«Chi prende un caffè sul lavoro lo paga, che c'entra lo Stato?»

«Chi prende un caffè sul lavoro lo paga, che c'entra lo Stato?» La Procura di Roma spiega quali sono le spese di rappresentanza lecite «Chi prende un caffè sul lavoro lo paga, che c'entra lo Stato?» La «rappresentanza» è tale solo in occasioni ufficiali e di prestìgio verso l'esterno - Il documento, firmato anche da Infensi e dalla Gerunda, si ispira a norme della Corte dei Conti DALLA REDAZIONE ROMANA ROMA — Le spese di rappresentanza da parte di amministrazioni dello Stato sono lecite solo quando •Voccatione socialmente rilevante riunisca persone fornite di un certo grado di rappresentanza dell'ente, e persone ad esso esterne cui l'ente, nell'ambito dei suoi fini istituzionali, è tenuto a prestare un ossequio di carattere ufficiale.. Questa l'opinione di alcuni magistrati della Procura di Roma (fra cui Luciano Infensi e Margherita Oerunda, protagonisti delle recenti Iniziative contro gli sprechi) condensata In un lungo documento, che evidentemente vuol rispondere In forma Indiretta alle polemiche delle ultime settimane. •Assolutamente illegittima — precisano Infatti 1 firmata¬ ri — sarebbe al contrarto la spesa per cibi e bevande offerte a persone diverse, o magari a coloro che, dipendenti o funzionari, partecipino a riunioni di carattere ordinario o periodico, rientranti nel compiti funzionali, che si protraggano per qualunque motivo oltre il normale orario del pasto, o comunque costretti, nell'adempimento della prestazione lavorativa, a consumare un pasto senza interrompere la riunione o l'attività nell'interesse del soggetto pubblico». La conclusione, già emersa chiara dalle Indagini che la Procura aveva promosso, è la seguente: la «colazione di lavoro», intesa nel senso appena riferito, è da considerarsi comunque illecita, come •ovviamente non può essere posta a carico dell'ente pubblico, ovvero pagata con il danaro del contribuente, la colazione —frugale o sontuosa—che ristori l pubblici dipendenti durante l'orario di lavoro*. A questa conclusione, 1 magistrati firmatari del documento hanno premesso un lungo esame storico del problema. Spesa di rappresentanza, nell'accezione fissata dalla Corte dei Conti, è quella che ha lo scopo «di mostrare all'esterno un'immagine positiva e prestigiosa, tale da indurre nei terzi un sentimento di rispetto o di consapevolezza dell'importanza del soggetto pubblico, sia esso autorità amministrativa dello Stato, ovvero ente con finalità economiche e sociali'. •In questa accezione — prosegue 11 documento — la spesa di rappresentanza deriva storicamente dalla necessità di circondare la persona del sovrano del fasto necessario a farne rimarcare l'eccellenza fra gli altri esseri umani, inducendoti naturalmente a manifestazioni di ossequio*. Qualunque sia stata la sua origine, comunque, «non pud negarsi che nella spesa di rappresentanza possa essere ricompresa quella per l'organizzazione di riunioni e ricevimenti, simposi o trattenimenti simili, che rendono ovviamente necessario l'acquisto di cibo e bevande anche di rilevante costo. E' evidente tuttavia che l'organizzazione di queste riunioni non può prescindere dal rispetto degli elementi costitutivi della rappresentanza correttamente intesa, e cioè essere diretta ad un accrescimento del prestigio dell'immagine esterna del soggetto pubblico'.

Persone citate: Luciano Infensi

Luoghi citati: Roma