C'è un poeta in distilleria di Sandro Doglio

C'è un poeta in distilleria Viaggio nel mondo della grappa fra passato presente (e polemiche) C'è un poeta in distilleria Nell'antro di Romano Levi sulla collina di Neive a pochi chilometri da Alba, nasce una delle grappe più celebri d'Italia - Viene preparata con il metodo antico delle vinacce che bollono a fuoco diretto - La produzione è poca: qualche decina di litri al giorno e non può far certo fronte alle moltissime richieste DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE NEIVE — Varcata la soglia del portoncino basso e buio, l'impressione è di fare un salto indietro nel tempo, lasciando alle spalle la prepotente primavera delle Langhe per entrare in un piccolo mondo, a meta fra l'Irreale e il tramontato. I muri portano pesanti tracce degli anni; il legno delle botti, del torchio, delle travi, ha il colore dell'usato; 11 rame del distillatore ha una patina antica con sfumature verdognole; il contatore sigillato dalla Finanza è ancora di quelli che l'Impero austro-ungarico dava all'Italia come quota dell'indennizzo dei danni della prima guerra mondiale. Fuori l'aria profuma di violette e canta la capinera, qui dentro borbottano le vinacce sotto pressione e nell'aria si diffonde un intenso odore di alcoli e di vino. Siamo nell'antro di Romano Levi, sulla collina di Neive, a pochi chilometri da Alba. Qui nasce una delle grappe più celebri d'Italia, una delle poche che ancora si prepara no con il metodo antico delle vinacce che bollono a fuoco diretto, e se non stai attento bruciano e mandano tutto al la malora. La produzione è poqa, qualche decina di litri al giorno, «caricando» due, anche, tre volte il vetusto alambicco. Ogni «cotta» dà un prodotto diverso, che non dipende soltanto dalla qualità delle vinacce, ma anche dal fuoco, dal tempo, dalla manualità di certi comandi a rubinetto, perfino, forse, dall'umore di chi riempie l'alambicco e dirige il movimento del vapore saturo di grappa fra serpentine, piatti, ricadute. Romano Levi la imbottiglia a mano, con etichette che continuano a portare il nome di suo padre Serafino, ma che sono scritte e disegnate a mano, con il vecchio pennino e l'Inchiostro di china. Il successo, insomma, di un artigianato tradizionale quasi dappertutto soppiantato dal' l'industria: se fa storcere il naso al concorrenti e se alimenta critiche e polemiche, non sembra aver distolto dal suo tran-tran quotidiano Levi il quale, pur avendo appena SS anni, da quasi quaranta ogni giorno accende personalmente il fuoco, carica e scarica vinacce, controlla la grappa, la etichetta, la imbottiglia, senza pensare di ampliarsi o di trasformare la sua vecchia azienda. Lui, con 11 suo aiuto Fiorentino Alitilo, chiamato «Fiore da Marcorlno», a cui si aggiunge nel pieno della stagione un altro robusto contadino langarolo, Francesco di Pamparato. In un altro stanzone della vecchia cascina, zeppo di carte, etichette, cartoni, erbe, bottiglie piene e vuote, libri e giornali, e una collezione di civette intagliate in ogni tipo di materiale immaginabile — l'unica passione di Levi — c'è poi la sorella di Romano, Li' dia, che con dolce sorriso mette ruta, assenzio, menta o 11moncina in certe bottiglie, in- colla etichette, controlla i turaccioli e aluta Romano a inventare i nomi delle loro grappe. Tutto qui. Non c'è telefono, né nome sul cancello rosso che si affaccia sulla strada. La «ditta» non ha negozi, né agenti, né rappresentanti, né bilancio per la pubblicità. Ma per molti qui nasce una delle migliori grappe d'Italia, in ogni caso una delle piti conosciute e ambite. In un viaggio nel mondo della grappa, la tappa a Neive dai Levi è d'obbligo. E' un po' come risalire alle origini di questo distillato, per ritrovarne la storia e l'impronta più genuina. Il padre di Romano, Serafino, veniva da una famiglia e da un paese di distillatori; era nato a Fraclscio di Campodolcino, un paesino non lontano da Chiavenna. Romano Levi ricorda quando distillando le vinacce si sfruttava ogni più piccola possibilità di sottoprodotto. «Lo vite è un po' come il maiale, nulla va perduto». Ed elen ca: dall'uva si ricava il vino; da quel che resta (le vinacce) si distilla la grappa; a operazione ultimata, si setaccia ciò che è rimasto nella caldaia e si recuperano i semi dell'uva, che spremuti danno un eccellente olio alimentare (olio di vlnaccioll), pregiato oggi soprattutto in campo farmaceutico. I residui solidi vengono pressati, si formano dei pannelli che dopo seccati possono essere bruciati e forniscono energia ampiamente sufficiente alla distillazione stessa; le parti liquide sono lasciate depositare e formano dei bel cristalli rosa — «lunghi cosi» dice Levi, allargando pollice e indice — che sono il cremortartaro. Romano Levi, nel suo minuscolo laboratorio di Neive, continua imperterrito invece il ciclo naturale: raccoglie le vinacce che gli portano i vignaioli della zona (ed è zona di Barolo, Barbaresco, Nebbiolo...), le conserva in grandi buche, schiacciandole bene •con gli scarponi» e seppellendole sotto un metro di sabbia per impedirne la fermentazione e l'acetlficazione. Poi le lavora a poco a poco, distillandole al fuoco fatto esclusivamente con i pannelli compressi e secchi di vinacce esaurite: ..All'inizio della stagione, dice, ho bisogno di un \fiammifero, di un foglio di \giornale e di gualcite ramo ben secco di vite, per cominciare il fuoco. Poi si fa tutto con i pannelli: fanno fuoco in quantità e producono una brace che si conserva anche due otre giorni: Passione? Dicono che io ho passione per la mia grappa, ma secondo me non è vero. Io faccio questo lavoro perché me lo sono trovato in casa quando ero ragazzino, e cerco ài farlo bene, ecco tutto. Sono anche ignorante: non saprei dire esattamente tutto dei gradi, dei vapori, del raffreddamento; l'impianto è stato fatto da gente che se ne intendeva e ogni tanto faccio venire degli ingegneri per controllarlo. Ho sentito parlare di "testa" e "coda" della grappa dai caroselli alla televisione, io lavoro con istinto, con esperienza, non sui libri. Dicono che le mie grappe sono buone: spesso definirle a volta a volta morbide, oppure secche, oppure aromatiche; allora le assaggio per cercare di capire che cosa ci trova la gente. Ma la verità è che la grappa nasce un po' come vuole. In certi giorni qui dentro si sente odore di pane, oppure di panettone, addirittura di uova di Pasqua, oppure anche di formaggio: è la grappa che sprigiona i suoi profumi, capricciosa, impossibile da prevedere e da guidare». — Romano Levi, mi vende due bottiglie della sua grappa? «Due non posso, non le ho. Proprio perché è lei, e perché è venuto fin quassù-, gliene posso dare una. Provi a ripassare fraseimesi...». Sandro Doglio

Persone citate: Nebbiolo, Romano Levi