Torino, i caffè della nostalgia

Torino,! caffè delki mialgia I locali legati alla storia della politica e della cultura Torino,! caffè delki mialgia Da Baratti l'ora del tè è rimasta un rito dal 1875 a oggi - Ambientazione firmata e frequentatori d'elite - Gli incontri di Carlo Alberto e Santorre di Santarosa al Florio , , a à TORINO — Il rito si ripete ogni giorno, da oltre un secolo, stessa ora, stesso luogo. Le signore, al tea Urne, metà pomeriggio, arrivano puntuali nel grande salone che si affaccia sulla galleria «intitolata all'Industria Subalpina». Appuntamento attorno al tavoli, fra stucchi impreziositi dall'oro zecchino, mogani intagliati e specchi. L'ora del tè, del caffè, l'occasione per conversazioni oziose o per mille pettegolezzi, e ogni argomento è ingentilito con una pasta, una tartina. Il tempo sembra essersi fermato al caffè Baratti e Milano sotto i portici di piazza Castello e le antiche abitudini sono sopravvissute. Venne aperto nel 1873 e subito diventò 11 tempio della borghesia «operosa e gaudente». Ricorda A.L. Ripa su La Dora Riparia del 4 febbraio 1875: «Lo stupendo negozio, che conta un'area di 163 metri quadrati e 25 metri di lunghezza, a cui S.M. Vittorio Emanuele e S.A.R. il Principe Amedeo consentivano l'onore venisse decorato del loro stemma, inaugurato la sera del 1" febbraio dal sig. Sindaco e da un corteo di cospicui cittadini, fu da allora ed è tuttogiorno visitato da una folla, die sempre si succede per ammirarvi le tante bellezze d'arte e d'ornalo, che vi splendono alla luce di ben 44 fiamme di gas, riflesse dal più grande specchio die forse sia in Italia'-. Proprietari e soci fondatori della ditta, erano Ferdi nando Baratti di Piverone ed Edoardo Milano di Bollengo. Un caffè elegante, con ambientazione «firmata»: archi' lettura del prof. Casanova, che su un pilastro ha applica' to una piccola targa in bronzo 'Giulio Casanova disegnò, dipinse MCMXl»: bassorilievi in bronzo, l'orologio in rame con 1 segni zodiacali, originalissimo a quell'epoca, i putti in bronzo che rappresentano le stagioni, sulla facciata esterna, sotto i portici di piazza Castello, son dello scultore Edoardo Rubino. Tutto sem bra essere rimasto come allo ra. quando per le strade non c'erano auto ma carrozze, preziosa testimonianza di un tempo da riscoprire. Osserva Franco Spanna. 60 anni, da 20 direttore del caffè: -Era un locale elegante, quando nacque, e diventò subito alla moda, frequentato dall'Accademia Militare, dall'aristocrazia^. In queste antiche strutture," mutar qualcosa è sempre stata un'impresa e, forse, questo ha consentito di conservare lo splendido «ricordo». I cinque lampadari di cristallo regalano, nella gran sala da tè, una luce vivace, ma fino a qualche anno or sono 1 clienti avevano quasi l'impressione di immergersi in una penombra com¬ plice. 'L'impianto era imperfetto, per metà a 125 volte e per l'altra metà, a 220, ricorda Spanna, e così accadeva die ogni tanto un lampadario si spegnesse sema una ragione plausibile'. 'E' il caffè delle madame ma andte uno dei pochi esempi rimasti di vecchi caffè in una dttà ricca di tradizione-, rimpiange la scrittrice Dina Rebaudengo. «C'è ancora il caffè in piazza della Consolata, con i suoi tavoli di marmo, lepareti di legno intagliato, la scritta invitante all'ingresso "cioccolato in tazza"; e c'era, fino a poco tempo fa, il Tal- mone, che proprio quest'anno avrebbe compiuto il secolo e che aveva conservato l'arredamento di un tempo-. Chiuso per problemi economici, gli stessi che hanno condannato numerose altre caffetterie e cancellato cosi una parte di vecchia Italia. Ma fra mille difficoltà, molte abitudini sono rimaste le stesse, anche se l'ora dell'aperitivo è diventata il momento del rapido lunch, tramezzino birra. Nel salone del tè gli argomenti di conversazione, si assicura, sono rimasti gli stessi: gli spettacoli, la moda, quattro parole sulla situazione economica, due pettegolezzi sugli amici, soprattutto sulle amiche. Di politica, al Baratti, non si è mai parlato troppo. Gli impegnali, le teste calde, per lo più si ritrovavano altrove. Avelie se il "caffè politico", a Torino, è finito con il trasferimento della capitale a Firenze-, assicura la contessa Piera Condulmer, autrice del volume / ca//é torinesi e il risorgimento italiano. Fu il Fiorio di via Po. un tempo, luogo di appuntamento per chi faceva politica e, allora, far politica, sovente, significava tramare per uno Stato che andasse al di là dei confini del Regno di Sardegna o semplicemente sognarlo. 'Parlavano, al Florio, dei "codini"con un certo disprezzo, e fra costoro molti includevano lo stesso Cavour-, ricorda Piera Condulmer. -Avvenivano in quelle sale gli incontri fra Carlo Alberto e Santorre di Santarosa e nel 1848, quando molti frequentatori partirono per la guerra, alla notizia di una morte, sulla sedia occupata abitualmente dal caduto veniva posato un nastronero-. -Al caffè Calosso di via Garibaldi s'incontravano i repubblicani mentre all'elegante Madera, all'angolo di via dell'Ospedale con via dei Condatori, spesso Nigra discuteva con Carlo Boggio e una volta, men tr'erano infervorati,' piombò il vicario Tosi, armato di pistole, e loro tacquero. Libertà era un termine ancora pericoloso-. Vincenzo Tessandori L'interno prezioso del caffè Baratti & Milano. Un «nionuinenlo storico» di Torino, luogo di ritrovo da più di un secolo dove però non s'e mai «fatto politica» (Foto S. Solavaggionc)