Piemonte,160 mila disoccupati
Piemonte. 160 mila disoccupati Piemonte. 160 mila disoccupati Grido d'allarme del Coordinamento lavoratori in cassa integrazione - Malessere diffuso, proteste: «Questo è un gioco al massacro» La «chiamata» pubblica dell'Ufficio di collocamento al Palazzetto dello sport è stata, preceduta ieri da una conferenza stampa del Coordinamento lavoratori In cassa Integrazione. «Non abbiamo più la tessera sindacale — ha spiegato Sergio Celi, uno dei responsabili —, ma rimaniamo nella struttura perché bisogna ricreare l'unità tra chi lavora e chi è stato lasciato a casa-. -In Piemonte i disoccupati sono ormai 160 mila, 67mila in cassa (rispettivamente 60 mila e 16 mila a Torino). Rappresentiamo il 18 per cento della forza lavoro, una cifra preoccupante, die ha superato tutte le medie europee e rischia di mettere in crisi la stessa sopravvivenza della democrazia». I problemi da risolvere sono tanti: dall'accordo del 22 gennaio, che ha sottratto i lavoratori alla tutela sindacale, alla necessità di tornare a una politica di espansione per creare posti di lavoro, alla •vergogna che le forze politiche dovrebbero provare per aver discriminato i figli dei disoccupati» che non hanno diritto all'assegno. «/ magistrati hanno ficcato il naso — aggiunge Celi — nelle tazzine di caffè dei loro colleghi: non si vergognano di perdersi in queste sciocchezze quando vengono fatte leggi contrarie alla Costituzione?». La polemica Investe anche la conduzione dell'Ufficio di collocamento: «Chiediamo le dimissioni del direttore, non cè posto per chi si schiera a favore di una struttura pubblica al servizio degli industriali e usata da certi partiti soltanto come strumento di propaganda». Piero Grossi, della segreteria regionale Cfjll, afferma: -Siamo una forza, dobbiamo farla pesare. Pensiamo che in Italia il 12 per cento delle famiglie controllano il 50 per cento del reddito, cerchiamo di capire chi sono i nostri avversari e chi gli alleati». Enzo Caiazzo, del Coordinamento disoccupati: -Smettiamola di fare i cani che abbaiano, cominciamo a mordere». Molti applaudono, ma non tutti sono d'accordo. Per esprimere il proprio dissenso, un giovane lancia dinanzi al tavolo della conferenza una manciata di monetine; dall'alto gli fa eco un coro: -Buffoni, buffoni-. Altri ancora sollecitano: -Andatevene, vogliamo le chiamale-. Commenta Celi: -C'è un equivoco di fondo. La gente insulta noi perché siamo noi a parlare. In realtà la frattura e lo scontro che si stanno acuendo sono tra chi percepisce lo stipendio e chi non ce l'ha». Poi, ad alta voce: «Non dovete prendervela con noi, non possiamo darvi i posti di lavoro. E' il governo die permette questo gioco al massacro. Perché non gridate contro chi viene qui e vi offre spiccioli di possibilità, pochi giorni di lavoro a padri e madri di famiglia, una miseria, un'elemosina?». Ancora Grossi: -Bisogna organizzarsi nelle file del sindacato. Chi è fuori dalla fabbrica deve avere l suoi rappresentanti per discutere e confrontarsi». Giovanni Nigro (UH): «£' un grave errore politico e strategico combattere contro di noi. Soprattutto qui a Torino dove, per primi, abbiamo organizzato un anno e mezzo fa, una marcia per il lavoro». -Quello che non si capisce — conclude Celi prima di lasciare il posto alle chiamate—è perché nessuno degli intellettuali, in Italia, parli mai di noi, delle nostre esigenze». c. nov.
Persone citate: Enzo Caiazzo, Giovanni Nigro, Piero Grossi, Sergio Celi
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