II temerario che filma Proust di Bernardo Valli

II temerario che filma Proust SARA' LA PRIMA VERSIONE DELLA «RICERCA DEL TEMPO PERDUTO» II temerario che filma Proust DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — Una matto invisibile, forse divitia, senz'altro saggia, ha impedito per mollo tempo a produttori e registi di trasferire sullo schermo Alla ricerca del tempo perduto. Ora quella mano provvidenziale, probabilmente slanca, esausta, si è ritirala. La via è libera. E' un tedesco, un po' barocco, in apparenza non certo un proustiano di razza come Luchino Visconti, ma un tedesco impregnalo di cultura francese, Volkcr Schloendorff, il regista che tenterà l'impresa. E Ita fretta. Ne ha tanta, come se volesse recuperare i decenni sciupali dai suoi colleghi con pretesti finanziari, nostro avviso benemeriti, con litigi giudiziari, altrettanto encomiabili, o con incertezze, indugi culturali, più die mai legittimi. Schloendorff ha fretta percìxé teme forse, con ragione, di perdere l'occasione che prima Visconti e poi Losey, senza contare altri registi meno noti, non hanno potuto (o sapulo, o voluto) cogliere nell'ultimo mezzo secolo. Il 2 maggio comincerà a girare il film a Parigi e nei dintorni, in luoghi che cercherà di tenere segreti per non essere scocciato. La prima traduzione cinematografica della Ricerca dovrebbe essere presentata al Festival di Cannes, nel 1984. Schloendorff non ricostruirà l'intera cattedrale proustiana, con tutte le sette navate, si limiterà a una vetrata, a un medaglione, in verità tra ì più belli: Un amore di Swann, / 'ampio episodio centrale di La casa di Swann, la prima delle sette parti. Altri dopo di lui potranno continuare la trascrizione cinematografica di quella evocazione — non descrizione — del passalo die è La ricerca. Quella specie di caccia al tesoro, in cui il tesoro è il tempo e il passato il nascondiglio, come spiegava il professor Nabokov ai suoi alliein della Cornell University, può offrire un numero di episodi sufficiente per appagare, e magari disonorare, parecchie generazioni di registi affamati. Schloendorff sta per spezzare l'incantesimo. Dopo di lui altri oseranno. Alla fine la cattedrale proustiana assomiglierà, nella sua versione cinematografica, a una di quelle chiese bastarde die secolo dopo secolo hanno assorbito tutti gli stili. Una navata romanica, una facciata goti- ca, un altare barocco. Qualche volta il miscuglio è riuscito. Chissà, si potrebbe arrivare a uno stile Proust-Mudejar. Il progetto di Luchino Visconti era più ambizioso. La sceneggiatura che aveva preparalo con Suso Cecchi D'Amico abbracciava quasi l'intera Ricerca, e doveva offrire in quattro ore, probabilmente in due puntate, un Proust un po' balzachiano. Lui stesso lo disse nel corso di una conferenza stampa, nel febbraio del 1971. Il suo film non sarebbe stato soltanto un romanzo della memoria, ma l'affresco di tutta una società, di un'epoca corrotta nella quale nulla si salva, né l'amicizia, né l'amore, né i rapporti umani più normali. Dodici anni fa Visconti annunciò a Roma die avrebbe cominciato il film sei mesi dopo, in luglio. Ostacoli finanziari, altri impegni (Ludwig;, insomma quella mano invisibile, nel suo caso non provvidenziale visto il seguilo della storia, gli impedirono di realizzare il progetto. Tra polemiche e qualche insulto, Joseph Losey raccolse la sfida e affidò a Harold Pinler il compito di preparare una nuova sceneggiatura. Dino De Laurentiis, che doveva essere uno dei produttori e che non era certo un proustiano, la trovò «troppo piena di scene retrospettive», di flashback, si stupì e si irritò per tutte quelle scorribande di Marcel nei ricordi, per quei giochi condotti tra lo spazio e il tempo, e chiese che il racconto venisse semplificato. Non voleva troppe contorsioni della memoria. Un esercizio vogatici souvenirs. Desiderava una storia lineare. Un lettore die punta ai fatti, alla trama (un lettore «terra terra» dice il prof. Nabokov) può finire squartato dai propri sbadigli nell'insci guire le ramificazioni e le alleanze delle famiglie dell'aristocrazia, e gli arrampicamenti sociali di madame Verdurin e di Odelte de Crécy, e le interminabili cene e ricevimenti, die durano 150 pagine o mezzo volume, nella Parigi della Terza Repubblica e del- lsM la Belle Epoque, nella Parigi soprattutto di Proust. Poi la mano imnsibile intervenne puntuale anche per Losey e Pinter. L'Unprcsa saltò. Schloendorff adotta ora la tattica migliore. Il silenzio. Sta zitto. Ha scritto lui stesso la sceneggiatura di Un amore di Swann ed evita rivelazioni sui suoi collaboratori, non fa confessioni e annunci. Il regista tedesco, uno dei primi della classe della scuola di Monaco, ha già portato sullo sdiermo numerose opere letterarie: I turbamenti del giovane Torless di Musil, Baal di Ilrecht (per la tv), Il tamburo di latta di Grass. E ancora Von Kleist, la Yourcenar, Heinrich Boll. Ma Proust *è un'altra cosa*, anche se Brecht diceva che si può entrare nei capolavori, in tutti, senza distinzione, come in un mulino. E' quel che pensa anche Bertrand Poirot-Dclpcch, critico letterario di Le Monde, il quale aiuta a superare le reticenze die conducono istintivamente a rimpiangere la mano invisibile, alla quale si deve finora la verginità cinematografica di Proust, ossia l'incolumità della lettura. Una cuccia, una tana, quest'ultima, da cui uno non vuole essere cacciato o disturbato da mia tribù di atto-, ri troppo noti e dagli umori di un regista, ancìve se bravo e celeberrimo. Come e perdié tradurre in immagini i flussi e i riflussi della memoria, le trasmutazioni delle sensazioni in sentimenti, scene e personaggi inevitabilmente spogliati delle metafore e dei paragoni, die costituiscono il prisma attraverso il quale si scopre la bellezza dell'opera di Proust? Come raccontare un episodio senza collocarlo nella prospettiva dell'intera Ricerca? Il critico letterario parigino fa capire die queste reticenze sono scioediezzc. Si, stupidaggini. Dice: «Non ci sono sacrilegi: Non ci si può atteggiare a guardiani del museo». 15 comunque nessuno si aspetta un Proust cinematografico, avremo semplicemente un film di Schloendorff. Come del resto avremmo avuto un affresco di Luchino Visconti. «E io l'avrei preferito a quello di Losey e senza dubbio alcuno a quello di Schloendorff», precisa Poirot-Delpech. Claude Mauriac è dello stesso parere. Anche lui avrebbe preferito Visconti a Losey e a Schloendorff: «Vi sconti si che era un proustiano!». Mauriac è figlio dell'autore di Thérèse Desqueyroux ed è lui stesso scrittore. Ha sposato una nipote di Proust, Mante Proust, ed è stato per trent'anni critico cinematografico. Dice: «Avremo un'opera di Schloendorff, non quella di Proust, non potrebbe essere altrimenti. In tutti i modi è saggio, ragionevole, •tradurre La ricerca per episodi. Si può avere una vetrata cinematografica, non l'intera cattedrale». Ma Visconti non voleva tentare l'insieme? «Beh, allora avremmo avuto una cattedrale di Visconti, che sarebbe stata la migliore cinematograficamente. Ma non quella di Proust». Un amore di Swann comincia nel salotto dell'ospi¬ tale signora Verdurin. regina nella malignità e nell'intrigo, che a ogni matrimonio covipie un salto sociale, passa di casta in casta, fino a diventare in terze nozze moglie del principe di Guermanles. Ma Schloendorff dovrebbe, limitarsi alla Verdurin borghese. /suoi tempi sono stretti. Il seguito della storia l'erra forse assegnato ad altri registi. Madame Nicole Stéphane, nata Rolschild. che ha i diritti cinematografici dell'intera opera, gli ha dato l'episodio della passione del decadente, raffinato Swann. specchio deformante di Marcel il narratore, per la vuota e scaltra Odette, che riccue i suoi infimi prima in vesti da camera giapponesi, e poi. con maggior raffinatezza, avvolta nelle sete chiare e spumeggianti degli accappatoi Watteau. E il colto, geloso Swann. che pensa a un saggio su Vermeer di Delft che non scriverà mai, le scopre i tratti della Sefora di Batticela nella Cappella Sistina. Una passione die più tardi farà capire la I passione del narratore per Albertine. Ma Schloendorff si deve fermare ali Odette non ancora moglie di Swann e ancor meno moglie del marchese di Forcheville. Non deve andare oltre. Il regista tedesco non può che ritagliare, mutilare i personaggi. Del resto non potrebbe neppure rappresentarli nell'intero arco della loro vita. La cattedrale, l'abbiamo detto, non gli è consentila. Gli spetta una miniatura, in realtà gigantesca. Come Odette, giovane e cocotte, che fa spasimare Swann, ha scelto Ornella Muti. Un'incarnazione clic fa sobbalzare. Si disse a suo tempo die Brigitte Bardot si fosse proposta a Visconti. Ma nella versione viscontea la parte della fresca Odette era breve. In quella di Schloendorff è invece importante. Charles Swann sarà Jeremy Irons, protagonista di La donna del tenente francese e di Brideshead rivisited, il film televisivo apuntate tratto dal libro di Evelyn Waugh. Se lu Mutì-Odette lascia perplessi, per evidenti molivi, Irons-Swann appare al contrario quasi perfetto. Ma si possono far combaciare dei volti tanto noti con quelli segreti, che ciascuno si è costruito da solo? Spesso con inadornali abusi? Charlus, il barone Palamede de CHarlus, fratello del duca di Guermaiites, Meme per gli amici, personaggio modellato in gran parte sul conte Robert de Montesquiou, scrittore contemporaneo di Proust, di cui Baldini dipinse un divertente ritratto. Charlus dunque sarà interpretato sullo schermo da Michael Longsdale. La parte era stata offerta a Michel Piccoli, ma l'ha rifiutata. Forse perclié nell'amore di Swann il ruolo di Charlus è modesto. Forse pcrclié non sei è sentita di essere coinvolto in una trascrizione cinematografica della Ricerca. La reticenza di fronte all'impresa è al tempo stesso comprensibile e inutile. Ma c'è anche una morbosa perfida curiosità. Come non covarla? Il barocco regista tedesco alle prese con la .piccola frase- della sonata di Vinteuil-Franck. che ritorna all'orecchio di Irons-Swann e die ogni volta gli ricorda l'infelice amore con la Muti-Ode t te. E'una incenda tutta da seguire. Bernardo Valli Parigi, 1897. Proust, al tennis del Racing, mima una serenata a Simone de Caillavet, che sarebbe diventata moglie di André Maurois

Luoghi citati: Cannes, Parigi, Roma