragedia ecologica abbattutasi il 10 luglio del 1976 su questa cittadina della bassa Brianza nota, sino allora, nel circondario per i suoi mobili. Da quasi sette anni, in tutto il mondo, il nome Seveso evoca ben altro: nube tossica, diossina o più correttamente Tcdd, i volti delle sorelline Senno devastati dalla cloracnc e, soprattutto, paura. Il fatto: pochi minuti dopo le tredici di una giornata caldissima. Nello stabilimento Icmesa di Meda, di proprietà del gruppo svizzero Hoffmann-La Roche la valvola di sicurezza di un reattore salta. Il prodotto che doveva rigorosamente rimanere all'interno si spande nell'aria e spinto da una brezza leggera atterra nel territorio del comune contiguo: Seveso, appunto. Non scatta nessuna emergenza. Non vengono lanciati allarmi. Ma nella fabbrica Icmesa sanno bene quel che è avvenuto e avvertono la casa madre che invia sul posto i suoi tecnici perché indaghino con molta discrezione sulle conseguenze dell'incidente. Ci vuole qualche giorno prima che cominci una imponente moria di animali accompagnata dai segni della cloracnc sul corpo di parecchie persone. Il Comune chiede spiegazioni alla fabbrica e la risposta è quasi immediata: fate evacuare 5000 persone. Di questo, di quel che segui, si parlerà da oggi al tribunale di Monza in un processo che prevede come capi di accusa il disastro colposo, le lesioni, l'omessa cautela contro gli infortuni sul lavoro. Imputati Herving von Zwehl, responsabile tecnico della Icmesa. Giovanni Radice, responsabile dei sistemi di sicurezza, Jòrg Antorféanìbeth, diretto^ re tecnico del gruppo inda striale. Guy Waldvogel, presi dente del consiglio di amministrazione della Icmesa e Fritz Meori. responsabile della progettazione e dell'impiantistica dell'azienda all'epoca della costruzione del reattore. Ci doveva essere un altro impu tato. Paolo Paoletti. direttore di produzione dello stabilimento, ma il 5 febbraio del 1980 gli assassini di .Prima li nea» lo hanno atteso vicino a casa, a Monza, e lo hanno ucciso. Evacuata la popolazione, la Regione Lombardia si trovò davanti ad un compito per il quale forse non era preparata. L'impressione che forni fu quella di un procedere a tentoni, fra dichiarazioni rassi curanti e iniziative allarmanti. Fu consentito alle gestanti che temessero malformazioni ai bimbi che portavano in grembo di abortire. In seguito però furono tenuti nascosti 1 dati che provavano come nella zona di Seveso le malformazioni erano drammaticamente aumentate. Anche per tracciare una mappa del territorio effettivamente inquinato dal Tcdd ci furono parecchi problemi: la mappa tra il riserbo delle fonti ufficiali < la paura della gente ogni gior no cambiava forma, si allargava o si restringeva forse anche a seconda degli interessi politici di chi parlava. Poi i lavori: le case, solo quelle delle zone marginai mente colpite, lavate con ac qua e sapone e restituite agli abitanti. Il terreno grattato via e portato altrove su camion che lo perdevano per la strada. Infine, piano plano, la vitare qposvatQcesssarquasarrà fso? sa. sullsopmagnaminda nubquaGiumeAlRavrsemdelne»ziavecRotrariaitacusre. riuCloOcognscugiumain uo(dastrmostistrgrugitrsdns«Lmgqlsrevs genti dell'Icmesa e da Prima Linea il 5 dfvita che comincia a riprendere quasi normale, i campi che possono essere di nuovo coltivati. Quando sarà finito il processo, quando i danneggiati saranno stati tutti risarciti, quando gli eventuali colpevoli saranno stati condannati, sarà finita la tragedia di Seveso? Il terribile è che non lo si sa. Per conoscere gli effetti sulla popolazione residente, soprattutto in termini di formazioni cancerogene, bisogna attendere, bisogna cominciare a contare a partire da dieci anni dopo che quella nube usci dalla Icmesa. da quando, come disse il -prof. Giulio Maccacaro, fu commesso un «crimine di pace». Marzio Fabbri Assemblea (c della Givaudan - Avrebbe dovuto esserci anche Paolo Paofebbraio 1980 - Una palizzata gialla intorno alla zona colpita te nell'Atlantico, a circa 700 chilometri dalle coste spagnole. Secondo il giornale il governo italiano chiese a suo tempo all'Organizzazione marittima internazionale (ente con sede a Londra e riconosciuto dalle Nazioni Unite) di indicare una possibile destinazione della sostanza tossica. L'Organizzazione marittima indicò, appunto, la zona dell'Atlantico nella quale vengono normalmente fatti affondare i residui radioattivi esausti degli impianti nucleari. Sul mistero dei 41 fusti la polemica continua intanto ad infuriare sia in Francia, sia in Germania, cioè nel Paesi attraverso i quali la diossina dovrebbe essere passata. ) ieri a Roma A questo problema è stata dedicata l'altra sera la popolare trasmissione televisiva francese •Droitdc reponse». I lati oscuri della vicenda non sono stati chiariti come invece era nelle speranze dei conduttori della trasmissione. L'ecologista Katia Kanas ha tra l'altro tentato di ammanettare davanti alle telecamere 11 senatore italiano Luigi Noè, presidente della commissione speciale per Seveso, che era stato Invitato Il ministro per la Protezione civile, Loris Fortuna, ha da parte sua annunciato un intervento presso i dirigenti della ditta di trasporti Man■nesmann per conoscere l'esatta destinazione delle scorie. Dopo che un aereo lo ha portato via dall'isola PRENOTA LA TUA Spera di raggiungere il traguardo nei primi giorni di maggio Salvato l'inglese che lo aveva sfidato: ha rischiato la follia nc 11 innocenti! 1 y i Jà*. I 1: II'sogno che Ambrogio Fogar ha cullato per tanti anni sta diventando realtà. Fra poche settimane, lui dice addirittura ai primi di maggio, il navigatore milanese dovrebbe raggiungere il Polo Nord. E sarà il primo uomo al mondo che avrà compiuto da solo a piedi, con un cane e una slitta; questo tragitto infernale. Dal campo base di Resolute Bay, nel Nord Canada, Claudio Schranz, l'alpinista di Macugnaga che tiene i contatti aiutandolo in questa impresa, ieri sera ci ha telefonato entusiasta: «Ormai sono spariti tutti i dubbi. Quello ci riesce davvero, a dispetto degli increduli. Gli mancano circa 250 chilometri e va avanti spedito, masticandone 15-20 al giorno». Sei giorni fa il tentativo In questo quadro apocalittico, a mezzanotte in punto sotto il sole (ormai sull'Artico non tramonta più) l'italiano con il cane Armaduk e la slitta, è stato trasportato una ventina di chilometri in senso laterale, sulla banchisa polare, dove ha" ripreso immediatamente la marcia. Dice Schranz: «Era abbastanza abbattuto, non tanto dalla fatica, quanto per la necessità di ricorrere al mezzo aereo». Un fuori programma che forse scalfisce il tema iniziale di quest'impresa: un uomo e un cane al Polo. Ma Fogar non ha avuto alternative: tornare a casa o utilizzare l'aereo per proseguire. «Poi si è rinfrancato — aggiunge Schranz —. Gli ho portato una scatoletta di spaghetti e certamente al Polo Nord non se 11 aspettava». Adesso la radio è sempre accesa al campo base di Resolute Bau e t contatti sono più frequenti anche se la voce di Fogar arriva meno nitida. Il marciatore ha di fronte un pack abbastanza levigato e su questa «autostrada di ghiaccio» vuole compiere lo sprint finale. Per farlo suddivide la sua giornata in tre parti: otto ore di cammino, otto di riposo e le altre otto ancora di marcia. Ha sostituito anche le salmerie alleggerendosi con una tenda e un sacco a pelo più sottili, si è disfatto di alcuni generi di conforto. Il peso della slitta è sceso da HO chilogrammi a 70. La marcia è adesso diventata quasi una corsa. Tanto più solitaria perché l'inglese David Adams, che aveva lanciato una sfida a Fogar, si è ritirato. L'hanno trovato ieri gli aerei di soccorso sotto la tenda: è contuso a una costola, congelato a un orecchio e risponde in maniera incoerente. I medici gli hanno diagnosticato un esaurimento fisico, ma soprattutto mentale. Solo nella bufera, ha rischiato, insomma, d'impazzire. Fogar, forse più allenato ai lunghi isolamenti in mare, sta resistendo a quest'inferno. Jà*. 1 sembrava sul punto di naufragare. Stremato dalla fatica e bloccato dalla bufera, Fogar era stato sfiorato dalla tentazione di ritirarsi. Il pack sul quale camminava si era staccato dal resto della banchisa polare e scivolava indietro on-' dando alla deriva, in direzione Sud-Ovest, verso l'Alaska, una posizione completamente opposta al traguardo. Accerchiato dal Blizard (il forte vento dell'Artico che porta la temperatura anche a 70 sotto zero), il marciatore italiano è stato sul punto di cedere. Per un'incredibile analogia, Fogar è venuto a trovarsi nella stessa situazione di alcuni anni fa, quando, durante la traversata atlantica, rimase isolato 74 giorni alla deriva su una piccola imbarcazione d'emergenza. Ma questa volta la zattera era di ghiaccio e la superficie si scioglieva lentamente nel mare per un imprevisto mutamento della temperatura. Per una settimana l'esploratore ha resistito in questa situazione terribile, sotto la tenda divelta due volte dalla bufera, sino a quando Schranz e un pilota sono arrivati con un piccolo aereo dal campo base. «E' stato un intervento molto difficile—racconta l'alpinista novarese —. Abbiamo dovuto aggirare la zona della bufera passando attraverso la Groenlandia. Ogni tanto dovevamo compiere veloci inversioni di rotta per evitare raffiche tremende. Finalmente siamo riusciti ad atterrare sull'isola di ghiaccio: tutto intorno traballava, Fogar aveva l'acqua alle caviglie». Presenta all'Excelsior un suo libro Azienda vinicola offre in zona turistica gestione primario complesso