Stellone di sabbia

Stellone dì sabbia LA VARIA CULTURA DELLE REGIONI Stellone dì sabbia Due anni fa, nel 1981, le Poste Italiane emisero un francobollo . commemorativo del centenario della morte di Daniele Comboni, fondatore dei Figli del Sacro Cuore di Gesù e delle Pie Madri della Nigrizia; ora, 1985, è imminente l'uscita di un bollo per il 150° della nascita di Ernesto Teodoro Moneta, altro Carncadc, il cui peso nella storia culturale italiana è assai discutibile, anche se nel 1907 gli fu assegnato il Premio Nobel per la Pace (ma quanti sono i Nobel che valga la pena di rammentare?). Scelte del genere non sono casuali, né sono dovute soltanto all'insistenza di particolari gruppi di pressione; esse riflettono piuttosto l'ideologia di chi detiene il potere nello Stato (oscillante, molto spesso, tra l'integralismo cattolico e i più frusti luoghi comuni delia retorica nazionalista e in tcrnazionalista). La logica, non incidentale, delle scelte celebrative ufficiali è confermata, alla rovescia, dalle omissioni. In una serje, oggi sostituita, di carta mone ta, al valore più elevato in cui appariva Alessandro Manzoni contrastava l'assenza di Giacomo Leopardi, mentre per francobolli fu ignorato, nel 1969, il centenario della morte di uno dei più acuti pensatori del Risorgimento, Carlo Cat tanco. Si tratta di disattenzione, c dello sgradito laicismo sia del Leopardi che del Cattaneo? Lascio aperta la risposta (io sono per la seconda ipotesi) tcerto e che, nel caso del pensa torc e uomo d'azione milanesi-. la dimenticanza suona assai strana, rammentando la grande lucidità con cui egli espresse due istanze che, dal 1945 in poi, sono à la une, e cioè regionalismo ed europeismo. Cos'altro, se non l'immediato precedente di tali propositi sono la Federazione indipenden te del popolo italiano, da sfociare poi negli Stati Uniti d'Europa, ambedue patrocinati dal Cutaneo? *★ Per nostra disgrazia, la sua acuta, spassionata valutazione delle realtà della Penisola non prevalse; ebbero il soprawen to gli abbaglianti slogan dell'unità a tutti i costi, gli orpell della romanità, i miraggi (d: fonte francese) dello Stato ac centratore, il mito della Capi tale quale unico asse portante, Quali siano stati gli esiti d cali scelte, lo dicono i fatti paghiamo tutti il pesante scotto di chi ignorò (o finse di ignorare) l'immenso presti gio di Roma quale centro del Cattolicesimo, o, per citare caso più macroscopico, chiuse gli occhi davanti alla storia (cioè ai caratteri autonomi) del Regno delle Due Sicilie. L'odierna questione meridionale risale appunto a quelle scelte, che in primo tempo dettero luogo a una vera propria guerra coloniale, bat tezzata ufficialmente come lotta contro il brigantaggio, e nella quale furono gli insorti ad avere la peggio. Su scala mi nore, il caso delle Due Sicilie si ripete in tutta la Penisola. L'affermazione del Conte di Mctternich che dire Italia pronunciare un'espressione puramente geografica suona assurda (soprattutto se avanzata, come faceva lui, a fini di espansionismo dinastico); ma è anche vero che, sotto una più o meno fittizia comunanza di lingua e di religione, si nasconde in Italia un intreccio di valori, di tradizioni culturali, di strutture mentali, che è unico, anche a confronto di altri Paesi (come la Francia e la Spagna) nei quali la raggiunta unità risale a epoche assai più antiche del 1860, senza però essere pervenuta a soffocare o a stemperare convenientemente le diversità regionali (Bretagna, Catalogna, ecc.). Le tavole anatomiche di quel che chiamiamo il presente sono costituite dalle stratificazioni del passato; qui da noi, ogni tessera del mosaico, praticamente infinito, risulta da un definirsi plurimillenario, in rapporto con altri nodi specifici, in un tessuto che si è andato formando verticalmente, in senso cronologico, < orizzontalmente, in senso spa zi ale. Per comprendere la realtà italiana, è indispensabile scavare nel suo percorso storico; vengono così alla luce le fonti di questa eccezionale diversificazione, della inesauribile polivalenza, per cui centri ^ita- smsstnpvazvlprdCctSg ti, anche minori, situati a di- stanza di poche migliaia di metri, hanno talvolta una fisionomia così spiccata da lasciare, a conoscerla bene, interdetti e stupefatti. Oggi, con le Regioni riconosciute dall'ordinamento repubblicano, si comincia a scavare e a indagare; sotto tale aspetto, l'impresa più ambiziosa (e anche coraggiosa) sta vedendo la luce per i tipi dell'editore Neri Pozza, sotto il patrocinio dell'Istituto Federale delle Casse di Risparmio delle Venezie. La Storia della Cultura Veneta è progettata in cinque volumi, divisi in nove tomi; diretta da Girolamo Arnaldi e da Manlio Pastore Stocchi, i primi cinque tomi sono apparsi nel novembre 1981, mentre i restanti quat tro stanno per vedere la luce, con il contributo di ben 71 autori. Quest'ultima cifra può asciare sorpresi, ma il programma dell'insieme è di tale respiro e apertura così ampia da giustificare un apporto così numeroso. ★ * Tra i contributori ai vari testi, di diversa lunghezza, si trovano nomi illustri, accanto ad altri meno noti, se non persino di esordienti; ma è in questo alternarsi di valori riconosciuti o no, di punti di vista e di criteri di indagine e di esposizione, che va identificato uno dei maggiori meriti dell'opera, cui certo non può' attribuirsi la taccia di conformismo. Beninteso, non tutti i con tributi sono di eguale valore anche ovvia è l'impossibilità, in questa sede, di esaminarli a uno a uno, o anche di discuterne i più rilevanti. Ma la so la lettura di taluni titoli assicura la validità del lavoro, dal quale finalmente prende l'avvio la risposta che si pongono quanti cercano di penetrare nelle ragioni intime della rcal tà veneta, quella che lascia, ad avvicinarla, una serie di quesi ti, spesso apparentemente in solubili. Personalmente, non conosco uniformità più deprimen te di quella dei centri medi piccoli del Midwest negli Stati Uniti; quando' mi tocca di starci, penso, come consolazione, alla frattura (chiamia mola pure così) che esiste tra Verona e Vicenza, tra Venezia e Treviso, tra Padova e Venezia. E come storico dell'arte, mi è parso sempre assai significativo della realtà veneta che uno dei monumenti sommi dell'arte italiana, come è la Cappella degli Scrovegni a Padova, sia restato lettera morta a Venezia; prego citarmi un solo dipinto veneziano in cui sia leggibile il riflesso di Giotto. Qui tocchiamo quello che a me pare il punto debole dell'opera; perché non si comprende come mai un'impresa così approfondita (e persino capillare) non includa un paio di tomi dedicati ai problemi, così vari e molteplici, delle arti figurative nel Veneto. Forse, tale sezione è prevista a parte; per ora, l'elenco dei capitoli, a cominciare da // concetto storico-geografico dell'unità veneta, dovuto a Santo Mazzarino, costituisce una serie di inviti alla lettura e all'approfondimento. Libri e maestri tra Verona e Bobbio, di Mirella Ferrari, Dialetti veneti nel Medioevo, di Giambattista Pellegrini e Alfredo Stussi, gli interventi sulla cultura dei Trovatori nelle corti e città venete (di Gian franco Folena), i titoli dedicati alla nascita del volgare (Anna Lomazzi), alle cerchie toscaneggiami nel Veneto (Furio Brugnolo), alla musica, alla storiografìa, all'Umanesimo veneziano (anche nella versione greca, nel saggio di Agostino Pertusi), alla cultura monastica, agli esperimenti plurilinguistici (trattati da Manlio Cortellazzo), sono altrettante aperture; e non se ne possono citare qui che poche. C'è poi l'aspetto dell'apporto, alla cultura veneta, degli stranieri (Giorgio Fedalto) e delle minoranze ebraiche a Venezia, Padova e Verona (Pier Cesare Ioly Zorattini). Superfluo aggiungere che le questioni relative alla musica, al collezionismo, alla teoria artistica, al teatro, al pensiero teologico, filosofico, alle feste, non sono tralasciate. Dall'insieme, si esprime qualcosa di estremamente intrecciato, a vari livelli, secondo una stratigrafia sociale (per non dire classista) su cui c'è da meditare a lungo. Naturalmente, non tutta l'Italia è costituita da un tessuto culturale di tale ricchezza; ma forse, nelle aree che parrebbero meno intricate la ricerca va effettuata secondo diversi parametri, come sono quelli della cucina, degli abiti o delle canzoni. A me la lettura di quest'opera ha rammentato le parole di Benito Mussolini «Governare gli italiani non è diffìcile, ma inutile», una frase che va rivi sta alla luce di quel che diceva, negli Anni 30, un divulgatore alla moda (ma non superficia le) della cultura cinese, Lyn-Youtang, quando paragonava la Cina alla sabbia e il Giappone al granito. Que st'ultimo, quando cade, si spezza, mentre la sabbia rimane- tale e. quale; lo stellone italiano è forse proprio in questa sua innumerevole frammentazione' corpuscolare, che può essere calpestata, agitata, sparsa. Mai distrutta, però. Federico Zeri