A ROMA QUALCUNO VORREBBE DISTRUGGERLO

Difendo l'Altare della Patria A ROMA QUALCUNO VORREBBE DISTRUGGERLO Difendo l'Altare della Patria La distruzione di monu¬ menti, anche tra i più insigni progettata e condotta a fini politici, è cosa vecchia quanto il mondo. La carica simbolica di certi edifici, come i Palazzi reali di Persepoli, o di certi luoghi, come l'Acropoli di Atene è stata la prima causa che ha attirato su di essi, rispettivamente, il fuoco di Alessandro Magno e la furia dei Persiani: di esempi del genere è piena la storia. Ce da dire che, in epoche di sottile scaltrezza politica, chi nutriva 0 portava a termine disegni dai quali venivano annientati grandi monumenti architettonici (se non anche interi quartieri urbani) si giustificava invocando necessità di vario genere, a loro volta convogliate a fini di propaganda. Quando gli Imperatori della dinastia Flavia decisero di eliminare la Domus Aurea, l'immensa reggia costruita da Nerone, lo fecero col pretesto che rale complesso ostruiva il centro di Roma: in realtà l'operazione serviva a fini ideologici e propagandistici, concedendo al popolino di riappropriarsi (come si direbbe oggi) degli spazi sottrattigli dal tiranno (i bagni della reggia furono aperti al pubblico divenendo le Terme di Tito, mentre il lago nel parco venne prosciugato e la sua arca occupata dal Colosseo), ma al tempo stesso segnando una decisa trattura con l'acculturazione in senso ellenistico tipica del periodo neroniano. Altre volte, pretesti di sicurezza furono avanzati a mo' di giustificazione: come quando 1 Genovesi, per punire e tener buona la rivale Savona, fecero tabula rasa della vetusta Cattedrale e di un intero quartiere ricco d'arte e di memorie, innalzando sul suo luogo la mi nacciosa fortezza del Priamar, a come fece Paolo 111 a Perù già radendo al suolo la magni fica dimora dei Baglioni. ** Tuttavia sono stati moven ti religiosi a provocare le più spietate • distruzioni di edifici illustri;; opere d'arte, tesori insostituibili: c'è da allibire leggendo i resoconti delle distruzioni operate nei moti prote stanti del Cinquecento in In ghilterra. Olanda, Germania e altrove, quando immensi roghi e folle armate di sassi martelli annientarono in poche ore quadri, codici miniati statue, vetrate di intere regioni. Una simile furia iconoclasta trova riscontro soltanto nei Taiping, il movimento cri stiano cinese che nell'Otto cento arse innumerevoli ma noscritti miniati e dipinti pre ziosi. In Europa una ripresa ana Ioga è segnata dalla Rivoluzio ne Francese, dalla secolarizza zionc e laicizzazione del pcn siero, per cui gli impulsi religiosi vennero trasferiti alla politica. Così, roghi di giorni e giorni incenerirono ad Avi gnonc nel 1793 i polittici di Simone Martini, di Lippo Mcmmi e del Giovannetti, così sforzi immensi vennero in canalati per demolire non dico le splendide statue dei Re d' Francia a Parigi (cosa ben concepibile e, in un certo modo, giustificabile) ma enormi complessi murari come l'Abbazia di Cluny La carica simbolica ha con tinuato a provocare illustri vittime in età moderna, anche dopo la nascita delle scienze storiche: le Tuìlerìes di Parigi furono eliminate dopo il 1870 dalla Troisième République qual emblema del potere monarchi co e imperiale, mentre nel 1950 i governanti di Pankow non esitarono a far saltare con la dinamite lo Scbloss di Beri no, il massimo monumento del Barocco tedesco, anche se suoi gravi danni di guerra potevano essere riparati Ma nella storia d'Europa non' si era mai visto un caso come quello odierno, quando si lancia il progetto di elimi nare un colossale monumento non per ragioni ideologiche, ma per principi estetici: una sòrta di caccia all'orrore sostie ne il principio di demolire Vittoriano di Roma, l'immen so Monumento a Vittorio Emanuele II, detto anche Altare della Patria. La proposta, apparsa su Messaggero di Roma del 15 febbraio, si deve a Giancarlo Bu siri Vici, presidente del Consi glio Nazionale degli Architetti; è stata poi ripresa e discussa in vari interventi nello stesso quotidiano, ad esempio il p 17 e il 28 febbraio, e nctt'Fj/ropeo del 10 marzo. La proposta non è nuova; l'aveva già inventata una decina di anni fa Leonardo Benevolo, ed era stata ripresa da Carlo Aymonino, attuale assessore al centro storico di Roma; ora è stata esaltata dal professor Bruno Zcvi, che si dichiara «entusiasta per una iniziativa così importante sul piano culturale». Ma, a parte la polemica, qual è il giudizio da dare al vituperato Monumento? Che idea di costruire un complesso celebrativo sul Campidoglio sia stata aberrante, è fuori discussione: esso alterò, facendola divenire volgare, la zona più illustre di Roma, e costò morte di un insieme stupendo, formato da venti secoli storia. Li Torre di Paolo 111, la casa di Michelangelo, il Palazzo Torlonia, il convento dell'Aracoeli sparirono per far luogo ad un ibrido esercizio accademico, che, per colmo dell'orrore (e per la corrotta disonestà dei politici), venne costruito con una pietra, il botticino bresciano, immune a Roma dalla patina del tempo. Che lo si chiami eclettico o storicistico, Io stile del Monumento è quanto di più remoto ci sia dal gusto odierno; ma nel momento culturale che esso rappresenta, il Vittoriano è uh capolavoro, c, certi suoi dettagli sono di qualità eccezionale. A distruggere la «-macchina da scrivere», come è stato chiamato il Monumento, resterebbe l'immenso alveo dello scavo che fu necessario a costruirlo: si legga in proposito un libro assai bello (e come tale ignorato dalla critica ufficiale) ìm Patria di marmo di Marcello Vcnturoli, uno dei rari prodotti letterari apparsi in Italia dal 1945 a oggi che vada salvato dall'oblio. Adesso il progetto di de molirc il Monumento sembra stia cadendo, e nelle ultime settimane non se ne è più parlato; così come non hanno avuto seguito altre proposte, come quella di ricoprirlo di una struttura di ferro e vetro «rigorosamente effimera», come vorrebbe l'assessore alla Cultura di Roma, Renato Niccolini, o di farvi crescere rampicanti per trasformarlo in un immenso polmone verde, come ha detto il presidente del Wwf, Fulco Pratesi. *■* Resta tuttavia il fatto che un dibattito del genere possa svolgersi in una città ridotta allo stato di Roma, dove gli ospedali sono quel che sono (tempo fa un anziano degente fu semidivorato dalle formiche), dove le biblioteche sono impraticabili, i Musei chiusi, i mezzi pubblici di trasporto insufficienti, i collegamenti con la periferia preistorici; è davvero sintomatico che si perda il tempo a discutere su un progetto vano ed estetizzante, che, a realizzarlo, comporterebbe spese ingcntissimc. Proprio la vacuità della proposta è quello che spaventa, anche perché essa è tipica di un capitolo molto difficile, che si ripete quando, dopo periodi caratterizzati da grandi mutamenti sociali -ed economici (come è l'attuale Italia che da Paese agricolo si è rapidamente trasformata in Paese industriale), ci si sta avvici nando alla stabilizzazione, al ritorno alla normalità e all'ordine. Tale capitolo vede sempre il balletto sfrenato degli intel lcttuali lanciati a briglia sciolta, ignari della realtà sociale circostante, tutti presi dai loro utopistici sogni. Non sono mancati casi in cui i loro progetti, insulsi e delittuosi, sono e e o o o giunti alla realizzazione, camuffandosi sotto paludamenti politici: come accadde a Mosca, con l'immensa Cattedrale del Salvatore, la monumentale KJjram Spassitélia innalzata 102 metri di altezza dall'architetto Thon tra il 1837 e 1883, e distrutta negli Anni 20 grazie alla concomitanza tra intellettuali di punta e particolare momento politico. Mentre lunghissime file di cittadini si snodavano per avere pochi grammi di pane (con una temperatura di decine di gradi sotto lo zero) si udivano le esplosioni che annientavano capolavoro dell'arte russa dell'800, i bassorilievi di Loga novski, di Ramazanov, di Klodt, e le cupole dorate mentre lo Stato sovietico stretto da mille e terribili diffi colta, cercava di dare alloggio ai cittadini, c'era chi illumina va lt masse distruggendo un simbolo culturale oramai esautorato. Ma, come mi si diceva Mosca nel 1968, accadde più tardi un fatto singolare: tutti dico tutti coloro che erano sta ti coinvolti nella distruzione del grandioso edificio sacro furono poi implicati (con vari pretesti) nei terribili processi della seconda metà degli Anni 30. Dagli intellettuali ai giornalisti, dagli ingegneri persino a coloro che avevano trasportato i rottami e i detriti,-tutti sparirono chissà dove (e le loro famiglie furono accuratamente tras]k>rtatc molto lontano e in posti molto freddi) Non c'è dubbio che Stalin ( quale esaminava a uno a uno nomi dei processati) aveva 1 mano molto pesante; altret tanto indubbio è che sapeva come trattare chi non esita ad abbandonarsi a un vero e proprio terrorismo culturale. Federico Zeri Rotini. Unti vedili» del iniiniiiiiciilo a Vittorio F.niaiiiii'le 11 della Allure dell» l'nlrìa